Il reato di peculato
Il peculato (artt. 314 e 316 c.p.) è un delitto che si configura quando un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio si appropria del denaro o di altra cosa mobile che appartenga ad altri e della quale ha il possesso o la disponibilità in ragione del suo ufficio o servizio
- Peculato: le norme del codice penale
- Origine ed evoluzione del peculato
- Elementi del reato
- Tipi di peculato
- Peculato: pena
- Peculato: prescrizione
Peculato: le norme del codice penale
In particolare, l'art. 314, 1° comma, c.p. prevede e punisce il peculato tipico, mentre il secondo comma della stessa norma contempla il cd. peculato d'uso:
Art. 314 del codice penale
"Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi.
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita".
Art. 316 del codice penale
L'art. 316 prevede e punisce, invece, il peculato mediante profitto dell'errore altrui:
"Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni".
ll secondo comma, introdotto nel 2020, aggiunge che "La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000".
Origine ed evoluzione del peculato
La parola peculato deriva dal latino peculatus, termine legato alla parola pecunia(m) ovvero denaro che, a sua volta, deriva da pecus (bestiame, pecora).
Stando all'etimologia del termine, dunque, il reato di peculato veniva identificato in origine con il furto o la sottrazione di bestiame. Fu la Lex Iulia, promulgata da Giulio Cesare, a trasformare il peculato nell'appropriazione illecita di denaro pubblico, fissandone per i secoli a venire le caratteristiche e le pene.
Da allora in poi, il reato sarà considerato, infatti, crimen publicum e giudicato da un'apposita quaestio, a seguito della quale, ove ritenuto colpevole, il soggetto era obbligato a versare il quadruplo della somma rubata.
Presente anche nel codice penale sardo e in quello toscano, il reato viene disciplinato nel codice del 1889 (c.d. "Codice Zanardelli") che contemplava, all'art. 168, il peculato del pubblico ufficiale che sottraesse o distraesse denaro o altra cosa mobile di cui avesse, per ragioni del suo ufficio, l'amministrazione, l'esazione o la custodia.
Nel codice del 1930 il peculato trova spazio negli artt. 314 e 316, aggiungendo rispetto alla formulazione della precedente legislazione, quale soggetto attivo, oltre al pubblico ufficiale, anche l'incaricato di un pubblico servizio, la cui nozione è fornita nei successivi artt. 357 e 358 c.p.
Le più recenti riforme del reato di peculato
Nel tempo, assorbendo i rilievi maturati in giurisprudenza e le istanze di ammodernamento della materia, la disciplina del peculato ha subito rilevanti modifiche rispetto all'originaria formulazione, ad opera innanzitutto della l. n. 86/1990 ("Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione") che, in particolare, ha: eliminato la modalità distrattiva della realizzazione della condotta, rendendo punibile solo l'appropriazione del denaro o di altre cose mobili altrui; abrogato l'art. 315 c.p. con il consequenziale assorbimento della "malversazione a danno di privati" nella sfera di rilevanza di cui all'art. 314 c.p., nonché normato autonomamente il "peculato d'uso".
Successivamente, la disciplina del delitto di peculato è stata modificata dalla l. n. 97/2001 e dall'art. 1 della l. n. 190/2012 che ha elevato la pena edittale da quattro a dieci anni (originariamente, la pena minima era di tre anni).
Ultima, in ordine di tempo, è l'introduzione del secondo comma dell'articolo 316 c.p. ad opera del decreto legislativo n. 75/2020.
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Elementi del reato
Il peculato è un "reato proprio", per cui può essere commesso, come stabilisce chiaramente l'incipit dell'art. 314 c.p., da un soggetto che rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
Ai fini della configurazione del reato, secondo la giurisprudenza di legittimità, per pubblico ufficiale deve intendersi sia colui che tramite la sua attività concorre a formare quella della P.A., sia colui che è chiamato a svolgere attività aventi carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali (ovvero colui che partecipa al procedimento amministrativo, con funzioni, propedeutiche o accessorie, aventi effetti "certificativi, valutativi o autoritativi"), poiché, anche in tal caso, attraverso l'attività stessa, si verifica una partecipazione alla formazione della volontà dell'amministrazione pubblica (Cass. Pen. n. 39351/2010).
Il bene tutelato
Secondo una parte della dottrina, il peculato è un reato di natura plurioffensiva, poiché configura da un lato un abuso della situazione giuridica di cui il soggetto agente è titolare, e, dall'altro, un delitto contro il patrimonio pubblico, bene giuridico di cui si vuole tutelare l'integrità poiché necessario alla realizzazione dei fini istituzionali da parte dello Stato e degli enti pubblici nei confronti della collettività. Secondo un altro orientamento, invece, il bene giuridico tutelato coincide con quello collettivo del buon andamento, dell'imparzialità e dell'efficienza dell'attività della Pubblica amministrazione, leso dalle condotte illecite perpetrate dai suoi stessi organi.
La consumazione del reato
Nella nuova formulazione dell'art. 314 c.p., a seguito della l. n. 86/1990, il reato si consuma nel momento in cui ha luogo l'appropriazione dell'oggetto materiale altrui (denaro o cosa mobile), da parte dell'agente, la quale si realizza con una condotta incompatibile con il titolo per cui si possiede la res altrui, a prescindere dal verificarsi di un danno alla pubblica amministrazione (c.d. "reato istantaneo"). L'elemento oggettivo del reato non esige più, come in passato, che il denaro o la cosa mobile oggetto del reato debbano appartenere alla P.A. ma solo che si trovino nella disponibilità del soggetto agente.
