La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che "è riconosciuto il diritto ai permessi ex art. 33, L. n. 104 del 1992 anche al genitore lavoratore coniugato con un non lavoratore in grado di assistere il figlio". Questo è il principio di diritto ripreso dalla Corte di Cassazione che, con sentenza 27 settembre 2012, n. 16460, accoglie il ricorso di un lavoratore, padre di un figlio affetto da handicap, che si è visto negare dalla società datrice i tre giorni di permesso mensili dovutigli per l'assistenza al minore. Dopo alcuni gradi di giudizio, la società aveva visto le sue pretese accolte dalla Corte d'Appello, avendo posto a fondamento del vantato diritto il fatto che la moglie del richiedente oltre a non svolgere attività lavorativa, fosse in grado di assistere il figlio gravemente disabile.

Secondo il D.Lgs. n. 151 del 2001," il diritto del lavoratore a tre giorni mensili di permesso retribuito per assistere il figlio minore convivente con handicap grave spetterebbe solo se l'altro genitore convivente non lavoratore sia impossibilitato a provvedere a tale assistenza".

Di contro, già il legislatore con la L. 5 febbraio 1992 n. 104 aveva specificato che ci sono agevolazioni per i lavoratori che assistono soggetti portatori di handicap ed in particolare che "Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità, nonché colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, ... fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno"'.

Inoltre, lo stesso D.Lgs. n. 151 del 2001 su citato specifica all'art. 42 che i permessi mensili a favore del genitore di portatore di handicap "spettano anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto".
Tali agevolazioni sono dirette essenzialmente ad evitare che il bambino handicappato resti privo di assistenza, di modo che possa risultare compromessa la sua tutela psico-fisica e la sua integrazione nella famiglia e nella collettività, così confermandosi che, in generale, il destinatario della tutela realizzata mediante le agevolazioni previste dalla legge non è il nucleo familiare

in sé, ovvero il lavoratore onerato dell'assistenza, bensì la persona portatrice di handicap.

Un'adeguata tutela del figlio handicappato esige che all'assistenza continua da parte del genitore non lavoratore si aggiunga anche l'assistenza del genitore lavoratore per i tre giorni di permessi mensili previsti dalla legge, ciò non solo perché l'handicappato ha bisogno dell'affetto anche da parte del padre lavoratore, ma anche perché sussiste tipicamente una ovvia esigenza di avvicendamento e affiancamento, almeno per quei tre giorni mensili, del genitore non lavoratore.

Per questi motivi la Suprema Corte accoglie il ricorso e annulla la precedente sentenza e rinvia alla stessa Corte d'Appello in diversa composizione.


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