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Data: 30/11/2011 08:22:00 - Autore: L.S. "Ferma restando la facoltà dell'imprenditore di intimare il licenziamento non appena il lavoratore abbia esaurito il periodo di comporto per malattia e quindi, anche prima del suo rientro in servizio, nondimeno il datore di lavoro ha altresì facoltà di attendere tale rientro per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all'interno dell' assetto organizzativo dell'azienda;per l'effetto, solo a partire dal rientro in servizio del lavoratore l'eventuale prolungata inerzia datoriale nel recedere dal rapporto può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinuncia al potere di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente". Questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24899 del 25 novembre 2011, nella cui parte motivata i giudici di legittimità precisano che l'interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con un ragionevole spatium deliberandi da riconoscersi al datore di lavoro affinché possa valutare convenientemente la compatibilità di una rinnovata presenza del lavoratore in rapporto agli interessi aziendali; la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve operare di volta in volta, con riferimento all'intero contesto delle circostanze potenzialmente significative, se del caso valutando detta tempestività in relazione non al momento in cui spira il termine interno del comporto, bensì a quello di rientro in servizio del lavoratore. Fino a quando il lavoratore non sia rientrato in servizio - si legge nella decisione della Suprema Corte - la pura e semplice inerzia dell'imprenditore è ancora un contegno neutro, di per sé non significativo della volontà di rinunciare alla facoltà di recesso e, quindi, inidoneo a determinare l'altrui incolpevole affidamento. Nel caso di specie, il licenziamento è stato intimato in un arco di tempo (19 giorni dopo il rientro in servizio del lavoratore) compatibile non solo con le dimensioni aziendali (secondo quanto accertato in sede di merito con motivazione immune da censure), ma anche con uno spatium deliberandi inteso alla concreta verifica di una possibile conservazione del rapporto dopo che il lavoratore era tornato al lavoro. Viene quindi rigettato il ricorso proposto dagli eredi del lavoratore licenziato che affermavano che il licenziamento dovesse considerarsi tardivo. |
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