Il dolo
Nel reato di peculato ex art. 314, 1° comma, c.p., come nell'ipotesi di peculato mediante profitto dell'errore altrui ex art. 316 c.p., il dolo è generico e consiste nella coscienza e nella volontà dell'appropriazione; mentre è specifico nel peculato d'uso, poiché in tale fattispecie, il soggetto agente si appropria del bene allo scopo di farne un uso momentaneo.
Tipi di peculato
Oltre alla fattispecie tipica di peculato di cui all'art. 314, 1° comma, c.p., è possibile distinguere il peculato d'uso, il peculato di vuoto cassa, e il peculato mediante profitto dell'errore altrui.
Il peculato d'uso
Il peculato d'uso è espressamente disciplinato dal secondo comma dell'art. 314 c.p., il quale prevede l'applicazione della "pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita".
Giova sottolineare che il peculato d'uso non costituisce un'attenuante del reato di cui al primo comma dell'art. 314 c.p., bensì un'autonoma figura delittuosa, la quale, per la sua configurazione, non richiede che il bene fuoriesca dalla sfera di disponibilità del proprietario essendo sufficiente che il soggetto agente si comporti nei confronti del bene stesso, uti dominus, realizzando fini estranei agli interessi del proprietario (Cass. Pen. N. 788/2000).
Il peculato di vuoto cassa
Un'ulteriore ipotesi di peculato è quella del c.d. "vuoto di cassa" ovvero dell'appropriazione del denaro da parte di colui che, in ragione del suo ufficio, è tenuto a custodirlo. Il reato si intende consumato sia successivamente al decorso del termine per la consegna che in pendenza dello stesso, quando la scadenza dilazionata di rendiconto non autorizza comunque a disporre del denaro (Cass. Pen. 30.10.2006).
Il peculato mediante profitto dell'errore altrui
Altra fattispecie, espressamente prevista all'art. 316 c.p., è quella del "peculato mediante profitto dell'errore altrui" che si configura quando "il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità".
La condotta criminosa consiste, come dispone espressamente l'art. 316 c.p., alternativamente, nella ricezione (ovvero l'accettazione passiva di un quid offerto da un terzo) o nella ritenzione, per sé o per un terzo (ovvero il mantenimento - consistente in un'appropriazione, una mancata restituzione o un trasferimento - del bene presso il soggetto agente). Affinché si possa configurare tale fattispecie di peculato, la condotta deve realizzarsi, nell'esercizio delle funzioni o del servizio del soggetto agente, il quale, è sufficiente che si limiti a trarre profitto dall'erroneo e spontaneo convincimento in cui incorre il terzo.
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Peculato: pena
La fattispecie base del reato di peculato è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi.
Se il colpevole ha fatto un uso momentaneo della cosa e la ha poi restituita, si applica invece la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.
La stessa pena si applica anche per il peculato mediante profitto dell'errore altrui.
Peculato: prescrizione
Al peculato si applicano le ordinarie regole in tema di prescrizione, che prevedono che i reati si prescrivono una volta che sia decorso il tempo che corrisponde al massimo della pena stabilita dalla legge e, in ogni caso, non prima di sei anni se si tratta di delitti o di quattro anni se si tratta di contravvenzioni.
Di conseguenza, tenendo conto delle pene viste nel precedente paragrafo, il termine di prescrizione è di dieci anni e sei mesi per la fattispecie base di peculato e di sei anni per le due ulteriori ipotesi.
La Cassazione sul reato di peculato
Ecco una serie di pronunce della Cassazione in materia di peculato:
Cassazione penale sentenza n. 3920/2022
L'elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell'art. 61 n. 9, cod. pen., va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (così, tra le molte, Sez. 6 , n. 46799 del 20/06/2018, Pieretti, Rv. 274282).
Cassazione penale sentenza n. 1865/2021
Il peculato è reato a carattere plurioffensivo, inteso, da un lato, alla tutela dell'interesse statale della "funzionalità operativa" della pubblica amministrazione, sotto i molteplici profili della legalità, efficienza, probità e imparzialità, e, dall'altro, alla protezione dei beni patrimoniali che sono affidati - come nella specie ai pubblici funzionari. Da tale natura plurioffensiva deriva che l'eventuale mancanza o particolare modestia del danno patrimoniale, conseguente all'appropriazione, non esclude la sussistenza del reato, considerato che rimane pur sempre leso dalla condotta dell'agente l'altro interesse, diverso da quello patrimoniale, protetto dalla norma e cioè il buon andamento della pubblica amministrazione.
Cassazione penale sentenza n. 38875/2019
Integra il reato di peculato la condotta distrattiva del denaro o di altri beni che realizzi la sottrazione degli stessi alla destinazione pubblica e l'utilizzo per il soddisfacimento di interessi privatistici dell'agente, mentre è configurabile l'abuso d'ufficio quanto si sia in presenza di una distrazione che, seppur finalizzata a profitto proprio, si concretizzi in un uso indebito del bene che non ne comporti la perdita e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell'ente cui appartiene.