|
Data: 05/04/2011 10:00:00 - Autore: L.S. Per il pagamento del t.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, quest'ultimo, se è assoggettabile a fallimento, ma in concreto non può essere dichiarato fallito per l'eseguità del credito azionato, va considerato in concreto non soggetto a fallimento. In tal caso opera la disposizione dell'articolo 2, comma 5, della L. n. 297 del 1982, secondo cui il lavoratore può conseguire le prestazione del Fondo di garanzia costituito presso l'INPS essendo sufficiente che il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura esecutiva, salvo che risultino in atti altre circostanze che dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l'azione esecutiva. Questo il principio di diritto affermato dalla sezione lavoro della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 7585 del 1° aprile 2011, ha rigettato il ricorso dell'INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, condannato dalla Corte d'Appello al pagamento del credito t.f.r. maturato dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro insolvente. La Suprema Corte, ricordando che la legge n. 297 del 1982, all'articolo 2 ha previsto il pagamento del t.f.r. da parte dell'INPS quando l'impresa sia soggetta a fallimento ovvero quando (comma 5) il datore di lavoro, non soggetto alla legge fallimentare, venga sottoposto senza esito ad esecuzione forzata, ribadisce una lettura della normativa nazionale nel senso voluto dalla DirCE n. 987 del 1980 che consente, secondo una ragionevole interpretazione, l'ingresso ad un'azione nei confronti del Fondo di garanzia, quando l'imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l'esecuzione forzata si riveli infruttuosa. La decisione impugnata, concludono gli Ermellini, "ha correttamente riconosciuto il diritto di ottenere la tutela del Fondo di garanzia, essendosi accertatato, in modo pacifico, che la lavoratrice aveva vanamente proposto l'azione esecutiva, vedendosi quindi rigettare l'istanza di dichiarazione di fallimento, e aveva infine domandato l'intervento del Fondo". |
|