Il licenziamento per superamento del periodo di comporto
di Valeria Zeppilli - Nel diritto del lavoro, per periodo di comporto si intende il periodo di tempo durante il quale un lavoratore, assente per malattia o infortunio, conserva il proprio diritto al mantenimento del posto di lavoro. La sua durata è fissata dalla contrattazione collettiva.
Una volta decorso il periodo di comporto, se il lavoratore non rientra a lavoro, il datore di lavoro è libero di licenziarlo.
L'articolo 2110 c.c.
A garantire al lavoratore che non può recarsi a lavoro in quanto malato o infortunato il mantenimento dell'occupazione per un determinato arco temporale è il codice civile.
L'articolo 2110, infatti, al comma 2 stabilisce che in caso di infortunio o di malattia (così come in caso di gravidanza o di puerperio) l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto solo una volta che sia decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità.
Specialità rispetto alla disciplina dei licenziamenti
Tale previsione pone, quindi, i casi di assenza per malattia e infortunio in una posizione speciale e li sottopone a una disciplina che prevale su quella generale dei licenziamenti (oltre che su quella dettata dal codice civile per l'impossibilità sopravvenuta della prestazione).
Una volta che il periodo di comporto sia trascorso, peraltro, tale circostanza diviene già di per sé sufficiente a legittimare il licenziamento: come chiarito anche dalla Corte di cassazione (cfr., ad esempio, Cass. n. 1404/2012) in un simile caso non è infatti necessario fornire la prova né del giustificato motivo oggettivo né dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa né dell'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse.
In sede di un eventuale contenzioso il giudice potrà accertare soltanto se la malattia abbia effettivamente superato, nella durata, il termine prefissato.
Esercizio del diritto di recesso
Quanto visto, tuttavia, non implica che al momento del superamento del periodo di comporto il rapporto di lavoro debba considerarsi automaticamente estinto.
Il datore di lavoro, infatti, resta comunque libero di esercitare il diritto di recesso e, se lo fa, non deve dimenticare di rispettare le forme prescritte dalla legge per il licenziamento.
Peraltro, tale licenziamento non necessariamente deve essere immediato ma può avvenire anche dopo la ripresa dell'attività lavorativa da parte del dipendente, purché resti il nesso di causalità tra il recesso e il superamento del periodo di comporto.
Infatti la ripresa della attività lavorativa da parte del dipendente non può essere considerata, di per sé, come rinuncia del datore di lavoro al suo diritto di recedere dal rapporto ai sensi dell'art. 2110 del codice civile (cfr. Cass. n. 16462/2015).
Licenziamento intimato in pendenza di comporto
Dall'articolo 2110 c.c. emerge, insomma, che per il datore di lavoro non è possibile, in via generale, licenziare il lavoratore in pendenza del suo stato di malattia o infortunio, prima che sia decorso il cd. periodo di comporto: il recesso eventualmente intimato nonostante tale vincolo, infatti, deve considerarsi nullo per contrarietà al codice civile.
Tuttavia, questa regola generale non è esente da eccezioni.
Il lavoratore infortunato o in malattia, infatti, in alcuni casi può essere licenziato anche prima che il termine del comporto sia spirato. Ci si riferisce, innanzitutto, al caso in cui si accerti che il lavoratore, a seguito dell'evoluzione della sua affezione morbosa, non sarà più in grado di riprendere la sua normale attività lavorativa o al caso in cui le particolari modalità di svolgimento di questa lo espongano a un'inevitabile ricaduta.
Infine, c'è l'ipotesi del licenziamento in tronco per giusta causa: questa, infatti, non trova un ostacolo nel periodo di comporto, ma va in ogni caso esplicitamente menzionata nell'atto di recesso.
Comporto secco o per sommatoria
Resta da precisare che il periodo di comporto, durante il quale il lavoratore in malattia conserva il diritto al posto di lavoro, può essere secco o per sommatoria.
Il comporto secco è quello riferito ad un unico evento morboso, protrattosi senza interruzioni.
Ad esso si affianca il comporto per sommatoria, ovverosia quello che prende in considerazione tutte le assenze (anche frazionate) verificatesi per malattia in un determinato arco temporale (ad esempio 180 giorni nell'arco di dodici mesi).
Giurisprudenza
Ecco alcune pronunce rilevanti della Corte di cassazione in materia di periodo di comporto.
"Mentre nel licenziamento disciplinare vi è l'esigenza della immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del diritto di difesa all'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative, e la cui valutazione non è sindacabile in Cassazione ove adeguatamente motivata" (Cass. n. 10666/2016)
"Ai fini del superamento del periodo di comporto contrattuale, che legittima il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, la normativa legale non distingue tra assenze per malattia ed assenze per infortunio, se tale sommatoria non sia anche espressamente esclusa dalla disciplina pattizia" (Cass. n. 17837/2015)
"La valutazione del tempo decorso fra la data del superamento del periodo di comporto e quella del licenziamento, al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto, va condotta con criteri di minor rigore, che tengano conto di tutte le circostanze all'uopo significative, così da contemperare da un lato l'esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall'altro, quella del datore di lavoro circa l'opportunità della prosecuzione del rapporto (v. Cass. 23.01.08 n. 1438). Ne consegue che la considerazione della tempestività del licenziamento non può risolversi nella mera individuazione del dato cronologico, ma impone una valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative, e la cui valutazione non è sindacabile in Cassazione ove adeguatamente motivata" (Cass. n. 2835/2014)
Aggiornamento: Novembre 2016
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