Il reato di percosse
Il reato di percosse si configura quando un soggetto percuote un altro soggetto, senza che dal fatto derivi una malattia nel corpo o nella mente
- Cos'è il reato di percosse
- Percosse: procedibilità
- Percosse: competenza
- Lesioni de percosse
- La Cassazione in materia di percosse
Cos'è il reato di percosse
Il reato di percosse è disciplinato dall'articolo 581 del codice penale, che punisce con la reclusione fino a sei mesi o la multa fino a 309 euro, chiunque "percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente".
Il comma due precisa tuttavia che "Tale disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato".
Bene giuridico tutelato
Il bene giuridico protetto con il reato di percosse è l'incolumità individuale, ossia l'integrità fisica della persona contro qualsiasi aggressione che si traduce in una violenza sul corpo.
In altre parole, l'ordinamento giuridico mira a proteggere, con la previsione della punibilità del delitto di percosse, l'incolumità della persona o, secondo alcune tesi, la c.d. "intangibilità" del corpo umano, nella sua dimensione fisica e psichica e, più in generale, il bene salute, tutelato costituzionalmente dall'art. 32, come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività".
Soggetto attivo e passivo del reato
Il soggetto attivo del reato di percosse può essere qualunque individuo e il reato si intende consumato nel momento in cui è realizzato l'atto di percuotere, il quale, ai fini della configurazione del delitto de quo, deve corrispondere ad un atto violento che non cagioni nella vittima effetti patologici o postumi di alcun genere costituenti malattia ma soltanto una breve sensazione dolorosa (Cass. n. 7388/1985), una violenza puramente formale di inavvertibile entità (Cass. n. 1801/1986); una semplice reazione di spavento o collera, in grado di svanire in brevissimo tempo e finanche l'assenza di qualunque effetto.
Il soggetto passivo è necessariamente un essere vivente, giacché l'azione violenta contro un individuo non più in vita potrebbe integrare semmai l'ipotesi di vilipendio di cadavere di cui all'art. 410 c.p.
Elemento oggettivo delle percosse
Le percosse rappresentano un reato formale, o di pura condotta, nel quale l'evento si immedesima con l'azione: il delitto, perciò, si consuma nel momento in cui è realizzata ogni condotta di violenta manomissione dell'altrui persona, di qualunque genere e intensità, idonea a produrre soltanto sensazioni dolorifiche dolorose, ma non già una malattia o altro postumo morboso, altrimenti si ricadrebbe nell'ipotesi delle lesioni personali (cfr. Cass. n. 19405/2009; Cass. n. 186593/1990).
L'elemento essenziale del reato è, quindi, la violenza fisica che si estrinseca in una condotta idonea a provocare un'apprezzabile sensazione di dolore, la quale, tuttavia, non è necessario che venga concretamente provocata, potendo anche essere, per ragioni particolari, solo eventuale (ad. es. nelle ipotesi di anestesia o insensibilità della zona del corpo colpita, in base alle quali la persona offesa non risente di alcun dolore fisico, cfr. Cass. 11.6.1985, CED 170189, RP 1986, 590).
L'atto di percuotere implica, dunque, una condotta commissiva, che può realizzarsi attraverso qualsiasi forma (schiaffo, pugno, calcio, bastonata, spinta, sculaccioni, tirata di capelli, ecc.) (Cass. n. 1801/1986; Cass. n. 800/1984) e con mezzi d'offesa sia naturali (mani, testa, piedi, ecc.) che artificiali (sassi, bastoni, libri, ecc.).
La struttura del reato di percosse consente la configurabilità del tentativo (ad es. nel caso di un pugno o di una spinta andati a vuota per la prontezza di riflessi da parte della vittima, o grazie all'intervento di un terzo, ecc.).
Elemento soggettivo
L'elemento psicologico del reato è rappresentato dalla consapevolezza di percuotere.
Il reato, pertanto, è sempre doloso e richiede solo il dolo generico, ovvero "la coscienza e la volontà di tenere una condotta violenta tale da cagionare una sensazione dolorosa al soggetto passivo, mentre sono irrilevanti gli antecedenti psichici della condotta, ossia il movente del comportamento tipico descritto dalla norma generale" (Cass. pen. n. 4326/1979), non essendo indispensabile che, ai fini dell'integrazione del delitto, si accompagni l'intenzione di provocare dolore fisico (ad es. nel caso di spinta per intento scherzoso, sfida bonaria, ecc.).
Percosse: procedibilità
Il reato di percosse è perseguibile, come regola generale, a querela della persona offesa.
Tuttavia, la legge n. 113/2020 ha previsto la procedibilità d'ufficio laddove il reato sia commesso in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell'esercizio di tali professioni o attività.
Percosse: competenza
A partire dal 2 gennaio 2002, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 274/2000, il delitto di percosse è passato alla competenza del Giudice di Pace (Cass. n. 30736/2009), il quale applica la pena della sola multa da 258 a 2.582 euro (ex art. 52 comma 2 lett. a), d.lgs. n. 274/2000), salvo che non ricorrano le circostanze aggravanti indicate dall'art. 4 del decreto, poiché in tal caso il reato rientra nella competenza penale del tribunale monocratico e trova applicazione la cornice edittale (reclusione fino a 6 mesi o multa fino a 309 euro) prevista dall'art. 581 c.p.
Si precisa che l'arresto, il fermo e le misure cautelari non sono consentiti e che alla fattispecie incriminatrice si applicano, inoltre, le aggravanti ed attenuanti comuni (ex artt. 61 e 62 c.p.).
Lesioni e percosse
Per la giurisprudenza maggioritaria, il reato di percosse si distingue da quello di lesione personale ex art. 582 c.p. soltanto dal punto di vista dell'elemento oggettivo: il primo, infatti, si riduce in una mera sensazione dolorosa, mentre il secondo cagiona al soggetto passivo una lesione dalla quale deriva una malattia nel corpo e nella mente (Cass. n. 15420/2008; Cass. n. 714/1999).
Rapporti con altri reati
Con riferimento ai rapporti con gli altri reati, il delitto ex art. 581 c.p. rimane assorbito in delitti più gravi, in cui la violenza è circostanza aggravante o elemento costitutivo del reato [come, ad esempio, il delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. (Cass. n. 7043/2005), la violenza privata ex art. 610 c.p. (Cass. n. 4669/1995), la rapina (art. 628 c.p.), la rissa (art. 588 c.p.), ecc.].
In ordine, invece, al reato di ingiuria, l'orientamento dominante ritiene che l'azione del percuotere possa essere qualificata come tale soltanto in casi eccezionali, in cui le percosse siano "espressione di una violenza puramente formale, di inavvertibile entità, che testimoni l'intento di evitare qualsiasi pur minima sofferenza alla parte offesa, evidenziando invece l'esclusivo proposito di arrecare offesa morale" (Cass. n. 1801/1986).
E' necessaria, a tal fine, dunque, "la prova rigorosa, da un lato che l'intenzione dell'autore del fatto fu esclusivamente quella di arrecare un'offesa morale; dall'altro che la violenza ebbe carattere solo apparente giacché la condotta dell'agente diretta solo ad avvilire la vittima con un gesto di disprezzo contenne tale gesto in misura così ben calcolata da evitarle qualunque sofferenza fisica anche di tenuissima entità" (Cass. n. 800/1984).
Infine, gli atti diretti soltanto a percuotere possono determinare responsabilità per lesioni, magari gravissime o per omicidio preterintenzionale (Cass. n. 44751/2008).