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Data: 21/09/2011 11:00:00 - Autore: Giovanni Minauro Nel giudizio di opposizione all'esecuzione promosso nelle forme dell'opposizione a precetto, l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ex art. 615 c.p.c. determina l'instaurazione di un vero e proprio subprocedimento di natura cautelare che, analogamente a quanto avviene per l'istanza di sospensione dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c., trova disciplina processuale negli agli artt. 669 bis e ss. c.p.c., con conseguente possibilità di adozione della sospensiva anche inaudita altera parte (quindi con decreto revocabile o modificabile all'udienza di comparizione personale) e reclamabilità, ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c., del provvedimento finale del giudice (Cfr., ex plurimis, Cass. Civ., Sez. Un., 19/10/2007, n. 21860; Cass. Civ., Sez. III, 22/10/2009, n. 22488 ; Cass. Civ., Sez. III, 10/03/2006, n. 5368). Secondo autorevole dottrina, la natura cautelare di detta istanza comporta che i "gravi motivi", richiesti dall'art. 615 c.p.c. ai fini del relativo accoglimento, debbano essere individuati nei requisiti propri dell'azione cautelare (fumus boni juris e periculum in mora), con conseguente necessità, da parte del giudice, di valutare sia la presumibile fondatezza delle ragioni dell'opposizione e sia la irreparabilità del pregiudizio che potrebbe derivare all'opponente dal compimento degli atti esecutivi, e di privilegiare, nella comparazione dei contrapposti interessi delle parti, quello del creditore procedente, poiché questi, se dovesse essergli inibita l'esecuzione, "correrebbe il rischio che il soggetto intimato possa rendersi impossidente" (V. ORIANI, La Sospensione dell'esecuzione – Sul combinato disposto degli art.. 615 e 624 c.p.c., in Riv. Esec. forzata 2006, 109 ss.). In tale prospettiva, si è tuttavia puntualizzato che, qualora l'istanza di sospensione riguardi il procedimento esecutivo e sia quindi proposta, ex art. 624 c.p.c., ad l'esecuzione già avviata, risultando, in tal caso, le ragioni del creditore già garantite dall'effetto conservativo del pignoramento, andrebbe invece privilegiata la posizione del debitore, dal momento che potrebbe realizzarsi una vendita ingiusta in suo danno (V. ORIANI, op. cit.). Altra parte della dottrina sostiene, invece, che per la sussistenza dei "gravi motivi" di cui agli artt. 615 e 624 c.p.c. sarebbe sufficiente la ricorrenza del solo requisito del fumus boni iuris e che la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo o del processo esecutivo andrebbero conseguentemente accordate ogni qualvolta le contestazioni sollevate dal debitore risultino verosimilmente fondate, dal momento che il periculum in mora non potrebbe che consistere, ex se, nello stesso svolgimento del processo esecutivo in possibile danno del debitore (V. PETRILLO, Art. 624 – Sospensione per opposizione all'esecuzione, Commentario alle riforme del processo civile, 2007, 625 ss.). In ordine a tale problematica, la giurisprudenza non ha invero assunto una posizione ben precisa e ritiene che i "gravi motivi" richiesti dagli artt. 615 e 624 c.p.c. possano consistere sia in eccezioni di carattere processuale (e, quindi, di puro diritto), sia nella deduzione dell'insussistenza della pretesa del creditore procedente per fatti impeditivi, modificativi o estintivi di essa verificatisi successivamente al formarsi del titolo esecutivo e sia, infine, in particolari situazioni pregiudizievoli al debitore, quali, ad esempio la difficoltà di riottenere, da parte dello stesso, la futura restituzione di quanto pagato o la estrema gravità del danno patrimoniale che gli deriverebbe dal compimento degli atti esecutivi (Cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. III, 09/07/2008, n. 18856 ; Corte App. Milano, sez. I, 14 ottobre 2008; Cass. Civile , sez. III, 25 febbraio 2005, n. 4060). In tale contesto dottrinale e giurisprudenziale, si inserisce una significativa pronuncia del Tribunale di Lecco (Trib. Lecco, Sez. II del 06/07/2006, Redazione Giuffrè 2009), nella quale si ravvisa – a modesto parere di chi scrive – un notevole ed interessante balzo in avanti dei giudici di merito nel prediligere soluzioni, invero già predicate in dottrina (V. PETRILLO, Opera cit.), volte a