Data: 10/06/2011 11:00:00 - Autore: Avv. Paolo M. Storani
6 giu '11, fa il primo caldo afoso. Al mattino Alfonso Quaranta, magistrato del Consiglio di Stato, giudice costituzionale dal 27 gen '04, viene eletto nuovo presidente della Consulta. La camera di consiglio lo ha innalzato al soglio con dieci voti favorevoli e tre schede bianche: ranghi ridotti per scadenza dei mandati del predecessore De Siervo e per malattia della Saulle. In tinello c'è un oggetto che mi è caro più del volume di Alberto Trabucchi in similpelle marrone di Diritto Civile edito da Cedam; si tratta di un orologio 'Thun' che ci regalò mia madre Rosy. Eravamo nei pressi di Brunico non so quanti anni fa (decenni: penso fosse l'82, l'Italia era Mundial). Vagabondiamo alla ricerca di una sistemazione per la sera. Il ritornello fermo e garbato è "Italiani per una notte non fare". Alla pensioncina con i gerani rossi ci accoglie una signora altoatesina chiedendoci da dove venissimo. Optiamo strategicamente per un 'Marche-Ancona'; lei ripete tra sé e sé "Ancora?!" come avessimo detto Oslo e poi fa segno che ha capito: "Ho un amico che abita dalle Vostre parti, a Bari". La conversazione geografica termina prudentemente lì mentre dalla cucina escono odori inquietanti di mescolanze improbabili. Il marito sembra un alchimista in preda ad evidente follia. Tento di acquistare un volumetto sulla storia di Franz Beckenbauer con la bella casacca rossa del Bayern, ma il libraio della Val Pusteria mi risponde in tedesco duro e puro facendo capire, per fatti concludenti, che "italiani non fare!". Invece la signora della pensioncina dai gerani rossi è comprensiva con noi: in fondo in fondo, noi italiani non le facevamo proprio ribrezzo e ci consegnò un piumone a testa. Nessun lenzuolo. Camera unica per quattro persone. Quando trovammo una trattoria gestita da italiani centro-meridionali, ci abbracciammo. Lacrime di commozione avanti ad un piatto di penne al pomodoro ricordando le sgroppate sulla fascia di Bruno Conti. Fu quella volta che Rosy, in estasi avanti ad una vetrina, si innamorò di un "angelo di Dobbiaco": scoprii i Thun. All'epoca i Thun non erano affatto diffusi o comunque noi non li conoscevamo. Negli anni le nostre case si sono poi riempite di piccoli Thun, molto amati anche da Pippo, mio suocero. Al nostro anniversario rotondo mia moglie ha acquistato gli sposini (con l'avvertenza che io ho la barba e lo sposino no, ma in compenso ha un cilindro che ricorda quello con cui Rino GAETANO spopolò a Sanremo: Rino, mi manchi tanto e sono già trent'anni giusti che te ne sei andato, giugno '81), l'ultimissimo motivo realizzato dalla Ditta di Bolzano e li abbiamo regalati a tutti gli invitati a mo' di bomboniera: ognuno dei parenti è tornato a casa felice come un bambino con il suo Thun nuovo di zecca. Con la grazia inimitabile tipica dei Thun, un gattone sornione sovrasta dormiente un uccellino a becco spalancato che costituisce il pendolo dell'orologio. Curiosamente, erano diversi giorni che, sia al mattino che alla sera, quando andavo a controllare l'ora, o era mezzogiorno preciso o mezzanotte esatta. E così o cercavo di portare a conclusione quel che stavo scrivendo o studiando, oppure mi cominciavo ad avviare verso il letto, selezionando con cura il libro da riporre sul comodino per la notte e la saponetta da usare tra le variopinte che adornano il mio bagno. Le preferisco perché penso che inquinino di meno del bagnoschiuma. Però, a rifletterci bene, che coincidenza: sempre e soltanto o le 12 o le 24. Poi, stamani, appena sveglio, saranno state le sei, mi sono accorto che l'orologio THUN segnava egualmente, imperterrito, già mezzogiorno. L'uccellino si era fermato proprio esattamente a mezzogiorno (o mezzanotte?). Allora, anche uno come me ha realizzato: si era fermato (va a pila). Ed ho ripensato alla frase, stupenda, di HERMANN HESSE: "anche un orologio fermo segna l'ora giusta due volte al giorno". Per vari giorni quell'orologio fermo mi era stato in qualche modo egualmente utile per scandire i miei ritmi biologici. Scusa, Zibaldone caro, ma debbo andare a comprare la pila con la speranza di reperire l'introvabile bidoncino per smaltire quella esausta.
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