Con tale storica decisione, la Suprema Corte ha condannato la società che provocò la fuoriuscita della nube tossica a Seveso nel 1976, al risarcimento dei danni, in favore degli abitanti della zona, non solo per le malattie causate dall'avvelenamento, ma anche per il panico e l'ansia vissuti in questi anni.
Cass. Civ., Sez. Un., 21 febbraio 2002, n. 2515
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 13 giugno 1981 G. P. conveniva dinanzi al Tribunale di Monza la S.p.A. in liquidazione ……………..
chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti per la chiusura della sua ditta, l’…………… s.a.s., a seguito del grave e
noto fatto di polluzione chimica causato dall’esplosione delle caldaie della società convenuta, che aveva investito la zona del
Comune di Seveso, ove era insediata la sua attività produttiva, nel luglio 1976.
Precisava che la cessazione dell’attività era stata determinata dall’inquinamento che aveva reso non più commerciabili i
manufatti da lui prodotti (cosicchè aveva dovuto cedere a prezzo vile l’azienda) e dal fatto che, essendo stato investito
direttamente dalla nube tossica, aveva subito danni diretti alla salute che gli avevano impedito di occuparsi del suo lavoro.
Peraltro, con altro atto di citazione, notificato il 16 luglio 1982, il P. conveniva nuovamente in giudizio l’………… per ottenere il
risarcimento dei danni psico-fisici sofferti per lo stesso episodio di fuoriuscita della nube di diossina.
In entrambi i giudizi si costituiva la convenuta chiedendo preliminarmente la sospensione del giudizio per la pendenza di quello
penale e, nel merito, opponendosi alle avverse domande.
Concessa la sospensione, il giudizio veniva riassunto all’esito della formazione del giudicato penale di condanna a carico dei
responsabili tecnici della società per il reato di cui all’art. 449 c.p. e, dato corso all’istruttoria con l’espletamento della prova
orale e della C.T.U. medico-legale sulla persona del P., l’adito Tribunale, con sentenza 28 maggio/9 dicembre 1992, riteneva
sostanzialmente fondate le domande dell’attore e dichiarata la responsabilità della convenuta in ordine ai danni patrimoniali e
morali sofferti dal P., la condannava al pagamento, a favore di quest’ultimo, di L. 74.000.000, per la perdita del valore della sua
quota di partecipazione alla società ……………, di L. 20.000.000 per danno biologico e di L. 20.000.000 per danno morale, con
gli interessi legali dalla sentenza al saldo.
Avverso tale decisione proponevano gravame l’………….. ed in via incidentale il P. e la Corte di Appello ambrosiana, con sentenza
27 giugno 1995, previa riunione, accoglieva quella principale e, per l’effetto, rigettava le domande del P. tranne quella per danno
morale, liquidato in complessive L. 4.000.000 all’attualità, con gli interessi legali dalla pronuncia al saldo, compensando per
meta’ le spese del doppio grado e ponendo l’altra a carico dell’appellante.