garantire l'effettività del diritto di difesa ed il perseguimento degli obiettivi di giustizia sostanziale sottesi agli istituti della sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo e della sospensione dell'esecuzione in genere. Tale pronuncia (un'ordinanza collegiale emessa in sede di reclamo) riguarda, invero, la conferma, sul presupposto della ricorrenza del solo requisito del fumus boni juris, di un'ordinanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo emessa dal giudice di prime cure nell'ambito di un'opposizione a precetto proposta dal terzo tenuto, ex art. 8 III e IV comma l. n.898/1970, a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge divorziato ed obbligato agli alimenti nei confronti dell'altro coniuge. Ora, a prescindere dal merito della questione, ciò che qui interessa evidenziare è l'iter logico-giuridico seguito dal Tribunale di Lecco nell'assimilare i gravi motivi di cui all'art. 615 c.p.c. ai requisiti propri dell'azione cautelare (fumus boni juris e periculum in mora) e nel ritenere sufficiente, ai fini della concessione della sospensiva, la ricorrenza del solo fumus boni juris. Orbene, in detta pronuncia - che risale, in effetti, ad epoca anteriore ai successivi interventi chiarificatori della S.C. in merito alla natura cautelare della richiesta di sospensione ex art. 615 c.p.c. (cit. Cass. civ., Sez. Un., n. 21860 /2007), anticipandone per alcuni versi i contenuti - l'istanza de qua viene considerata come una sorta di ricorso d'urgenza e l'eventuale suo accoglimento subordinato, in via generale ed astratta, alla sussistenza dei requisiti propri dell'azione cautelare ex art. 700 c.p.c. Si richiama, al proposito, l'orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 1372/2000) che, già prima dell'entrata in vigore della novella del 2005 (l. n. 80/2005) e della conseguente possibilità di poter ottenere, in sede di opposizione a precetto, la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo azionato, aveva di fatto ritenuto esperibile, in mancanza di rimedi tipici previsti dall'ordinamento, l'azione cautelare di cui all'art. 700 c.p.c. volta ad inibire l'esecuzione minacciata con il precetto (orientamento giurisprudenziale, quest'ultimo, cui lo stesso legislatore del 2005 si sarebbe poi ispirato nell'attribuire al giudice dell'opposizione a precetto il potere di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo). Si afferma, quindi, che l'accoglimento dell'istanza di sospensione ex art. 615 c.p.c. dipende, in linea di principio, dalla contemporanea ricorrenza di ambedue le condizioni dell'azione cautelare ex art. 700 c.p.c. e, dunque, del fumus boni juris (verosimiglianza della fondatezza dei motivi di opposizione all'esecuzione), e del il periculum in mora (pericolo che nel tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria questo possa rimanere definitivamente pregiudicato), facendo così coincidere il requisito dei gravi motivi di cui all'art. 615 comma I c.p.c con dette condizioni. E fin qui, nulla di nuovo – si dirà - in ordine alla cennata esigenza di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale e del diritto di difesa del debitore. Anzi, da una siffatto inquadramento dell'istanza in esame, non potrebbe che derivare un ulteriore restringimento delle ipotesi di possibile accoglimento della stessa, dal momento che – com'è noto - in materia di provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., la giurisprudenza di merito è generalmente orientata a ritenere che il periculum possa ricorrere unicamente allorquando il diritto fatto valere nel merito sia infungibile, ovvero non suscettibile di reintegrazione economica e, dunque, attenga a situazioni giurdico-soggettive riconducibili alla sfera personale del soggetto agente (Cfr., ex plurimis, Trib. Nola, sez. II, 09/10/2008 ; Trib. Termini Imerese, 22/12/2008; Trib. Palmi, 23/07/2002; Trib. Bari, sez. IV 15/07/2010). Si obietterà, altresì, che ad analoghe conseguenze restrittive si perviene, del resto, considerando l'istanza de qua, in adesione ai principi di cui alla sopra citata Cass. Sez. Un. n. 21860 /2007, di natura semplicemente e genericamente cautelare, senza accostarla alla tutela d'urgenza ex art. 700 c.p.c. Anche in tal caso, difatti, ai fini del relativo accoglimento, risulterebbe necessaria la contemporanea ricorrenza