Il tradimento non costituisce, di per sé, causa di addebito della separazione

È principio pacificamente affermato in giurisprudenza (v. ex multis, Cass. n. 8512/2006; n. 25618/2007) che il tradimento non costituisce, di per sé, causa di addebito della separazione, ove non rappresenti il fattore scatenante della crisi coniugale e ove, soprattutto, venga superato dalla coppia che ha recuperato l'armonia del rapporto.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 16270/2013, accogliendo, tuttavia, la richiesta di addebito della separazione formulata dall'ex marito, proprio a causa dell'incidenza del tradimento della moglie nella rottura del rapporto matrimoniale.

Vedendo rigettate le proprie istanze dai giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, sull'assunto che l'infedeltà coniugale non avesse determinato crisi irreversibile del rapporto coniugale, nonché considerata la disponibilità manifestata dallo stesso di conciliarsi con la moglie, l'uomo aveva proposto ricorso in Cassazione, anche a fronte della richiesta di mantenimento avanzata dalla donna.

Al contrario di quanto affermato dai giudici di merito, la Suprema Corte gli ha dato ragione.

È vero, infatti, ha affermato la Cassazione che il presupposto dell'addebito "è rappresentato dal nesso causale che deve intercorrere tra la violazione dei doveri coniugali e la crisi dell'unione familiare" che va accertato verificando se la relazione extraconiugale sia stata causa dell'intollerabilità della convivenza, oppure, pur rappresentando una violazione particolarmente grave, sia intervenuta "in un menage già compromesso, ovvero, perché, nonostante tutto, la coppia ne abbia superato le conseguenze recuperando un rapporto armonico".

Tuttavia, è altresì vero, hanno aggiunto gli Ermellini, che non può bastare "una generica affermazione di volontà riconciliativa", la quale di per sé non solo "non elide la gravità del vulnus subito - ma assume valore soltanto - in quanto determini un effettivo ristabilimento dell'armonia coniugale". Quando, invece, come nel caso di specie, "in presenza di una condotta univocamente trasgressiva e gravemente lesiva dei doveri coniugali, alla volontà di riconciliazione non corrisponde un positivo riscontro da parte dell'altro", il quale anzi dà luogo ad una maggiore ostentazione della relazione adulterina, è evidente, hanno concluso i giudici di piazza Cavour accogliendo il ricorso del marito, che deve considerarsi persistente tanto la situazione di crisi quanto la condotta che ha dato luogo all'intollerabilità della convivenza. 


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