Prestiti tra conviventi
- Prestiti tra conviventi e obbligo di restituzione
- Quando non c'è obbligo di restituzione
- L'irripetibilità delle obbligazioni naturali
- Oneri probatori
Prestiti tra conviventi e obbligo di restituzione
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Gli scambi di somme di danaro tra due persone possono essere inquadrati in diversi schemi giuridici, dal semplice prestito a contratti a prestazioni corrispettive sino al mandato diretto a pagare debiti di una delle due parti. Comune denominatore di tutte queste situazioni è l'obbligo di colui che ha ricevuto il denaro di restituirlo, salvo che si tratti di una donazione o un regalo o di prestiti che non facciano sorgere l'obbligo di restituzione, come avviene nell'ambito della famiglia tradizionale.
Tra questi rientrano i prestiti tra conviventi che non sono legati da vincoli di parentela? Vediamo.
In merito alla convivenza more uxorio, invece, considerato che (sia durante che dopo la fine della convivenza) possono intercorrere tra le parti reciproci versamenti di denaro, e instaurarsi conseguenti richieste di restituzione di somme, si pone il problema dell'inquadramento giuridico di tali "prestiti".
Sostanzialmente, la famiglia di fatto, caratterizzandosi come unione libera non fondata su un atto giuridico, non consentirebbe di configurare per i conviventi i medesimi obblighi di assistenza materiale, morale e di contribuzione agli oneri del ménage familiare giuridicamente coercibili come quelli incombenti sui coniugi a norma dell'art. 143 c.c.
Ciò significa che, pur non essendo codificate come per la famiglia tradizionale dall'art. 143 c.c., le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nell'ambito della coppia di fatto rientrano nelle obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c., escludendo pertanto il diritto del convivente che ha elargito le somme alla restituzione (Cass. n. 11330/2009).
Quando non c'è obbligo di restituzione
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Per i prestiti tra coniugi non è applicabile la regola della restituzione delle somme spese a favore dell'altro coniuge, ove si tratti di somme utilizzate per la vita familiare, inquadrate, pertanto, nei doveri morali e di assistenza reciproci che l'art. 143 c.c. impone al rapporto di coniugio.
In merito alla convivenza more uxorio, invece, considerato che (sia durante che dopo la fine della convivenza) possono intercorrere tra le parti reciproci versamenti di denaro, e instaurarsi conseguenti richieste di restituzione di somme, si pone il problema dell'inquadramento giuridico di tali "prestiti".
Sostanzialmente, la famiglia di fatto, caratterizzandosi come unione libera non fondata su un atto giuridico, non consentirebbe di configurare per i conviventi i medesimi obblighi di assistenza materiale, morale e di contribuzione agli oneri del ménage familiare giuridicamente coercibili come quelli incombenti sui coniugi a norma dell'art. 143 c.c.
Anche dal punto di vista patrimoniale, non essendo assoggettata la coppia di fatto ad un regime giuridico come quello sulla comunione legale dei beni, si ritiene che i patrimoni personali e i beni acquistati in costanza di convivenza siano destinati a rimanere nella titolarità esclusiva di entrambi gli acquirenti (salve, ovviamente, le ipotesi di acquisti congiunti nell'esercizio dell'autonomia privata). Pertanto, in caso di cessazione del rapporto, entrambi i conviventi dovrebbero provvedere a recuperare quanto di personale è stato messo in comune durante la coabitazione.
Tuttavia, in merito ai prestiti di somme di denaro (o anche agli eventuali doni) che l'un convivente abbia fatto all'altro, la pretesa restituzione non è così scontata. Deve ritenersi, infatti, che dal punto di vista etico e morale, anche i conviventi more uxorio siano tenuti a darsi reciproca assistenza e a contribuire, secondo le rispettive possibilità, alle spese del ménage familiare (cfr. Trib. Reggio Calabria n. 10/2019; Cass. n. 21479/2018).
L'irripetibilità delle obbligazioni naturali
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La sussistenza di tale vincolo dal punto di vista giuridico ha l'effetto di rendere irripetibili gli esborsi effettuati da uno dei conviventi per sopperire alle necessità dell'altro, integrando l'adempimento di un'obbligazione naturale ex art. 2034 c.c.
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, frutto anche del progressivo avvicinamento tra la famiglia di fatto e quella tradizionale basata sul matrimonio, infatti, "un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un'obbligazione naturale allorché la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens"; in difetto di uno specifico accordo tale attribuzione trova giustificazione "nell'ambito dei rapporti di reciproca collaborazione e assistenza propri di un ménage di convivenza more uxorio" (Cass. n. 3713/2003; n. 2974/2005).
Ciò significa che, pur non essendo codificate come per la famiglia tradizionale dall'art. 143 c.c., le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nell'ambito della coppia di fatto rientrano nelle obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c., escludendo pertanto il diritto del convivente che ha elargito le somme alla restituzione (Cass. n. 11330/2009).
Ovviamente, non si tratta di un principio generalizzato: ad essere esenti dall'obbligo di restituzione sono, secondo la giurisprudenza, solo i versamenti effettuati per far fronte alle esigenze di vita quotidiana, indipendentemente dalle modalità di versamento (una tantum, mensili, ecc.) (Cass. n. 1277/2014).
Le somme che non possono essere ricondotte invece all'adempimento di un dovere morale e sociale, poichè esorbitanti dalle esigenze familiari, possono essere chieste indietro al termine della convivenza (Cass. n. 11303/2020).
L'indagine sul reale carattere della prestazione si risolve in un accertamento di fatto, riservato al giudice del merito, che dovrà valutare sulla base degli elementi probatori forniti.
Oneri probatori
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L'onere della prova è a carico del convivente che chiede la restituzione delle somme prestate, il quale è tenuto a dimostrare gli elementi costitutivi della domanda e, pertanto, non solo l'avvenuta consegna della somma ma anche il titolo da cui derivi l'obbligo della vantata restituzione.
In mancanza di apposito titolo specifico, secondo giurisprudenza pacifica, la datio di una somma di danaro non vale di per sé a fondare la richiesta di restituzione, "allorquando ammessane la ricezione l'accipiens non confermi il titolo posto ex adverso alla base della pretesa di restituzione ed, anzi, ne contesti la legittimità, posto che, potendo una somma di danaro essere consegnata per varie cause, la contestazione, ad opera dell'accipiens, della sussistenza di un'obbligazione restitutoria impone all'attore in restituzione di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, onere questo che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l'obbligo della restituzione, mentre la deduzione di un diverso titolo, a opera del convenuto, non configurandosi come eccezione in senso sostanziale, non vale ad invertire l'onere della prova" (cfr., tra le altre, Cass. n. 9541/2010; n. 6295/2013; n. 9864/2014).
Data aggiornamento dicembre 2022