di Marina Crisafi - D'ora in poi è il caso di prestare più attenzione alla compilazione della dichiarazione dei redditi, perché è l'indirizzo in essa indicato a far fede per le notifiche fiscali. È quanto ha chiarito la sezione tributaria della Cassazione, con sentenza n. 6959/2015, rigettando il ricorso di un contribuente che invocava la nullità di una cartella esattoriale per omessa notificazione, in quanto effettuata presso un vecchio recapito e non presso la propria residenza anagrafica.
Concordando con la Ctr Campania (sezione Salerno), la quale aveva disatteso gli esiti della Commissione Tributaria Provinciale, la S.C. ha affermato, infatti, che l'indirizzo indicato nella dichiarazione dei redditi (peraltro, nel caso di specie, per più anni consecutivi dal 2004 al 2009) costituisce "specificazione, nell'ambito del domicilio fiscale costituito dal comune di residenza, di uno dei luoghi in cui può essere effettuata la notificazione di atti tributari secondo le regole e le priorità di ci all'art. 139 c.p.c.".
Quindi, anche se tale indirizzo non corrisponde alla residenza
anagrafica, la notifica effettuata mediante il servizio postale, per compiuta giacenza, è da considerarsi valida, trattandosi di un recapito riferibile al contribuente, poiché non solo indicato dallo stesso nella dichiarazione dei redditi, ma anche perché l'agente postale ha comunque riscontrato la presenza di una cassetta nominativa dove inserire l'avviso.L'art. 45 del dm 9.4.2001, ricorda quindi la Corte dispone che per la distribuzione degli invii semplici devono essere installate cassette accessibili ai portalettere recanti ben visibile il nome dell'intestatario e di chi le utilizza, mentre l'art. 32 del decreto prevede che "in caso di assenza all'indirizzo indicato, il destinatario e le altre persone deputate a ricevere l'invio possono ritirarlo presso l'ufficio postale di distribuzione, entro i termini di giacenza previsti dall'art. 49".
Sicché, in definitiva, è onere del contribuente dimostrare che nel luogo dove è effettuata la notifica postale in realtà non esiste alcun recapito (domicilio, dimora, ecc.), impugnando eventualmente gli esiti della relazione dell'agente postale sulla presenza in tale luogo di una cassetta a suo nome e sull'irreperibilità in loco dello stesso.
In conclusione, ha dichiarato la Corte rigettando il ricorso, il domicilio fiscale indicato dai contribuenti nella dichiarazione dei redditi "costituisce atto idoneo a rendere noto all'amministrazione il recapito sia ai fini delle notificazioni sia ai fini della legittimazione a procedere", per cui il legittimo ius variandi deve essere esercitato "in buona fede e nel rispetto del principio dell'affidamento che deve informare la condotta dei soggetti del rapporto tributario, senza che il contribuente possa sfruttare a suo vantaggio anche un eventuale errore".