Data: 19/10/2011 09:00:00 - Autore: Marco Spena
Il cittadino straniero colpito da provvedimento di espulsione, quale che sia il suo stato di indagato o imputato, ovvero di persona offesa in un reato, ha diritto di rientrare in Italia per esercitare la difesa. La competenza al rilascio dell'autorizzazione è del Questore che, attraverso la rappresentanza diplomatica o consolare nel paese di origine del cittadino straniero, ordina il rilascio del visto con conseguente rilascio, all'ingresso, del permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Naturalmente il permesso di soggiorno in questione ha una valenza temporale e oggettiva, riferita cioè all'esercizio del diritto di difesa, al fine di prendere parte al giudizio e al compimento di quegli atti che necessitino della presenza del soggetto interessato. E' evidente come la norma in questione limiti il diritto al reingresso solo alla partecipazione al giudizio. L'effettivo esercizio del diritto di difesa non sarebbe allora pieno, specialmente nella fase delle indagini preliminari, salvo la necessità del compimento di atti come l'incidente probatorio. Si pensi inoltre alla partecipazione alla fase dell'udienza preliminare, che non sembrerebbe rientrare nei casi in cui è possibile essere autorizzati al reingresso, escludendo anche in tal caso la necessità del compimento di atti che richiedono la presenza. In questi casi descritti, non rientranti cioè nella partecipazione al giudizio, il reingresso è soggetto alla speciale autorizzazione di cui all'art. 13 T.U., di competenza del Ministro dell'Interno, il quale decide con valutazione discrezionale. Seguendo l'indirizzo della Corte Costituzionale (sentenza n. 335 del 12 luglio, 2002), è stata evidenziata la possibilità di rilasciare l'autorizzazione anche per la fase della partecipazione all'udienza preliminare, considerando le modifiche apportate a tale fase del procedimento penale dalla l. n. 479/1999 orientata a ritenere il momento dell'udienza preliminare una vera e propria fase del giudizio. La normativa disciplinante l'esercizio del diritto di difesa ha sollevato numerosi dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. e all'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Dal momento dell'espulsione conseguono infatti una serie di effetti onerosissimi tali da rendere impossibile la partecipazione dell'imputato al processo. Non risulterebbe nemmeno semplice inquadrare la situazione del cittadino straniero espulso dal territorio dello Stato né nell'istituto processuale dell'assenza né in quello della contumacia. Per quel che concerne l'assenza verrebbe a mancare il requisito della manifestazione della volontà di rinunciare all'autodifesa. Nel caso della contumacia, verrebbe a mancare invece il requisito di un legittimo impedimento a comparire. Come dicevamo, l'autorizzazione al reingresso, salvi i casi di cui all'art. 13 T.U., è di competenza del Questore del luogo in cui si trova l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale è pendente il processo. Tale autorizzazione, secondo un'impostazione costituzionalmente orientata, rappresenterebbe per il Questore un atto dovuto. Proprio per queste considerazioni nell'ipotesi in cui venga negata l'autorizzazione al reingresso la competenza a decidere sul diniego sarebbe del T.A.R. competente per territorio. Diversa l'ipotesi in cui il cittadino straniero una volta rientrato per i motivi di cui all'art. 17 T.U., si rivolga alla Questura per il conseguente rilascio del permesso di soggiorno e questo sia negato. In tal caso, trattandosi di un diritto soggettivo perfetto, la competenza è del Tribunale Ordinario. Appare chiaro che il permesso di soggiorno per motivi di giustizia è legato all'esigenza di legittimare la presenza sul territorio dello Stato dell'imputato o della persona offesa, al fine del riconoscimento del diritto di difesa. Naturalmente ciò è riscontrabile anche quando l'imputato sia sottoposto a misure restrittive della libertà personale. In tal caso il venir meno della misura cautelare, non legittima la Questura alla revoca del permesso in questione, dovendosi attendere il passaggio in giudicato della sentenza penale, salvo diverso ordine del Giudice (Consiglio di Stato sen. 2/2008). Il permesso di soggiorno per motivi di giustizia ha una durata massima di tre mesi, rinnovabile di tre mesi in tre mesi. In questa fase temporale la normativa non vieta , in quanto possibilità non esplicitamente prevista ma neanche esclusa, la facoltà di lavorare. A parte le ipotesi di proroga, questo tipo di permesso non è rinnovabile, anche se è possibile la sua conversione laddove per motivi di protezione sociale, accertate situazioni di violenza o grave sfruttamento, è possibile beneficiare di un permesso di soggiorno rinnovabile che consenta la regolarizzazione della permanenza del cittadino straniero in Italia (art. 18 T.U.).
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