Con sentenza 16690/2014 la Corte di Cassazione ha stabilito ricordato che la responsabilità professionale dell'avvocato, configura un'obbligazione di mezzi e non di risultato.
Ciò significa che la responsabilità presuppone una violazione del dovere di diligenza.
Non va adottato però, spiega la Corte, il criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, ma "quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurare alla natura dell'attività esercitata".
La Corte ricorda inoltre che per affermare la responsabilità professionale dell'avvocato non ci si può basare solo fatto "del suo non corretto adempimento dell'attività professionale" va infatti verificato se:
a) l'evento produttivo del danno al cliente è riconducibile alla condotta professionale;
b) se un danno vi è stato effettivamente;
c) se, nel caso in cui il professionista "avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone".
Nel caso preso in esame dei giudici di piazza Cavour un ingegnere aveva dato incarico al proprio avvocato di procedere al recupero di un credito maturato per prestazioni professionali rese per la progettazione di una palazzina.
L'ingegnere aveva poi revocato il mandato all'avvocato lamentando una serie di negligenze anche in relazione alla strategia processuale intrapresa.
La domanda veniva respinta perché dall'istruttoria non era emerso che l'attività svolta dal legale e le sue strategie avessero arrecato un pregiudizio al cliente.