Riteneva il giudice di appello, per quanto ancora possa interessare:
che il P. non aveva legittimazione a chiedere il risarcimento per la svalutazione delle quote sociali, trattandosi di danno indiretto
e riflesso rispetto al pregiudizio subito dal patrimonio della Società che solo quest’ultima poteva fare valere;
che non doveva essere riconosciuto il danno biologico poichè, a seguito della C.T.U. ritualmente espletata, la sintomatologia
accusata dal P. non risultava collegata causalmente al fatto illecito ascritto all’…………..;
che non risultava il nesso eziologico neppure con riguardo al danno lamentato per la cessazione o limitazione dell’attività
lavorativa;
che invece poteva riconoscersi, pur in assenza di un danno biologico, il risarcimento del danno morale, ravvisabile nel
perturbamento psichico conseguente ai numerosi e documentati accertamenti sanitari ai quali il P. aveva dovuto sottoporsi;
che tale danno, già liquidato in prime cure per l’ammontare di 20 milioni, andava contenuto nella misura, prossima al minimo ma
non meramente simbolica, di 4 milioni all’attualità.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’…………… s.p.a. in liquidazione, affidandolo a tre motivi di censura. Ha
resistito il P. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale sulla base di tre motivi, contrastati dall’…………… con
controricorso e memoria. I ricorsi, chiamati all’udienza del 24/3/2000, davanti alla III Sezione Civile, sono stati rimessi, con
ordinanza di pari data, a Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rinvenendosi una questione di
massima (la risarcibilità del danno morale in assenza di danno biologico) ritenuta di "particolare importanza". L’…………….. ha
depositato ulteriore memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due ricorsi, avverso la stessa sentenza, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
Come già accennato, la causa è stata rimessa all’esame di queste Sezioni Unite per la decisione della seguente questione di
massima di particolare importanza: se il danno morale soggettivo, verificatosi in occasione della compromissione, anche grave,
della salubrità dell’ambiente a seguito di disastro colposo (art. 449 c.p.), sia risarcibile anche se non derivi dalla menomazione
dell’integrità psico-fisica (danno biologico) dell’offeso o di altro evento produttivo di danno patrimoniale. Nella presente
controversia il giudice di appello ha dato risposta positiva al quesito; ne consegue che prima di procedere all’esame della
questione, che forma oggetto del primo motivo del ricorso principale dell’…………, occorre valutare i primi due motivi del ricorso
incidentale, con i quali il P. impugna le statuizioni del suddetto giudice che hanno negato sia il danno biologico che quello
patrimoniale. Tali censure, infatti, si pongono come necessario antecedente logico e giuridico rispetto alla questione di massima
suindicata che risulterebbe assorbita da un loro eventuale accoglimento.
Orbene, con il primo mezzo il ricorrente incidentale, denunciando la violazione di norme di diritto (art. 101, 2° co. Cost. e 113
c.p.c.) nonchè l’insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.,
si duole del mancato riconoscimento del danno patrimoniale derivante dal diminuito valore delle sue quote di partecipazione alla
società …………………., già liquidatogli in prime cure.
La doglianza è infondata. La Corte ambrosiana ha negato al P. la legittimazione a proporre siffatta domanda risarcitoria sul
rilievo che "la svalutazione della quota del socio è solo una circostanza indiretta e riflessa della lesione aquiliana del diritto …
della società" e che il mancato accertamento di tale lesione, in contraddittorio con la società stessa, preclude la domanda del
socio. Trattasi di motivazione corretta perchè la società …………………, essendo una accomandita semplice, ha una soggettività
giuridica distinta da quella dei soci ed il danno lamentato da questi ultimi per l’eventuale pregiudizio arrecato da terzi alle singole
quote si pone come una conseguenza mediata ed indiretta del danno cagionato al patrimonio sociale, danno quest’ultimo che solo
la società è legittimata a fare valere. Infatti il risarcimento dovuto al danneggiato riguarda, anche in tema di responsabilità
aquiliana, solo le conseguenze immediate e dirette del fatto illecito (art. 1223, richiamato dal primo comma dell’art. 2056 c.c.)
e, nella specie, il pregiudizio lamentato dal P. e consistente nella svalutazione delle sue quote di partecipazione societaria ha
indubbiamente un carattere riflesso ed indiretto.
Il primo motivo va, pertanto, rigettato.
Con il secondo mezzo il P., denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. oltre alla
contraddittorietà della motivazione su altro punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamenta il
mancato riconoscimento del danno biologico, pur in presenza di adeguata documentazione medica.
