di Marina Crisafi - Non c'è pace per il Jobs Act. Prima per la sua approvazione che non ha messo d'accordo nessuno, salvo i suoi sostenitori, poi per i decreti attuativi che hanno delineato gli aspetti del contratto a tutele crescenti, degli ammortizzatori e soprattutto dei licenziamenti individuali e collettivi dopo la modifica (o l'abbandono!) dell'art. 18.
Questo fino alla vigilia di Natale. Ma le polemiche non si sono spente neanche tra Natale e Capodanno e il nuovo dibattito si è acceso sui "retroscena" (svelati dal senatore di Scelta Civica Pietro Ichino) della seduta del Cdm del 23 dicembre, conclusa il 24 dicembre con l'approvazione dei decreti attuativi e con un terzo comma all'art. 1 che ha sancito l'inapplicabilità della disciplina del Jobs Act "ai lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165".
Da allora è un botta e risposta continuo.
Da una parte, c'è chi, come Ichino, insiste sulla necessità di applicare la disciplina anche ai nuovi assunti della P.A. reputando assurda la loro esclusione visto e considerato che il principio cui è informato il Testo Unico sul pubblico impiego, salvo eccezioni legate ad esigenze particolari, uniforma i dipendenti pubblici alle stesse regole del rapporto di lavoro privato.
Dall'altra, invece, c'è chi, come il premier (ma anche i ministri Madia e Poletti), "glissa" sul fatto che dovrà essere il Parlamento a pronunciarsi sul punto e che, in ogni caso, le nuove regole sul pubblico impiego saranno riprese nell'imminente ddl Madia.
Intanto, nella conferenza stampa di fine anno, il premier, mentre dichiara di sentirsi come il "coach" Al Pacino in "Ogni maledetta domenica", decanta la flessibilità della riforma del lavoro accostandola a quella tedesca e ammette di essere stato lui ad aver proposto in Consiglio dei Ministri di togliere la norma sui dipendenti pubblici.
Il Jobs Act, infatti, a detta del premier, si occupa di disciplinare il rapporto di lavoro privato mentre per quello pubblico c'è la riforma in Parlamento (appunto la riforma Madia) che prenderà corpo a breve all'insegna del "chi sbaglia paga", con la possibilità di mandare a casa anche i "fannulloni" della P.A.
Intanto, però, proprio sul Jobs Act si profila all'orizzonte il referendum abrogativo ventilato in primis dai sindacati e poi dalla minoranza stessa del Pd.
Voi cosa ne pensate? È giusto lasciare fuori gli statali dal Jobs Act?
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