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Sempre più spesso le notizie di cronaca mettono in luce episodi di maltrattamenti in famiglia da parte di uomini violenti. Si tratta di un reato disciplinato dall'articolo 572 del codice penale e che consiste in vessazioni e prevaricazioni continue, sia fisiche che psicologiche, poste in essere nei confronti di vittime deboli, quali donne o bambini.
Il legislatore ha voluto prevedere per questo reato la procedibilità d'ufficio il che significa che non c'è bisogno di presentare querela e che la procura può decidere di procedere sulla base di una semplice notizia di reato.
Ma gli episodi di violenza non sempre finiscono con la fine del matrimonio.
Che accade dunque se l'ex marito anche dopo il divorzio continua maltrattare la ex moglie?
Secondo la Cassazione non si può configurare il reato di maltrattamenti in famiglia (sentenza n. 50333 del 13.12.2013) dato che in effetti di famiglia non si può più parlare. Dunque, il reato può essere commesso solo all' interno del matrimonio o quando i coniugi sono in fase di separazione, mentre questo reato non può essere contestato se i maltrattamenti vengono posti in essere dopo il divorzio.
Attenzione, ciò non significa che non si possono configurare altre tipologie di reato.
Qui di seguito in breve la vicenda giudiziaria.
Il Tribunale di Napoli condannava un uomo alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione e al risarcimento del danno in favore della parte civile per una serie di reati unificati ai sensi dell' art. 81 c.p. (concorso formale di reati) sotto il vincolo della continuazione, quali maltrattamenti in famiglia, violenza privata, minacce e ingiurie e molestie in danno della moglie.
L'imputato impugnava la sentenza di primo grado proponendo appello.
La Corte di Appello di Napoli, chiamata a rispondere sulla questione, dava atto della remissione della querela e della rinuncia alla costituzione di parte civile da parte della ex moglie, dichiarava di non doversi procedere in ordine al reato ex art. 594 cp. (ingiuria) in quanto lo stesso reato si era estinto per remissione di querela.
Infine, la pena veniva rideterminata in anni tre di reclusione per i reati residui.
L'uomo ritenendo ingiusta la sentenza di secondo grado impugnava la stessa con ricorso per cassazione; nel ricorso si faceva rilevare che non sussistevano i requisiti soggettivi ed oggettivi del reato di cui all'art. 572 c.p.,, inoltre, secondo la difesa dell'ex marito, i giudici di secondo grado non tenevano conto che con il divorzio cessavano i presupposti per la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia.
Gli Ermellini ritenevano il ricorso fondato ma, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, consideravano sussistenti i requisiti oggettivo e soggettivo del reato ex art. 572 c.p., costituito dall'abitualità delle condotte vessatorie.
La Corte, dunque, dando ragione al ricorrente riteneva che con il divorzio, non essendo seguita alcuna ricomposizione familiare, cessavano i presupposti per la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia.
In pratica, la Suprema Corte escludeva il reato ex art. 572 cp. per il periodo successivo all'11.07.2003 (cioè corrispondente alla data del divorzio) mentre il reato di maltrattamenti in famiglia doveva ritenersi sussistente per il periodo anteriore, cioè quando la coppia era ancora sposata o in fase di separazione.
In definitiva, la Corte di Cassazione annullava, senza rinvio, la sentenza impugnata in ordine al reato di cui all'art. 572 cp. (maltrattamenti in famiglia), con la formula "perché il fatto non sussiste", solo limitatamente alle condotte poste in essere dopo il divorzio e cioè dopo la data dell' 11.07.2003.
Il ricorso, invece, veniva rigettato per tutto il resto e si disponeva la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli per la rideterminazione della pena in ordine ai residui reati di cui agli artt. 572 (periodo anteriore all'11.7.2003) art. 610 c.p. (violenza privata) e art.660 c.p. (molestia o disturbo alle persone).
Da sapere:
Per il reato di Maltrattamenti in famiglia l'arresto in flagranza è facoltativo, ma è obbligatorio in flagranza nel caso derivi la morte della vittima.
L'Autorità giudiziaria competente a conoscere del reato è il Tribunale monocratico, mentre in caso di lesione gravissima è il Tribunale collegiale e se deriva la morte la Corte di Assise.
Art. 572 del codice penale (Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli):
"Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni".
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