Allorquando la vittima sia immediatamente deceduta a seguito delle gravi lesioni riportate in un incidente stradale, è legittimo negare il risarcimento del danno biologico richiesto iure haereditario dagli stretti congiunti della vittima? Era questo il quesito di diritto che poneva - diamo una volta tanto il giusto merito anche agli avvocati che contribuiscono al mutamento del perimetro dei diritti riconosciuti - l'Avv. Enrico De Magistris (al cospetto del Sostituto Procuratore Generale Dr. Tommaso Basile che chiedeva il rigetto del ricorso) in relazione al caso di un decesso avvenuto a distanza di circa tre ore che doveva ritenersi pressoché contemporaneo alla collisione dei veicoli condotti dalla vittima e dal convenuto, garantito per la rca con Unipol.
Il Tribunale di Cuneo aveva ascritto la responsabilità del sinistro ad entrambi, ponendo la preponderante addebitabilità al pilota assicurato con la Compagnia bolognese, suddividendo la concorsualità in 30% e 70%. Era stato negato il risarcimento per la voce di danno biologico c.d. iure haereditario.
Adita in sede di impugnazione la Corte di Appello di Torino confermava in parte qua la pronuncia cuneese, uniformandosi al principio di diritto, più e più volte affermato in sede di merito e di legittimità, in base al quale non è risarcibile a titolo ereditario il danno biologico in caso di morte sopraggiunta nell'immediatezza come conseguenza del fatto illecito.
Gli eredi della vittima, con il quinto motivo di ricorso, chiedono la cassazione del capo di sentenza che ha rifiutato la domanda di refusione di tale voce di danno.
L'Estensore Dott. Giacomo Travaglino, sotto la presidenza del Dott. Libertino Alberto Russo, prende le mosse dalla sentenza 1361/2014; alla pronuncia del Dott. Luigi Alessandro Scarano i fedeli lettori di Law In Action sanno che è già stato dedicato un contributo a firma del sottoscritto, pubblicato il 3 marzo 2014, di critica alla tesi restrittiva della portata della pronuncia, tesi apparsa sul portale Lider-Lab della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa (autrice Corinna Daini). L'autrice divisa che Cass. 1762/2014, in una visione simil-schizofrenica (acuita dalla circostanza che, come rilevavo il 3.3.'14, ben tre componenti del Collegio erano comuni alle due pronunce), ribalterebbe la posizione assunta categoricamente appena cinque giorni prima con la sontuosa e storica 1361/'14. Il che equivale a paragonare l'imparagonabile se è vero, com'è vero, che la pronuncia menzionata dal sito pisano è una routinaria sentenza d'inammissibilità, mentre con la 1361/'14 ogni interprete del diritto italiano in futuro dovrà cimentarsi. Ho preso, comunque, visione di quanto ribatte alla mia prospettazione il Prof. Giovanni Comandè dell'ateneo di Pisa con un esteso post redatto a quattro mani con il Prof. Luca Nocco, posizionato in calce a quel mio pezzullo: nessuna intenzione da parte mia di entrare in polemica con la Scuola Superiore pisana, ma soltanto di evidenziare al pubblico dei visitatori del web, cui mi pare che quotidianamente/incessantemente si offra su Studio Cataldi un servizio informativo decoroso e gratuito, un messaggio tecnico-giuridico a mio avviso erroneo e fallace.
Ho esaminato nel dettaglio la, peraltro scarsamente significativa, Cass. 1762/2014 rilevando che non ribalta alcunché a proposito del danno esistenziale, contrariamente a quanto opinato da settimane dal sito coordinato dal Prof. Comandè, tant'è che anche oggi apre l'home page.
Ora, tornando alla pronuncia di ieri, 4 marzo 2014, opera del Dott. Travaglino, già la stessa Sezione Terza del 23 gennaio 2014 ha affermato il principio secondo cui deve ritenersi risarcibile iure haereditario il danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni riportate a seguito di un sinistro stradale.
Tale fondamentale sentenza si pone in consapevole contrasto con la propria precedente giurisprudenza che più volte ha avuto modo di pronunciarsi in senso opposto in subiecta materia. In particolare, la pronuncia 6754/2011, sulla scia della risalente giurisprudenza di legittimità, aveva affermato il principio di diritto della irrisarcibilità per via ereditaria del danno da morte immediata.