Neppure l’esposta censura può essere accolta. Essa si infrange contro l’accertamento con cui il giudice di appello, premesso che
la suddetta documentazione – tutta proveniente dallo stesso interessato – risaliva al 1981 (e cioè ad oltre 5 anni dopo l’evento) ed
evidenziava comunque una sindrome psiconevrotica "del tutto generica", rilevava che "il collegamento tra i disturbi psico-fisici
accusati dal P. ed intossicazione di diossina è del tutto apodittico" e concludeva perentoriamente che "detta sintomatologia, nel
suo insieme od anche solo in uno dei suoi aspetti specifici, non può essere messa in relazione con il fatto illecito ascritto
all’appellante".
Anche questa motivazione appare priva di errori giuridici e raggiunge sotto il profilo logico un grado di completezza e di
ragionevolezza da renderla incensurabile in sede di legittimità.
Il motivo di doglianza va, pertanto, respinto.
A questo punto può procedersi all’esame del primo motivo del ricorso principale con cui l’………………, denunciando la violazione e la
falsa applicazione degli artt. 2059 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., contesta la tesi che il danno morale possa
essere risarcito anche in assenza di danno biologico (o di altro evento produttivo di danno patrimoniale), che è appunto la
questione di massima determinante l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite; questione che dopo la pronuncia della Corte
ambrosiana ha ricevuto risposta negativa da parte della III Sezione Civile di questa Corte, con le sentenze 24 maggio 1997 n.
4631 e 20 giugno 1997 n. 5530, fondamentalmente sulla base delle sentenze n. 184 del 1986 e n. 37 del 1994 della Corte
Costituzionale, affermando che "il danno morale soggettivo inteso quale transeunte turbamento psicologico è, al pari del danno
patrimoniale in senso stretto, danno-conseguenza, risarcibile solo ove derivi dalla menomazione dell’integrità fisica dell’offeso o
da altro tipo di evento produttivo di danno patrimoniale. Pertanto nel caso di compromissione anche grave della salubrità
dell’ambiente, derivante da immissioni di una sostanza altamente tossica (nella specie: diossina) a seguito di disastro colposo, il
turbamento psichico subito dalla generalità delle persone costrette a sottoporsi a periodici controlli sanitari a seguito
dell’esposizione a quantità imprecisate della detta sostanza, con conseguente limitazione della propria libertà di azione e di vita,
non è risarcibile in via autonoma quale danno morale sopportato in eguale misura da ciascuno dei soggetti coinvolti nel disastro,
ove non costituisca conseguenza della menomazione specificamente subita da ciascuno di essi nella propria integrità
psico-fisica".
Ma la stessa Sezione, esaminando la presente controversia, ha dubitato dell’esattezza del principio, tenuto conto dell’ampio
dibattito svoltosi in dottrina e dei rilievi critici formulati per auspicare un mutamento di indirizzo ed ha sollecitato un ulteriore
approfondimento da parte delle Sezioni Unite, con ordinanza 24 marzo 2000, la cui ampia ed articolata motivazione ha precisato i
motivi di perplessità attinenti:
a) alla interpretazione della dicotomia danno-evento e danno-conseguenza, dovendosi escludere che il danno-evento, delineato
dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 184 del 1986, si esaurisca nella menomazione psico-fisica propria del danno
biologico, senza comprendere anche eventuali lesioni suscettibili di tutela aquiliana diretta ed autonoma rispetto a quella
indiretta ed indifferenziata apprestata dalla legge sull’inquinamento;
b) alla eventuale strumentalizzazione della suddetta interpretazione al fine di evitare un’illimitata proliferazione di azioni
risarcitorie;
c) alla autonoma risarcibilità del danno morale, secondo l’unica condizione (artt. 2059 c.c. e 185 c.p.) che esso consista nel
perturbamento psichico della vittima causato da un reato;
d) alla stessa utilità o necessità, allo scopo richiesto, della dicotomia tra danni-evento e danni-conseguenza.
Sempre la stessa Sezione, con un diverso collegio, ha espresso le medesime riserve, con ordinanza 18 maggio 2000, chiedendo
l’intervento delle Sezioni Unite per l’esame di un ricorso analogo (chiamato anch’esso per la trattazione in questa udienza).
