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Data: 21/02/2012 10:00:00 - Autore: L.S. "In caso di lesione dell'integrità fisica conseguente a malattia occorsa al lavoratore per la violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., ove dalla malattia sia derivato l'esito letale e la vittima abbia percepito lucidamente l'approssimarsi della fine attivando un processo di sofferenza psichica, l'entità del danno non patrimoniale (il cui risarcimento è reclamabile dagli eredi) deve essere determinata sulla base non già (e non solo) della durata dell'intervallo tra la manifestazione conclamata della malattia e la morte, ma dell'intensità della sofferenza provata, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e delle altre particolarità del caso concreto.". Questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 2251 del 16 febbraio 2012, ha rigettato il ricorso proposto da una Società avverso la sentenza con cui i giudici di merito avevano affermato la responsabilità del datore di lavoro per violazione dell'art. 2087 c.c. e dell'obbligo di adottare idonee misure di prevenzione del rischio, a fronte della riconosciuta nocività dell'ambiente per la diffusione di fibre di amianto e la cui inalazione si poneva in nesso causale con il decesso del lavoratore. La Corte d'Appello riteneva in discussione solo il risarcimento del danno biologico e morale sofferto dal defunto maturato nel periodo tra il manifestarsi della malattia e il decesso, prescindendo dai profili del danno patrimoniale (danno emergente e lucro cessante). I Giudici di legittimità, affermando che la responsabilità ex art. 2087 rappresenta uno dei contenuti del contratto di lavoro, costituito dall'obbligo di predisporre tutte le misure e le cautele idonee a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio, precisa che correttamente il giudice di merito ha ritenuto che la semplice rimozione dei residui della lavorazione dell'amianto non fosse sufficiente a rendere salubre l'ambiente di lavoro, in ragione della conosciuta nocività delle fibre volatili liberate dal materiale di amianto e che l'omissione di idonee misure di questo tipo (consistenti non solo nell'adozione di specifici dispositivi di sicurezza, ma anche nella diversa organizzazione delle operazioni di lavoro) costituisse violazione dell'obbligo di sicurezza. Tuttavia la Suprema Corte sottolinea che il giudice di merito ha proceduto ad una liquidazione del danno in maniera automatica, sulla base della meccanica applicazione delle tabelle di liquidazione del danno biologico, senza tener conto della situazione soggettiva del soggetto danneggiato mentre il risarcimento di tale danno impone un criterio di personalizzazione del danno, che, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione automatica tenga conto, pur nell'ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e delle particolarità del caso concreto. |
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