Tale principio era stato posto espressamente a fondamento della decisione della Corte Costituzionale n. 372/1994, con cui la Consulta aveva escluso profili di illegittimità costituzionale dell'art. 2043 c.c. in relazione al c.d. danno biologico da morte avuto riguardo "limite strutturale della responsabilità civile, nella quale sia l'oggetto del risarcimento che la liquidazione del danno devono riferirsi NON ALLA LESIONE PER SE' STESSA, ma ALLE CONSEGUENTI PERDITE a carico della persona offesa".
in tempi più recenti, prosegue la disamina del Cons. Travaglino, ad affermare la trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale consistito nella sofferenza morale provata fra l'infortunio e la morte solo se, in tale periodo di tempo, la persona sia rimasta lucida e cosciente.
in occasione delle famose decisioni n. 26972/2008 di San Martino, chiamate a dare risposta ad un coacervo di quesiti stimolati proprio dall'ordinanza di rimessione n. 4712/2008 opera del medesimo Dott. Travaglino, le Sezioni Unite ebbero modo di affermare che la costante giurisprudenza di legittimità nega nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (sentenze 1704/1997, 491/1999, 13336/1999, 887/2002, 517/2006); d'altra parte, lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile (sentenze 6404/1998, 9620/2003, 4754/2004, 15404/2004) e a questo lasso temporale lo commisura.
Sul tema del danno da morte immediata, su cui le Sezioni Unite avevano escluso la possibilità di rimeditare il costante indirizzo giurisprudenziale della S.C. in assenza di argmentato dissenso, la recente pronuncia 19133/2011 ha affermato il principio che quando all'estrema gravità delle lesioni consegua, dopo un brevissimo intervallo di tempo, la morte, non può essere risarcito il danno biologico terminale connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute, ma esclusivamente il danno morale, dal primo ontologicamente distinto, fondato sull'intensa sofferenza d'animo conseguente alla consapevolezza delle condizioni cliniche seguite al sinistro.
Poichè, dunque, l'epocale decisione ritiene risarcibile il danno c.d. tanatologico, ha inteso superare il criterio dell'individuazione di un adeguato periodo di lucidità e di coscienza nella vittima del sinistro ai fini dell'acquisizione al suo patrimonio di un diritto trasmissibile iure successionis. Il contrasto viene cosà rimesso al Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione Giorgio Santacroce affinché valuti l'esigenza di investire le Sezioni Unite del S.C. al fine di definire e precisare per ragioni di certezza del diritto il quadro della risarcibilità del danno non patrimoniale come delineato nel novembre 2008 sulla scorta degli ulteriori contributi di riflessione (discordanti fra loro) offerti dalla Sezione semplice sull'argomento del diritto della risarcibilità iure haereditario del danno da morte immediata.
Tengo a riportare l'orientamento in proposito di Patrizia Ziviz desunto dal cap. 4.10.1 del DIG (Diritto Italiano nella Giurisprudenza a cura di Paolo Cendon) dedicato ai "Danni non patrimoniali", edito da UtetGiuridica nel 2012: "Molto discusso da parte degli interpreti è apparso, negli ultimi anni, il problema relativo alla risarcibilità, in ambito aquiliano, della perdita della vita, laddove questa sia stata provocata dall'illecito comportamento altrui.
La questione si è posta, concretamente, agli interpreti all'atto della formulazione del danno-evento: ad essere prospettata, infatti, è la ricorrenza - in capo alla vittima deceduta - di un pregiudizio incarnato dalla lesione del diritto alla vita. Alla luce di tale prospettiva dogmatica, la ricostruzione appariva del tutto fondata, salva restando la perplessità sollevata dal fatto che il ristoro di un simile pregiudizio non potesse mai essere attribuito al diretto danneggiato, ma necessariamente spettasse ai suoi eredi".
"Sotto l'etichetta del danno da morte - prosegue Patrizia Ziviz - sono stati ricondotti pregiudizi alquanto variegati, che comprendono sia i danni patiti dalla vittima per il periodo di sopravvivenza, sia il pregiudizio incarnato dalla perdita della vita considerata in quanto tale; senza contare che, spesso, vengono così qualificate anche le compromissioni risentita dai congiunti del defunto. ...Per quanto riguarda ...la perdita della vita, la stessa non può essere configurata né come danno biologico, né come danno morale, dal momento che entrambe queste due voci risultano legate ad una condizione di sopravvivenza della vittima. Non appare, perciò, condivisibile la posizione espressa dalle Sezioni Unite del novembre 2008, secondo cui la perdita della vita dovrebbe pesare nella quantificazione del danno morale da agonia, sulla base della considerazione che, in caso di decesso, 'il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata, o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il riconoscimento del danno biologico per la perdita della vita, e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura ...' - Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972".
Avv. Paolo M. Storani
In allegato: Testo dell'ordinanza 5056/2014 della Corte di Cassazione