Data: 24/12/2011 10:00:00 - Autore: Luisa Foti
In materia di spese giudiziali, la Corte di Cassazione ha stabilito che nell'ipotesi di diniego della pronuncia di merito per accoglimento dell'eccezione di prescrizione, nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, il valore della controversia, per la liquidazione degli onorari a carico dell'attore soccombente, è quello corrispondente alla somma da quest'ultimo domandata. Questo è il contenuto della sentenza n. 25553, depositata il 30 novembre 2011 della terza sezione civile. Gli Ermellini hanno spiegato che se l'attore chiede denaro in una causa relativa a un risarcimento danni o al pagamento di una somma, laddove il giudice gli neghi la pronuncia nel merito, accogliendo l'eccezione di prescrizione, sarà infatti l'importo contenuto nella domanda dell'attore a costituire il riferimento per stabilire il valore della controversia e dunque quale sia la tariffa civile applicabile per la liquidazione degli onorari di avvocato a carico del soccombente. La Corte, citando una sentenza delle Sezioni Unite del 2007 (19014/2007 S.U.), ha enunciato i principi applicabili, al caso di specie: “il valore della controversia” , (al fine del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente va fissato - in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato all'opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall'interpretazione sistematica dell'art. 6, commi 1 e 2, della Tariffa per le prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa e tributaria, contenuta nella Delib. Consiglio Nazionale Forense 12 giugno 1993, approvata con D.M. Ministro Grazia e Giustizia 5 ottobre 1994, n. 585, avente natura subprimaria regolamentare e quindi soggetta al sindacato di legittimità di questa Corte - sulla base del criterio del disputatum (ossia di quanto richiesto dalla parte attrice nell'atto introduttivo del giudizio), tenendo però conto che, in caso di accoglimento solo parziale della domanda, il giudice deve considerare il contenuto effettivo della sua decisione (criterio del decisum), salvo che la riduzione della somma o del bene attribuito non consegua ad un adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice, convenuta in giudizio, nel qual caso il giudice, richiestone dalla parte interessata, terrà conto non di meno del disputatum, ove riconosca la fondatezza dell'intera domanda); analogamente nel caso in cui, ove una parte impugni la decisione resa dal giudice soltanto in parte, il valore della controversia nel suo successivo sviluppo nel grado di impugnazione è limitato a guanto richiesto dalla parte impugnante secondo il criterio del disputatum, integrato dal criterio del decisum in caso di accoglimento parziale dell'impugnazione”. La Corte d'Appello di Milano – ha poi concluso la Corte - ha tenuto conto soltanto del primo princìpio, trascurando le implicazioni del secondo; inoltre, ha male applicato anche il primo, fraintendendone la portata”.
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