La tutela giudiziaria del possessore
Nonostante il possesso sia una situazione giuridica "materiale", il legislatore italiano ha ritenuto opportuno introdurre delle azioni giudiziarie a tutela del possessore e ciò per due ragioni principali.
Il primo scopo è quello di mantenere la pace sociale, evitando che il possessore, spogliato della cosa, tenti di "farsi giustizia da solo" al fine di riottenere immediatamente la disponibilità del bene; il secondo scopo è quello di rafforzare la tutela del titolare del diritto reale, la protezione dello ius possessionis in quanto tale, fornendogli degli strumenti processuali che, sebbene dotati del carattere della sommarietà, tendano a ripristinare la situazione di fatto antecedente alla turbativa o allo spoglio in modo celere e tempestivo, non essendo necessaria, all'uopo, la prova dell'effettiva titolarità del diritto reale corrispondente (Cass. n. 6093/1997), purchè ovviamente, non vengano dimostrate le ragioni del proprietario in un successivo giudizio petitorio (Cass. n. 10470/1991).
A tutela del possesso in quanto tale il legislatore predispone due speciali azioni (c.d. "strettamente possessorie"), modulate sul tipo di lesione lamentata: la reintegra, in presenza di spoglio violento o clandestino (art. 1168 c.c.) e la manutenzione (art 1170 c.c.) finalizzata ad eliminare molestie o turbative nel possesso o a recuperare lo stesso in caso di spoglio non violento o clandestino (c.d. "spoglio semplice").
È da rilevare, infine, che, mentre in vigenza del precedente codice del 1865, la giurisprudenza non riteneva tutelabile il possesso tramite il ricorso all'art. 2043 c.c., sull'assunto che tale disposizione di carattere sanzionatorio fosse volta a "punire" esclusivamente l'eventuale lesione di un diritto soggettivo riconosciuto specificamente da una norma giuridica, l'orientamento attuale tende invece a configurare tale tipologia di tutela, sulla base di una concezione dell'art. 2043 c.c. quale norma atipica ed aperta, volta quindi alla salvaguardia non solo dei diritti soggettivi ma anche degli interessi considerati giuridicamente rilevanti dall'ordinamento giuridico.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, nel giudizio possessorio, a seguito di molestie o spoglio, può avere ingresso l'azione risarcitoria ex art. 2043 c.c., atteso che gli stessi sono lesivi della posizione di signoria riconosciuta al possessore sulla res: la domanda di risarcimento del danno consistente nella diminuzione patrimoniale sofferta per il tempo in cui si è protratto lo spoglio o la turbativa del possesso, si configura come accessoria a quella principale di reintegra o di manutenzione (Cass. n. 9871/1994; n. 1984/1998) e può essere proposta congiuntamente o in via autonoma (Cass. n. 20875/2005). Altro orientamento, più risalente, è contrario a tale impostazione (tra le altre, si vedano: Pret. Roma 11.4.1984; Pret. Torino 3.4.1995).
Benché non sia posta a tutela specifica del possesso in quanto tale, la seconda categoria di rimedi esperibili dal possessore (oltre che dal proprietario e dal titolare di altro diritto reale) è rappresentata dalle c.d."azioni di nunciazione".
Disciplinate dagli artt. 1171 e 1172 c.c., le denunzie di nuova opera e di danno temuto, a differenza delle azioni a difesa del possesso, caratterizzate da un intervenuto successivo al pregiudizio sofferto dal bene, sono funzionali al diverso scopo di proteggere le res dai pregiudizi che potrebbero derivare da un facere o dalla violazione di un obbligo di custodia o manutenzione altrui.
Le azioni di nunciazione assumono, dunque, una veste cautelare tale da realizzare una tutela preventiva del bene rispetto alla possibilità di un futuro pregiudizio.
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