Data: 20/10/2011 10:30:00 - Autore: Avv. Paolo M. Storani
Caro Zibaldone, è sabato scorso, l'aria d'ottobre comincia ad essere frizzante. Si parla del più e del meno con la Coordinatrice del Giudice di Pace di Jesi, Avv. Alessandra Capecci, che ho incontrato al bar: "Hai convegni in programma?" "sì, qualcosa in giro, tipo Roma" le rispondo ed Alessandra prosegue: "Ho venduto l'Alfa 147 stracarica di chilometri per una Nissan Juke; sapessi gli incombenti che ha il Coordinatore ...A proposito, hai visto di recente Saburri? Sta facendo la chemioterapia, l'ho incontrato in udienza trasfigurato, mi sono sforzata di non dare a vedere il mio stato d'animo profondamente colpito, ma poi sono stata male l'intera giornata". Per me una rasoiata. Aggiunge Alessandra quel che le confidava il comune Amico: "Questi medici davvero non capiscono: io sono un avvocato, mica posso perder tempo con loro, ho da tutelare i miei clienti". Saburri è un nostro Collega, Roberto di nome di battesimo: cominciava la professione per tutti noi e si era verso la fine degli Anni Ottanta ad abbeverarci alla cultura del Consigliere Pretore Dott. Alberto TAGLIENTI; sin dai primi contatti avevo capito che Roberto era uno autentico, impastato di carne, sangue, sudore, nervi e sigarette, per spezzare lo stress con il sospiro di tabacco. Uno che pestava i calli, uno che non si rassegnava. Me lo ricordo in un processo penale mentre attendevo il mio che seguiva a ruota: sempre battagliero e nemico dei soprusi, aveva denunciato alcuni Ufficiali Giudiziari, se non erro. Scrive a pag. 123 Michela MARZANO, studi alla Normale di Pisa e poi Professore ordinario all'Università di Parigi "Paris Descartes", del meraviglioso libro autobiografico "Volevo essere una farfalla" edito da Mondadori nell'agosto '11, "come fanno tutti coloro che restano IMPASSIBILI, che si lasciano scivolare le cose addosso, che non si commuovono? Come fanno a mettere la realtà a distanza, a sublimarla, ad andare avanti sempre e comunque?" - L'avrete capito: mi hanno appena comunicato per telefono che da qualche ora Roberto Saburri, di professione avvocato, che avrebbe compiuto 53 anni il 4 nov '11, non è più. Ha raggiunto la moglie, incredibilmente deceduta un anno fa per un analogo male. Non lo incontrerò mai più, non mi lancerà più uno sguardo da attore americano di quelli duri soggiungendo ridendo "Paolé, tu che ne pensi?". Piango. Ci hanno insegnato da piccoli a noi maschietti che piangere è un segno di debolezza. Quella era l'educazione, ancora troppo intrisa di cultura fascista; i nostri genitori erano vissuti sotto quel regime e sotto il lascito di macerie che ne rimase: il Duce non ride mai, ci avete mai fatto caso? Ho istintivo timore delle persone che non ridono. E ovviamente Mussolini non piange mai nei dagherrotipi degli Anni Trenta. Ed invece io continuo a piangere un Collega che sapeva ridere, che sapeva instaurare rapporti senza infingimenti e convenzioni, senza quella ipocrisia nefasta che spesso pervade i palazzi di giustizia, cascame di una professione legale ch'era paludata quando iniziammo a bazzicarla. Un Avvocato Vero, uno che pesta i calli per l'appunto e non si rassegna. Un indignado ante litteram. In fondo, un Avvocato Vero non può morire. Mai. Ed il 'mio' adorato Gianni Mura terminerebbe questi pensieri abborracciati dal dolore e dalla mestizia con la frase: che la terra Ti sia lieve, Roberto caro.
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