Chiariti così i termini della questione, va subito affermato che le Sezioni Unite optano per il principio opposto a quello di cui alle
citate sentenze n. 4631 e 5530 del 1997, ritenendo che il danno morale soggettivo sia risarcibile anche in assenza di danno
biologico o di altro evento produttivo di danno patrimoniale, in virtù delle considerazioni esposte nell’ordinanza di rimessione,
completate da alcuni ulteriori rilievi.
Al riguardo, conviene prendere le mosse dalla motivazione, sostanzialmente identica, delle due sentenze n. 4631 e 5530 del 1997
che ha sviluppato le seguenti argomentazioni:
1) la risarcibilità del danno non patrimoniale incontra nel sistema il limite dell’esplicita previsione legislativa, che, per quanto
concerne il danno da reato, è realizzata con il rinvio dell’art. 2059 c.c. all’art. 185 c.p. e da questo alle singole figure di reato;
2) occorre, a tal fine, che il reato incida su una posizione soggettiva che può ben essere rappresentata, nel caso di delitto di
disastro colposo ex art. 449 c.p., dal diritto alla salute nella sua esplicazione di diritto alla salubrità dell’ambiente, suscettibile di
tutela aquiliana diretta ed autonoma rispetto a quella indiretta ed indifferenziata apprestata dalla legge sull’inquinamento;
3) per delimitare l’area del danno risarcibile in relazione alla possibilità che il reato produca perturbamenti psichici in un numero
indeterminato di persone, risulta applicabile il criterio di cui all’art. 1223 c.c., che, richiamato dall’art. 2056, comporta che la
risarcibilità dei perturbamenti psichici richiede che essi costituiscano la conseguenza diretta ed immediata del reato, nel senso,
altresì che il collegamento tra danno ed interessi protetti dalla norma penale può essere colto sia in via primaria e sia in via
secondaria e collaterale.
Malgrado queste premesse, le citate sentenze hanno concluso negando la risarcibilità autonoma del danno morale, in virtù
fondamentalmente del rilievo che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 184 n. 1986 e con altre decisioni successive
(sentenza n. 37 del 17/2/1994 ed ordinanza n. 294 dell’11/7/1996) ha identificato il danno morale soggettivo, inteso quale
transuente turbamento psicologico, come danno-conseguenza, in quanto tale risrcibile solo ove derivi dalla menomazione
dell’integrità psico-fisica dell’offeso o da altro tipo di evento produttivo di danno patrimoniale. Ma questo indirizzo
interpretativo ha trovato, in dottrina, la opinione contraria della prevalenza degli autori, i quali, auspicando la opportunità di un
superamento, pongono, innanzitutto, in rilievo come tale interpretazione influenzata, probabilmente, dalla preoccupazione di
evitare una illimitata proliferazione di azioni risarcitorie nelle ipotesi di disastri ambientali che, nella moltiplicazione dei danni,
finirebbe per pregiudicare coloro che dall’evento hanno riportato le più gravi conseguenze, si basa su una lettura non corretta
della giurisprudenza costituzionale, che non avrebbe affatto individuato nel danno alla salute o al patrimonio il presupposto della
giuridica rilevanza del danno morale.
Gli stessi autori, inoltre, sottolineano che l’art. 185 c.p. non richiede, oltre al perturbamento psichico della vittima, anche il
verificarsi di un distinto evento di danno incluso nella fattispecie incriminatrice e, in detto contesto normativo, pure accogliendo
del danno non patrimoniale la nozione ristretta, concludono nel senso che a favore della tesi della risrcibilità concorrono i diversi
elementi della idoneità del fatto a ledere l’interesse protetto dalla norma penale; della incidenza di esso su una posizione
soggettiva; della compatibilità del risarcimento con i reati di pericolo; della riconosciuta possibilità di risarcire il perturbamento
psichico dei titolari di interessi suscettibili di essere compromessi da reati plurioffensivi (categoria nella quale si iscrivono i reati
contro la pubblica incolumità).
