"Nel nostro ordinamento non esistono danni in re ipsa, risarcibili sol perché si dimostri l'avvenuta lesione d'un diritto. La lesione del diritto è il presupposto necessario, ma non sufficiente per pretendere il risarcimento del danno: ad esso dovrà necessariamente conseguire una perdita, patrimoniale o di altro tipo". Così ha statuito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16401 del 17 luglio 2014, in un caso riguardante l'errata diagnosi da parte di un ginecologo che non si accorgeva che la sua paziente era in stato interessante.
Scoperta la gravidanza quando era ormai spirato il termine di legge per abortire, la donna conveniva in giudizio lo specialista chiedendo il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, causati dall'errore.
Sia in primo che in secondo grado veniva riconosciuta la responsabilità del medico e liquidato all'attrice il danno non patrimoniale rappresentato dalla "violazione del diritto della donna ad essere informata (definito "esistenziale")", ma non il risarcimento del danno patrimoniale consistente negli oneri di mantenimento del figlio, ritenendo non provata l'esistenza di una volontà abortiva della donna, nell'ipotesi in cui fosse stata tempestivamente informata.
Condividendo le statuizioni di merito, la S.C. ha escluso l‘esistenza di un nesso causale tra l'errore del medico e la prosecuzione della gravidanza. In particolare, ha affermato la Corte, il giudice d'appello, con statuizione motivata e insindacabile in sede di legittimità, "non ha affatto negato che siano risarcibili i danni derivanti da un fatto illecito (solo in questo caso si sarebbe potuto invocare una violazione dell'art. 1223 c.c.), ma ha statuito una cosa ben diversa: che dall'illecito non sono derivati danni (patrimoniali), ovvero che non ve ne era la sufficiente prova". Pertanto, ha sottolineato la Cassazione, rigettando il ricorso: "l'eventuale lesione del diritto di interrompere la gravidanza è dunque giuridicamente irrilevante se la gestante, quand'anche informata, avrebbe comunque verosimilmente scelto di non abortire".
Testo sentenza n. 16401/2014 Corte di Cassazione