- Mantenimento ai figli maggiorenni se si impegnano a cercare un lavoro
- Per il padre l'assegno alla figlia non è dovuto se la stessa lavora
- Occorre accertare l'impegno concreto nella ricerca di un'occupazione
Mantenimento ai figli maggiorenni se si impegnano a cercare un lavoro
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La Corte di Cassazione nella sentenza n. 27904/2021 (sotto allegata) ribadisce quello che è l'orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità sulla spettanza del mantenimento ai figli maggiorenni. Tale diritto spetta al figlio che, una volta concluso un percorso formativo, tenendo conto anche dell'età e delle sue condizioni di salute, si impegna attivamente nel cercare un impiego stabile, ma non lo trova. Da qui la decisione della Corte di rinviare alla Corte di Appello affinché accerti nel caso di specie la sussistenza dei suddetti requisiti richiesti per confermare o revocare il mantenimento alla figlia di quasi 35 anni, che lavora in nero in diversi bar, quando questi hanno bisogno.
La vicenda processuale
Il Tribunale dichiara la cessazione degli effetti civili di un matrimonio e dispone tra le altre cose l'assegnazione della casa famigliare in favore della moglie perché convivente con la figlia maggiorenne ma economicamente non autosufficiente e un assegno di 450 euro mensili in favore di quest'ultima, nulla riconoscendo all'altro figlio che invece ha acquisito la sua autonomia economica.
In sede di appello l'importo in favore della figlia viene ridotto a 350 euro al mese perché la stessa, anche se in modo precario e irregolare, svolge comunque un'attività lavorativa. Eccessivo quindi il carico mensile di 450 euro per il padre, visto che la sua ex moglie contribuisce alle spese per la ragazza e visto altresì che l'uomo deve provvedere ai bisogni della nuova compagna e della figlia avuta da quest'ultima.
Per il padre l'assegno alla figlia non è dovuto se la stessa lavora
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- Il padre ricorre però in Cassazione, lamentando nel primo motivo il mancato rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa in quanto la Corte di Appello ha fondato la propria decisione sull'audizione della figlia, senza sentire le parti e i loro difensori.
- Con il secondo motivo lamenta invece l'omessa considerazione da parte della Corte di documenti allegati dallo stesso e da cui emerge la raggiunta autosufficienza economica della figlia.
- Con il terzo contesta la riduzione dell'assegno in favore della figlia e non la sua revoca, in contrasto con l'orientamento più recente della giurisprudenza, per la quale l'obbligo di mantenimento in favore del figlio viene meno quando questo non cerca lavoro o trova un'occupazione conforme alle proprie capacità, inclinazioni e aspirazioni. La figlia del ricorrente infatti, ultra-trentenne e in salute, anche se in modo non continuativo e priva di una formazione universitaria, lavora e percepisce una retribuzione.
Occorre accertare l'impegno concreto nella ricerca di un'occupazione
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La Corte di Cassazione respinge i primi due motivi del ricorso, ma accoglie il terzo, cassa quindi la sentenza limitatamente al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello in diversa composizione affinché statuisca anche sulle spese.
In particolare per la Cassazione il primo motivo è inammissibile perché il ricorrente non ha esposto le ragioni per le quali l'errata applicazione della regola processuale abbia comportato la lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio relativamente alla decisione di merito.
Del pari inammissibile il secondo motivo del ricorso perché non si può contestare al giudice di aver attribuito maggior rilievo al alcune prove rispetto ad altre, perché trattasi di una valutazione discrezionale riconosciuta dalla legge. Il motivo in ogni caso difetta di specificità considerato che il ricorrente non ha riprodotto i documenti non considerati ai fini della decisione in sede di appello, ma si è limitato a elencarli nell'atto.
Fondato invece il terzo motivo. Prima di tutto la Corte rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dalla madre, la figlia non è risultata affetta da un handicap conclamato che giustifichi l'applicazione alla stessa delle regole previste per i figli minori, come sancito dal comma 2 dell'art. 337 septies c.c
Ciò premesso, l'obbligo di mantenimento del figlio non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma persiste quando costui, senza colpa, dipende ancora dai genitori.
La recente giurisprudenza inoltre ha precisato che il figlio maggiorenne ha diritto al mantenimento da parte dei genitori solo se, ultimato il percorso di formazione, dimostri di essersi adoperato concretamente nella ricerca di un'occupazione, tenendo conto di ciò che offre il mercato e ridimensionando eventualmente le proprie aspirazioni. Il giudice deve quindi accertare tutta una serie di elementi nel riconoscere o disconoscere l'assegno di mantenimento al figlio, come l'età, il livello di competenza tecnica e professionale raggiunti, l'impegno nel cercare un'occupazione e in generale la condotta.
Attività che però la Corte di Appello non ha compiuto nel caso di specie, fondando la propria decisione sulla sola affermazione della figlia che "lavora in nero", che non è rimasta inerte e che attivandosi viene contattata da alcuni bar "che la chiamano al bisogno." E' però mancato un accertamento concreto sulla attivazione della figlia, ormai trentacinquenne e priva di un percorso formativo alle spalle, di reperire un'occupazione stabile.
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