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Data: 17/01/2012 09:30:00 - Autore: Luisa Foti Vietato accusare un giudice di inoperosità. Un'espressione apparentemente innocua pronuncuata in aula e che non suscita particolare clamore può invece far scattare una sanzione disciplinare a carico dell'avvocato restando irrilevante lo “strepitus fori”, il clamore appunto, che possono eventualmente suscitate alcune espressioni. Il chiarimento arriva con la sentenza n. 30170, depositata il 30 dicembre 2012 delle sezioni Unite civili secondo cui deve ritenersi sufficiente, ai fini dell'irrogazione della sanzione disciplinare all'avvocato, l'accertata pronunzia nell'aula di giustizia di espressioni ingiuriose rivolte ai magistrati, dovendo ritenersi le frasi offensive di per sé contrarie alla dignità e al decoro professionale, indipendentemente dall'accertamento del clamore suscitato da dette affermazioni. Peraltro ove si accerti il CD “strepitus fori”, ciò può costituire un'aggravante della condotta addebitata all'incolpato. Secondo quanto si legge in sentenza, a seguito della ricezione del verbale dal Tribunale di Firenze, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati procedeva disciplinarmente a carico di un avvocato per la ravvisata violazione degli artt. 12 e 38 R.D.L. n. 1578 del 1933, per avere, quale difensore di parte civile in un procedimento penale, pronunziato espressioni ingiuriose, definite “non pertinenti né direttamente finalizzate alla difesa”, nei confronti delle persone di due magistrati, il P.M. e il Giudice del Lavoro. L'avvocato, in particolare, rivolgendosi al P.M. aveva affermato che la stessa era “nota in Procura per la sua inoperosità” e che la seconda “era passata dal suo incarico di Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Prato a quello di Giudice del Lavoro di Firenze in conseguenza della sua gestione disinvolta dei collaboratori di giustizia”, persistendo “nell'uso di espressioni dal contenuto improprio ed inconferente nonostante i ripetuti solleciti del Giudice del dibattimento e del Pubblico Ministero di udienza”. Con decisione C.O.A dichiarò l'avvocato colpevole dell'addebito ascrittogli e gli irrogò la sanzione della censura. All'esito ed in parziale accoglimento del gravame proposto dall'incolpato, il Consiglio Nazionale Forense applicò la minore sanzione dell'avvertimento, anche alla luce della remissione di querela da parte dei due magistrati. Avverso la suddetta decisione l'avvocato proponeva ricorso alle Sezioni Unite che, rigettando il ricorso dell'avvocato (nella parte in cui sosteneva non essersi integrato l'illecito ascrittogli per la mancanza dello “strepitus fori”), hanno stabilito quanto segue: “Quanto poi alla sussistenza o meno dello “sconcerto negli astanti, che particolarmente si contesta nel mezzo d'impugnazione, la censura difetta di rilevanza, attenendo ad una circostanza non integrante alcun elemento dell'illecito deontologico, la cui condotta tipica, nella specie contestata, consiste nel compimento di atti non conformi alla dignità ed al decoro professionale non essendo anche richiesto, quale evento lesivo, lo strepitus fori e neppure previsto quest'ultimo quale eventuale aggravante dell'illecito. Sotto diverso profilo deve osservarsi che detta circostanza nemmeno ha assunto concreto rilievo, quale parametro valutativo della oggettiva gravità dell'illecito (in analogica applicazione dell'art. 133 C.P.) ai fini del trattamento sanzionatorio, posto che il giudice di appello ha ritenuto di dover applicare all'incolpato la sanzione minima prevista dall'ordinamento professionale, quella dell' avvertimento; sicché la censura difetta di concreto interesse”. |
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