Con la recente sentenza n. 33882 depositata il 31 luglio 2014, la Cassazione (sesta sezione penale) si è pronunciata sul reato di maltrattamenti in famiglia, affermando che lo stesso si configura anche dopo la cessazione della convivenza, poiché i doveri di rispetto reciproco, di assistenza e solidarietà che nascono dal rapporto tra coniugi, nonché i vincoli nascenti dalla filiazione, continuano a permanere.
La vicenda portata all'attenzione della S.C. prende le mosse dalla sentenza della Corte d'Appello di Cagliari (sezione distaccata di Sassari) che, in parziale riforma del provvedimento del Gup del locale tribunale, ritenendo assorbito il reato di violenza privata ex art. 610 c.p. in quello di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., a danno dell'ex convivente, rideterminava la pena inflitta in primo grado nei confronti di un uomo, nella misura di otto mesi di reclusione, condizionalmente sospesa.
L'imputato ricorreva per Cassazione, deducendo sia l'assenza del carattere dell'abitualità nelle condotte contestate che la cessazione del rapporto di convivenza sin dal 2006.
Per i giudici di Piazza Cavour il ricorso è infondato e, conseguentemente, inammissibile.
"Il delitto di maltrattamenti in famiglia in danno del coniuge - ha affermato infatti la S.C. - assorbe i reati di ingiuria
, molestia ed atti persecutori anche in caso di separazione e di conseguente cessazione della convivenza, rimanendo integri i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale".Né può influire sulla configurazione del delitto in esame la cessazione del rapporto di convivenza, la cui consumazione, secondo la Cassazione, "può aver luogo anche nei confronti di persona non convivente con l'imputato quando essa sia unita all'agente da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione". In ordine a tale ultimo profilo, rilevano, invero, nel caso di specie, ha concluso la Corte, "i perduranti obblighi di cooperazione nel mantenimento, nell'educazione, nell'istruzione e nell'assistenza morale dei figlio minore naturale (art. 315 bis cod. civ.) derivanti dalla comune potestà genitoriale, il cui esercizio congiunto (art. 317 bis e 316 comma 2 cod. civ.) implica di necessità il rispetto reciproco tra i genitori".