di Lucia Izzo - Lo stato di necessità impedisce la condanna di colui che uccide altro cane per proteggersi dalla sua aggressione, ossia dal pericolo imminente e inevitabile che rischia di danneggiare la propria persona o quella del proprio cane che dall'altro è stato attaccato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 50329/2016 (qui sotto allegata) pronunciata nei confronti di un uomo ritenuto penalmente responsabile di "porto fuori dalla propria abitazione di un puntale di ferro" e "uccisione di animali", ai sensi, rispettivamente, degli artt. 699 e 544-bis del codice penale.
L'uomo, 71enne di Piombino, aveva ucciso con un "bastone animato", che aveva con sè mentre passeggiava in compagnia del proprio cane in una zona del centro abitato, un alano condotto senza museruola o guinzaglio dal figlio del proprietario.
Il grosso animale si era avvicinato al cane di piccola taglia di proprietà dell'imputato, aggredendolo e mordendolo vicino alla coda, procurandogli due piccole ferite, e il padrone aveva reagito colpendo l'alano con l'arma la cui lama era penetrata nel fianco dell'animale uccidendolo.
Il Collegio ha precisato, con una decisione che di certo solleverà polemiche, che il delitto di uccisione di animali delineato dall'art. 544-bis c.p si pone in continuità normativa rispetto al reato di cui all'art. 727 c.p. prima della riforma attuata dall0art. 1 comma 1 della legge n.189/2004.
In particolare, questo si configura come un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell'integrità e della vita dell'animale, che può consistere sia in un comportamento commissivo che omissivo, sia tenuta per crudeltà, mentre si configura a dolo generico quando essa è tenuta, come nel caso in esame, senza necessità.
Più volte la Corte ha affermato che la situazione di necessità che esclude la configurabilità del delitto di danneggiamento o uccisione di animali comprende non soltanto la necessità di cui all'art. 54 c.p., ma anche ogni altra situazione che induca all'uccisione o al danneggiamento dell'animale per prevenire o evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l'agente ritenga altrimenti inevitabile.
Nel caso di specie, secondo gli Ermellini, la decisione della Corte d'Appello è carente di motivazione oltre che manifestamente illogica poichè, affermando la responsabilità dell'evento in capo all'uomo per la sua deliberata intenzione di intimidire l'animale e poi di trafiggerlo con un colpo secco, ha scartato l'ipotesi dello stato di necessità in riferimento al delitto di uccisione di animali, nonostante nel ricorso fosse stato prospettato dall'imputato il fatto che egli aveva agito per difendere se stesso e il proprio cagnolino dall'aggressione dell'alano.
La sentenza impugnata andrà dunque annullata e dovrà celebrarsi un appello bis innanzi ad altra sezione della Corte territoriale che dovrà attenersi ai principi enunciati dalla Cassazione in tema di configurabilità in concreto dello stato di necessità.
Cass., III sez. pen., sent. n. 50329/2016