di Teresa Fiortini - Nella recente sentenza n. 11020 del 9 Maggio 2013 la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un padre che chiedeva la diminuzione dell'assegno di mantenimento per il figlio oramai trentenne il quale, dopo aver lavorato solo per un breve periodo di tempo con una retribuzione "risibile" (sei mesi di tirocinio in Spagna, con rimborso spese di complessivi euro 3000,00, e tre mesi di collaborazione con cliniche private, con un compenso di euro 7,00 per ora), doveva ancora frequentare la scuola di specializzazione e non aveva raggiunto una completa autosufficienza economica, senza che ciò fosse ascrivibile a proprio comportamento colposo. I Giudici di Piazza Cavour hanno seguito il principio già espresso dalla stessa Corte (in tal senso, le pronunce Cass. n. 1773/2012, Cass. n. 1830/2011, ) secondo cui l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, ai sensi degli artt. 147 e 148 c.c., non cessa, "ipso facto", con il raggiungimento della maggiore età ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività economica dipende da un comportamento inerte o di rifiuto ingiustificato dello stesso. L' accertamento sullo status di autosufficienza economica del figlio non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e post-universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari. Nella stessa direzione già si erano espressi gli Ermellini nella sentenza n. 8954 del 2010 con riferimento ad un'attività part-time o precaria, ovvero al conseguimento di una borsa di studio universitaria, che, in considerazione della natura non stabile e l'entità esigua dell'ammontare, non possono dirsi sufficienti a far venir meno l'onere di contribuzione a carico dei genitori ("Il conseguimento di emolumenti percepiti in via precaria come una borsa di studio universitaria o altri compensi attribuiti in vista dell'apprendimento di una professione per la loro stessa natura, consistenza e temporaneità non è equiparabile agli ordinari rapporti di lavoro subordinato, onde, non essendo sufficiente il mero godimento di un reddito quale che sia, occorre altresì la prova della loro adeguatezza ad assicurare al figlio, anche con riferimento alla durata del rapporto in futuro, la completa autosufficienza economica"). Tali orientamenti trovano espressa conferma nell'art. 155 quinquies, 1 comma, c.c. afferente alla tutela della prole in caso di crisi familiare. Infatti, "il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salva diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto". Revocato l'assegno di mantenimento al figlio che non vuole lavorare. La Corte di cassazione, con l'ordinanza 7970 del 2 aprile 2013, in controtendenza rispetto alla giurisprudenza esaminata e consolidata, ha sancito che può essere revocato l'assegno di mantenimento al figlio ormai adulto che rifiuta il lavoro anche se non pienamente rispondente alle sue aspirazioni e agli studi fatti. Ad avviso dei Supremi giudici «ai fini dell'esonero dell'assegno per il figlio maggiorenne è necessario che il mancato svolgimento di attività lavorativa dipenda da inerzia o da rifiuto ingiustificato». Negato il mantenimento al figlio naturale maggiorenne che non allega la mancanza d'indipendenza economica. La mancanza di indipendenza economica, benché possa di regola presumersi, con la conseguenza che incomba sul genitore l'obbligo di provare l'autonomia economica del figlio, non è dunque una fattispecie impeditiva del diritto del figlio al mantenimento, ma è elemento della fattispecie costitutiva di tale diritto. Deve essere pertanto allegata da chi postuli il diritto al mantenimento. E se questa allegazione può essere ritenuta implicita nella domanda del figlio minorenne, deve invece essere esplicitata nella domanda del figlio maggiorenne. Ne consegue che, quando agisce per il riconoscimento del diritto al mantenimento, il figlio maggiorenne deve allegare una condizione legittimante, cui riferire l'onere del genitore di provarne l'inesistenza (Cass. n. 16612/2010). La legittimazione ad agire in giudizio. Una delle questioni maggiormente discusse in dottrina ed in giurisprudenza è quella concernente l'ammissibilità di intervento del figlio maggiorenne nei giudizi di separazione e di divorzio dei genitori. Secondo la Suprema Corte la soluzione del problema non può prescindere dalla coesistenza, quanto meno in astratto, di due posizioni giuridiche meritevoli di tutela: quella del genitore convivente, diretta ad ottenere dall'altro l'attribuzione di un assegno di contribuzione, sulla base delle immutate norme contenute negli artt. 147 e 148 c.c., al fine di assolvere compiutamente i propri doveri senza dover anticipare la quota gravante sull'altro coniuge (Cass. n. 17275/2010); quella del figlio, avente diritto al mantenimento, ed anzi legittimato in via prioritaria ad ottenere il versamento diretto del contributo.
Teresa Fiortini
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