Sistemi incentivanti e modifiche organizzative
La scelta dei parametri per la determinazione dei premi rientra nella sfera dell’autonomia privata ed è quindi sottratta al controllo giudiziale. L’equità e la trasparenza del sistema sono affidate alle procedure per la costruzione e per il funzionamento dei sistemi premianti e dipendono dalla loro effettiva osservanza. Sono previste procedure informative e di controllo sindacale correlate al tipo di premio utilizzato.
I criteri applicativi dovrebbero avere una certa elasticità per potersi meglio adattare alla variabilità dei contesti produttivi. C’è, però, il rischio che si passi dalla flessibilità all’arbitrarietà del sistema; è per questo che si definiscono con precisione le procedure di definizione e di controllo dei premi.
Viene richiesta l’osservanza delle procedure valutative da cui dipende la determinazione e la qualità dell’incentivo,in particolare nel pubblico impiego. Una corretta valutazione è presupposto di legittimità del sistema e il datore di lavoro non può esimersi dalla valutazione per evitare l’erogazione dei premi. In altri casi è controllata l’individuazione delle risorse destinate alle retribuzioni a incentivo.
Nel settore pubblico vi è una maggiore regolazione procedurale e sostanziale che spiega la netta maggioranza di interventi giudiziari nel settore pubblico piuttosto che nel settore privato. In ogni caso il ricorso a procedimenti giudiziari è molto esiguo anche per la scarsa rilevanza dei premi (che sono poco dinamici). D’altra parte le procedure compositive stabilite in via contrattuale, per quanto poco formalizzate, sembrano esercitare un sufficiente grado di prevenzione e definizione delle controversie. Inoltre, essendo il sistema premiante rimesso alla piena disponibilità delle parti, si possono svolgere procedure conciliative e arbitrati.
Nel caso di modifica delle condizioni produttive ed organizzative rilevanti per l’applicazione dei sistemi, le modificazioni dei premi sono oggetto di regolazione congiunta fra le stesse parti che hanno negoziato i premi. Se manca l’accordo spetta al datore di lavoro modificare i parametri del premio ed adattarlo alle nuove condizioni produttive. Secondo alcuni il datore di lavoro non può modificare elementi retributivi senza violare il principio di esecuzione del contratto secondo buona fede. Secondo altri è escluso che il richiamo ai principi di correttezza e buona fede possa legittimare un controllo sull’esercizio dei poteri gestionali del datore di lavoro. D’altronde al datore di lavoro è richiesto di seguire le regole relative all’informazione e alla consultazione con le rappresentanze sindacali.
Nel caso in cui il sistema premiante non sia oggetto di contrattazione collettiva, le decisioni riguardanti i parametri per la definizione degli incentivi rientrano nella discrezionalità del datore di lavoro. Anche in questo caso la trasparenza dei criteri e il rigore procedurale della loro applicazione sono condizioni di efficacia degli incentivi.
I compensi legati alla produttività perdono la loro connotazione liberale e diventano obbligatorie quando creano un affidamento circa la loro stabilità e vincolatività per le modalità con cui sono corrisposte. La reiterazione nel tempo di tali compensi rafforza la percezione di affidamento nel lavoratore.
Il vincolo che investe il datore di lavoro nell’erogazione dei premi è un obbligo unilaterale di carattere collettivo che agirebbe sui rapporti individuali alla stregua di un contratto collettivo aziendale. Il carattere collettivo di tale obbligo fa sì che la questione non possa essere regolata nei contratti individuali, ma solo nel contratto collettivo aziendale. L’uso aziendale (i comportamenti del datore di lavoro) avrebbe il valore di una proposta rivolta alla generalità dei lavoratori suscettibile di essere accettata sul piano collettivo anche per atti concludenti in modo da integrare un contratto collettivo tacito. Secondo questa costruzione non è chiaro chi sia la controparte collettiva del datore di lavoro (sindacato o organizzazione?). C’è la possibilità che l’uso aziendale introduca modifiche peggiorative rispetto ad un precedente contratto aziendale.
Se si vede l’uso aziendale come atto negoziale a struttura unilaterale e a rilevanza collettiva si avrebbe la volontà del datore di regolare in modo uniforme tutti i rapporti di cui è titolare.