Si tratta di critiche sostanzialmente condivisibili ancorchè debba rilevarsi, per quanto concerne le pronunce della Corte
Costituzionale, che se la n. 184/1986 non lasciava adito a soverchi margini interpretativi (punto 6 delle considerazioni in diritto:
"mentre il danno biologico risulta nettamente distinto dal danno morale subiettivo, ben può applicarsi l’art. 2059 c.c., ove dal
primo (e cioè dalla lesione alla salute) derivi, come conseguenza ulteriore (rispetto all’evento della menomazione delle condizioni
psico-fisiche del soggetto offeso) un danno morale subiettivo … sempre che il fatto realizzativo del danno biologico costituisca
anche reato"), la stessa Corte, con la successiva sentenza 24 ottobre 1994 n. 372, approfondendo la problematica, ha affermato
l’autonoma risarcibilità del danno alla salute e del danno morale (punto 4 delle considerazioni in diritto: "il danno alla salute è qui
il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell’equilibrio psichico che sostanzia il danno
morale soggettivo, e che in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, ecc.), anzichè
esaurirsi in un patema d’animo o in un atto di angoscia transuente, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente,
alle cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va allora
commisurato il risarcimento".
Del resto, la stessa dicotomia danno-evento e danno-conseguenza appare, quanto meno per la tematica di cui trattasi, una mera
sovrastruttura teorica, dal momento che l’art. 2059 c.c. pone come unico presupposto di risarcibilità del danno morale la
configurabilità di un fatto-reato, rinviando all’art. 185 c.p. che, a sua volta, rimanda alle singole fattispecie delittuose ed oltre al
turbamento psichico della vittima non pone altre condizioni, tantomeno la presenza di un distinto evento di danno. Ma decisiva
per la soluzione della questione è la natura del reato ex art. 449 c.p.: delitto colposo di pericolo presunto (nel senso che il pericolo
è implicito nella condotta e nessuna ulteriore dimostrazione deve essere fornita circa l’insorgenza effettiva del rischio per la
pubblica incolumità) ma, soprattutto, delitto plurioffensivo, in quanto con l’offesa al bene pubblico immateriale ed unitario
dell’ambiente (Corte Cost. 30 dicembre 1987 n. 641), di cui è titolare l’intera collettività, concorre sempre l’offesa per quei
soggetti singoli i quali, per la loro relazione con un determinato habitat (nel senso che ivi risiedono e/o svolgono attività
lavorativa), patiscono un pericolo astratto di attentato alla loro sfera individuale. Ne consegue che essendo pacifica la
risarcibilità del danno morale nel caso di reati di pericolo o plurioffensivi, non sussiste alcuna ragione, logica e/o giuridica, per
negare tale risarcibilità ove il soggetto offeso, pur in assenza di una lesione alla salute, provi di avere subito un turbamento
psichico (che si pone anch’esso come danno-evento, alla pari dell’eventuale danno biologico o patrimoniale, nella specie non
ravvisati). Conclusione, questa, in sintonia con la più recente giurisprudenza di questa Corte in materia risarcitoria; al riguardo,
è sufficiente il richiamo alle sentenze 27 luglio 2001 n. 10291, che ammette incondizionatamente il risarcimento del danno
morale per i prossimi congiunti dell’offeso da lesioni colpose e 7 giugno 2000 n. 7713, secondo cui la lesione di diritti di rilevanza
costituzionale va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sè della lesione (danno-evento), indipendentemente dalle
eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno-conseguenza).