di ambedue i requisiti del fumus e del periculum, quali presupposti dell'azione cautelare in genere. A meno che – ed è questa la novità che si intravvede nella pronuncia in esame (ove si afferma, sul presupposto della riconosciuta sussistenza del fumus boni juris, che "quanto al periculum in mora, l'astratta possibilità di porre in essere atti esecutivi a seguito della notifica dell'atto di precetto determina in re ipsa il pericolo di grave pregiudizio al diritto di opporsi all'esecuzione forzata") - il diritto fatto valere con l'opposizione al precetto non si faccia coincidere, com'è logico che sia, con lo stesso diritto ad opporsi all'esecuzione e si conferisca ad esso natura latamente "personale", siccome frutto di concreta estrinsecazione del più ampio diritto di difesa e di effettivo esercizio della tutela giurisdizionale In tale prospettiva, difatti, il periculum in mora non potrebbe che riguardare proprio tale diritto e ricorrere, automaticamente, ogni qual volta sia ritenuto sussistente il fumus boni juris, ossia ogni qual volta i motivi dell'opposizione, vagliati alla stregua della sommaria cognitio cautelare, siano valutati come verosimilmente fondati, con conseguente necessità di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo (o, analogamente, l'esecuzione, in caso di istanza ex art. 624 c.p.c.), per evitare il definitivo ed irreparabile sacrificio del diritto del debitore di poter ottenere l'inibizione della stessa esecuzione attraverso il legittimo esercizio delle azioni riconosciutegli dagli artt. 615 e 624 c.p.c.. D'altra parte, quale potrebbe essere il "diritto" fatto valere con l'opposizione all'esecuzione, se non quello insito nel contenuto della stessa azione? Il pagamento, la prescrizione, la nullità del titolo, ossia tutte le eccezioni che solitamente vengono sollevate con tale tipo opposizione, costituiscono, difatti, le ragioni poste a fondamento della relativa domanda, vale a dire i fatti modificativi, impeditivi o estintivi della pretesa esecutiva del creditore. Il diritto fatto valere si identifica, invece, in quello di potersi opporre ad un'esecuzione che si ritiene ingiusta o illegittima. In definitiva, la tesi secondo cui ai fini dell'accoglimento dell'istanza di sospensione di cui all'art. 615 c.p.c. (nonché dell'istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c.) è sufficiente la ricorrenza del solo fumus boni juris - sostenuta in dottrina dal PETRILLO ed applicata nella sopra menzionata ordinanza del Tribunale di Lecco – appare sicuramente preferibile a quella, più restrittiva, che ritiene necessaria, ai predetti fini, la sussistenza anche del periculum in mora, riferendo tale ultimo requisito ad altre situazioni giuridico-soggettive del debitore (difficoltà di riottenere la futura restituzione della somma da pagare o del bene da rilasciare o consegnare, estrema gravità del danno patrimoniale derivante dal compimento degli atti esecutivi etc…) e non al diritto dello stesso di potersi utilmente ed efficacemente opporre ad un'esecuzione ingiusta. I motivi che conducono a tale scelta di campo risiedono, essenzialmente, oltre che nelle sopra esposte considerazioni, nella ulteriore ed insopprimibile esigenza di dare concreta attuazione ai principi costituzionali posti in materia di effettività del diritto alla difesa e di giusto processo dagli art.. 24, 111 e 113 della Costituzione ed al principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito negli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali e riaffermato dall'art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali di Nizza. In applicazione dei suddetti principi costituzionali e comunitari, occorre difatti garantire che gli strumenti processuali previsti dall'ordinamento per la tutela in giudizio dei diritti siano concretamente idonei a garantire l'effettività del diritto di difesa (Cfr. Corte cost. n. 20/09; n. 182/2008; nn. 180-181-182, 282, 420/2007; n. 101/2003 e n. 419/2000) e, in caso di dubbio su detta idoneità, interpretare le disposizioni processuali in modo da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile la tutela giurisdizionale provvisoria di tali diritti (Corte di Giustizia Europea Grande Sezione, Sentenza 13 marzo 2007, C-432/05). Avv. Giovanni Minauro |
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