Pur avendo fede privilegiata può essere smentito dall'investigatore privato senza che sia necessaria la querela di falso

LA STORIA

Una lavoratrice viene licenziata per uso improprio dell'assenza per malattia, tale da far desumere la simulazione di una patologia ovvero un comportamento contrario ai doveri di correttezza, buona fede, fedeltà aziendale. Ella contesta il provvedimento ed il Tribunale le dà ragione, ordinandone il reintegro. L'azienda ricorre allora in Corte di Appello ed ottiene soddisfazione. Licenziamento confermato, 1 ad 1 e palla al centro. La vicenda giunge quindi in Cassazione.

 

LA NORMA

Nel nostro ordinamento non esiste un elenco di cosa è possibile fare o non fare durante la malattia.

Il lavoratore assente per malattia non deve astenersi da ogni altra attività. L'assunto trova fondamento nella nozione di malattia rilevante ai fini di sospensione della prestazione lavorativa, e che ricomprende le situazioni nelle quali l'infermità abbia determinato una concreta, attuale ma transitoria incapacità al lavoro. Ragione per cui, anche là dove la malattia comprometta la possibilità di svolgere quella determinata attività lavorativa oggetto del rapporto di lavoro, può accadere che le residue capacità psico-fisiche possano consentire al lavoratore altre e diverse attività. Tuttavia, il loro compimento non è circostanza disciplinarmente irrilevante, ma può giustificare il licenziamento allorquando faccia desumere l'inesistenza dell'infermità e quindi una simulazione della malattia. Ciò se l'attività stessa - valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche dell'infermità ed alle mansioni svolte sul luogo di lavoro - possa pregiudicare od anche solo potenzialmente ritardare la guarigione e, quindi, il rientro in servizio. Non è quindi tanto rilevante cosa fa in assoluto il lavoratore, ma cosa fa rispetto alla malattia ed al percorso di guarigione, potendosi ritenere importante anche il momento in cui viene svolto un qualcosa rispetto al percorso terapeutico.

 

IL CERTIFICATO MEDICO

Nel caso che ci riguarda la Corte di Appello ha ordinato il reintegro della dipendente a seguito di una consulenza tecnica medica d'ufficio che ha verificato la compatibilità delle attività fisiche espletate dalla dipendente rispetto alla situazione patologica descritta dai certificati di malattia, ed ha escluso che tali condotte fossero idonee a causare un ritardo nella guarigione o un peggioramento del quadro complessivo. I giudici della Corte di Appello, inoltre, hanno affermato che il datore di lavoro che intenda contestare in giudizio la sussistenza della malattia del proprio dipendente deve proporre querela di falso con riguardo alla certificazione medica.

 

LA CASSAZIONE

I giudici hanno richiamato la consolidata giurisprudenza a conferma della norma circa gli obblighi del lavoratore in stato di malattia. "Assume rilievo", scrivono i giudici, "l'eventuale violazione del dovere di osservare tutte le cautele, comprese quelle terapeutiche e di riposo prescritte dal medico, atte a non pregiudicare il recupero delle energie lavorative temporaneamente minate dall'infermità, affinché vengano ristabilite le condizioni di salute idonee per adempiere la prestazione principale cui si è obbligati".

L'accertamento in ordine alla sussistenza o meno dell'inadempienza idonea a legittimare il licenziamento, sia essa la fraudolenta simulazione della malattia sia lo svolgimento di attività idonee a pregiudicare la guarigione, può essere svolto dal datore di lavoro attraverso ogni mezzo di prova utilizzabile in giudizio. È quindi legittimo il controllo effettuato dall'investigatore privato che abbia ricevuto dall'azienda l'incarico di rilevare modalità, tempi e luoghi delle attività svolte dal dipendente in costanza di malattia. Spetterà poi al giudice mettere tali attività in correlazione con la patologia ed il percorso terapeutico, per stabilire se la malattia è simulata o meno, ovvero se la guarigione è stata o meno ritardata dalle attività svolte dal dipendente.

È orientamento consolidato che il certificato redatto da un medico convenzionato con un ente previdenziale o con il S.S.N. per il controllo della sussistenza delle malattie del lavoratore, è un atto pubblico che fa fede, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato nonché dei fatti che il pubblico ufficiale medesimo attesta aver compiuto o essere avvenuti in sua presenza. I giudici, però, precisano che "tale fede privilegiata non si estende anche ai giudizi valutativi che il sanitario ha in occasione del controllo espresso in ordine allo stato di malattia e all'impossibilità temporanea della prestazione lavorativa".

 

LA SENTENZA

La Cassazione ha quindi ritenuto errata la valutazione della Corte di Appello in merito alla necessità di proporre querela di falso relativamente alla certificazione medica e, inoltre, ha ritenuto che possa essere considerata lecita ed attendibile (come ha fatto il giudice di primo grado) la relazione dell'investigatore privato che ha pedinato la lavoratrice mentre andava al mare, nonostante fosse assente dal lavoro per un forte ed acuto dolore alla cervicale. Per tale ragione - con il provvedimento numero 30551 del 27 novembre 2024 - ha annullato la sentenza in questione e rinviato gli atti alla Corte di Appello in diversa composizione per accertare il carattere genuino o meno della patologia (cervicobrachialgia acuta con vertigine) lamentata dalla lavoratrice.

 

Andrea Pedicone

Consulente investigativo ed in materia di protezione dei dati personali

Auditor/Lead Auditor Qualificato UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2017

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