di Marina Crisafi - Approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo scorso (leggi l'articolo "Tenuità del fatto: sì definitivo del Cdm") il decreto legislativo n. 28/2015, recante "disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto", entra oggi ufficialmente in vigore, a 15 giorni dalla pubblicazione in G.U. (n. 64 del 18 marzo 2015).
Niente più pena, dunque, per i reati minori, ovvero quelli con un massimo edittale di 5 anni o con sanzione pecuniaria, ma soltanto se le condotte sono caratterizzate da particolare tenuità dell'offesa e dalla non abitualità.
Prende corpo nell'immediatezza, dunque, l'istituto, considerato che non sono previste discipline transitorie, al fine doppio di deflazionare i carichi della giustizia ed escludere, dall'area della punibilità, quei fatti (e le relative condotte) per i quali l'offesa non è così grave da far scattare la sanzione penale, nell'ottica di un contemperamento tra i principi che stanno alla base dell'ordinamento: l'obbligatorietà cui soggiace l'azione penale ex art. 112 Cost. e la finalità rieducativa della pena, ex art. 27 Cost., la quale presuppone una proporzione tra la condotta commessa e la sanzione inflitta.
Ecco una breve guida sulle caratteristiche del nuovo istituto, i reati cui si applica, la procedura e le relative conseguenze:
"Tenuità del fatto" e non abitualità
Il d. lgs. n. 28/2015 inserisce nel codice penale il nuovo art. 131-bis che prevede la non punibilità per i reati per i quali è prevista "la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta", laddove l'offesa, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, 1° comma, c.p., sia "di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale".
I reati cui si applica l'istituto
Rientrano, pertanto, nel novero dei reati per i quali il nuovo istituto stabilisce la non punibilità per tenuità del fatto, la maggior parte dei delitti "comuni" che prevedono una pena (nel massimo edittale) non superiore ai 5 anni ovvero, congiuntamente o meno, una sanzione pecuniaria.
Tra questi rilevano: l'abuso d'ufficio, l'oltraggio a pubblico ufficiale, gli atti osceni
, l'ingiuria, le percosse, la diffamazione, la violazione di domicilio, il furto semplice, le lesioni colpose, la rissa, ecc.
Le esclusioni
Tuttavia, ai fini dell'applicabilità dell'istituto, il nuovo art. 131-bis si preoccupa di individuare due condizioni che soggiacciono alla non punibilità del fatto: la scarsa gravità dell'offesa e la non abitualità del comportamento.
Quanto al primo requisito, l'offesa, per il comma 2 della disposizione, non può essere ritenuta di particolare tenuità, quando l'autore abbia agito "per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali" ovvero abbia "adoperato sevizie", o, ancora, abbia "profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa" o la condotta abbia cagionato o dalla stessa siano derivate, "quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona".
Quanto al secondo requisito, invece, ex comma 3, il comportamento è considerato abituale allorquando l'autore sia stato dichiarato "delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate".
La discrezionalità del giudice
La decisione sull'applicazione o meno della non punibilità del fatto andrà comunque presa dal giudice, non essendo previsto alcun automatismo.
Si profila, dunque, un ampio potere discrezionale, dunque, per il giudicante, il cui esercizio è tuttavia "limitato" sia dai criteri dettati dall'art. 131-bis sulla tenuità dell'offesa e sulla non abitualità del comportamento, sia dai dettami dell'art. 133 c.p.
Nell'esprimere la propria valutazione, il giudice dovrà quindi tener conto del disvalore dell'azione, basandosi sulla natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo ed ogni altra modalità del fatto commesso; della gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa; dell'intensità del dolo o del grado della colpa, nonché della capacità a delinquere del colpevole (desunta dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; dai precedenti penali e giudiziari antecedenti; dalla condotta coeva o successiva al reato; dalle condizioni di vita individuale o familiare e sociale).
La procedura
Secondo il nuovo comma 1-bis dell'art. 411 c.p., il procedimento penale può essere archiviato per particolare tenuità del fatto, già prima di arrivare al giudizio vero e proprio. Il pm, infatti, nella fase di chiusura delle indagini può decidere per l'archiviazione anche in base alla tenuità del fatto dandone avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa.
Entrambi, nel termine di dieci giorni, possono sia prendere visione degli atti che presentare opposizione, indicando, a pena di inammissibilità, le "ragioni del dissenso" rispetto alla richiesta di archiviazione.
Il giudice a questo punto, se valuta positivamente l'ammissibilità dell'opposizione, dopo aver sentito le parti, può accogliere la richiesta provvedendo con ordinanza (e restituendo gli atti al pm per il compimento di indagini ulteriori), oppure, ove la consideri inammissibile, o non ci sia opposizione, procede con decreto motivato alla richiesta di archiviazione del pm.
La non punibilità per particolare tenuità del fatto, per effetto del disposto del nuovo comma 1-bis dell'art. 469 c.p.p., viene aggiunta anche alle altre cause che possono dar luogo ad una sentenza di non luogo a procedere (ovvero, ex art. 469, quando l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, quando il reato è estinto e per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento).
Il giudice può pronunciare, quindi, sentenza di proscioglimento dell'imputato non punibile ex art. 131-bis c.p., previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare.
Iscrizione nel casellario giudiziale
L'esclusione dalla punibilità del reato non consiste in un intervento di depenalizzazione, bensì nell'accertamento in via definitiva della commissione dell'illiceità da parte dell'indagato/imputato dichiarato, però, non punibile per particolare tenuità del fatto.
Pertanto, sia l'archiviazione che il proscioglimento produrranno quale conseguenza per il soggetto agente l'inserimento nel casellario giudiziario dei relativi provvedimenti, rimanendovi per il periodo di 10 anni.
La misura risponde alla ratio di far conoscere al giudice la "storia giudiziaria" del soggetto, evitando così che lo stesso possa fruire altre volte della non punibilità del fatto.
Allo scadere del termine decennale, l'iscrizione deve essere cancellata.
L'efficacia nei procedimenti civili e amministrativi
Una delle conseguenze dell'applicazione dell'istituto della tenuità del fatto concerne gli effetti della stessa nei procedimenti civili ed amministrativi.
Secondo quanto espressamente previsto dal nuovo art. 651-bis c.p., inserito dall'art., comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 28/2015, la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata a seguito di particolare tenuità del fatto, in seguito al dibattimento, ha efficacia di giudicato, sia con riferimento all'accertamento della sussistenza del fatto che all'illiceità penale dello stesso e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nei giudizi civili e amministrativi avviati nei confronti del condannato (e del responsabile civile citato o intervenuto nel processo penale) per le restituzioni e il risarcimento dei danni.
Ciò significa che il danneggiato potrà utilizzare la sentenza di proscioglimento quale prova definitiva della colpevolezza dell'imputato, pur dichiarato non punibile ex art. 131-bis, per chiedere allo stesso o al responsabile civile il risarcimento dei danni nel relativo giudizio (civile o amministrativo).
Analoga efficacia ha la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particola tenuità del fatto ex art. 442 c.p.p., salvo che la parte civile si opponga o non accetti il rito abbreviato.
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