Concludendo, il primo motivo del ricorso principale va rigettato, alla stregua del seguente principio di diritto (così decisa la
questione di massima devoluta all’esame di queste Sezioni Unite): "in caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro
colposo (art. 449 c.p.), il danno morale soggettivo lamentato dai soggetti che si trovano in una particolare situazione (in quanto
abitano e/o lavorano in detto ambiente) e che provino in concreto di avere subito un turbamento psichico (sofferenze e patemi
d’animo) di natura transitoria a causa dell’esposizione a sostanze inquinamenti ed alle conseguenti limitazioni del normale
svolgimento della loro vita, è risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione all’integrità psico-fisica (danno
biologico) o di altro evento produttivo di danno patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre all’offesa
all’ambiente ed alla pubblica incolumità, anche l’offesa ai singoli, pregiudicati nella loro sfera individuale".
Con il secondo motivo l’…………….., sviluppando spunti già accennati nella precedente censura, denuncia la violazione e la falsa
applicazione degli artt. 2059 e 2697 c.c., 185 c.p. nonchè l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione su altro punto
decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) e lamenta che il giudice del gravame abbia ritenuto provato il danno morale
sulla base di considerazioni generiche e non di circostanze specifiche riguardanti il P..
La doglianza è infondata. Essa trova puntuale ed adeguata confutazione nella motivazione del soggetto giudice il quale non si è
limitato a riferirsi a fatti notori ("la sindrome di paura che ha umiliato e comunque condizionato gli abitanti della zona in quanto
soggetti sanitariamente a rischio … coinvolti di fronte all’angoscia di un rischio personale che non poteva essere neppure
dissimulato davanti agli altri"), ma ha accertato che il P., avendo la sede della sua impresa in zona anch’essa interessata alle
misure sanitarie disposte dalle autorità locali, è "rimasto coinvolto nel grave clima di allarme prodotto dal disastro, riportandone
un perturbamento psichico che … fu … conseguenza … della sottoposizione a controlli sanitari, resi necessari dall’insorgenza di
sintomi preoccupanti". Per completezza, lo stesso giudice ha aggiunto che i "numerosi accertamenti sanitari, ampiamente
documentati in causa, se non valgono … a dimostrare danni nella sfera della salute causalmente accertati, depongono a
confermare quello stato di perturbamento psichico, da disagio e preoccupazione duraturi nel tempo, che è l’essenza del danno
morale".
Trattasi di motivazione priva dei pretesi errori giuridici e che sotto il profilo logico non incorre nel denunciato vizio di
contraddittorietà perchè, lunghi dal fermarsi a considerazioni di carattere generale, ha personalizzato l’accertamento nei
confronti del soggetto offeso, facendo buon governo del concetto di danno morale soggettivo e delle circostanze che avevano
prodotto al P. uno stato di ansia ed un notevole condizionamento nell’ordinario svolgimento della sua vita.
Anche il secondo motivo va, pertanto, rigettato.
Con il terzo ed ultimo mezzo l’………………., denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 92 in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c., si duole della compensazione di metà delle spese del doppio grado, restando l’altra metà a carico di essa ricorrente.
Neppure questa censura può essere accolta. Per quanto concerne, infatti, la parziale compensazione, il relativo provvedimento è
incensurabile in sede di legittimità, essendo fondato sulla reciproca soccombenza che, a sua volta, giustifica la condanna a carico
dell’…………………, la cui soccombenza, in una valutazione complessiva dell’esito del giudizio di merito, è stata ritenuta più grave.
Alle spese attiene anche il terzo motivo del ricorso incidentale che, peraltro, così come formulato, è inammissibile, dal momento
che il P., riconosciuta la conformità a legge della relativa statuizione, auspica solo una diversa regolamentazione a seguito
dell'invocata cassazione della sentenza impugnata.
Tirando i fili del discorso e concludendolo, ambedue i ricorsi riuniti devono essere rigettati.
L’importanza e la delicatezza delle questioni trattate costituiscono giusto motivo per compensare le spese del presente grado.
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2001, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione.
Depositata il 21 febbraio 2002.