Data: 04/03/2012 10:00:00 - Autore: Luisa Foti
La liquidazione danno non patrimoniale al genitore del figlio che subisce danno permanente in seguito al parto, deve essere fatta tenendo in considerazione la sofferenza anche sotto il profilo della sua degenerazione in obiettivi profili relazionali. È questo il contenuto della sentenza 2228, depositata il 16 febbraio 2012. La vicenda riguarda il caso di un bambino che durante il parto aveva subito la paralisi del braccio destro a causa di un errore medico. I giudici di merito avevano negato il risarcimento del danno non patrimoniale ai genitori sulla base della ritenuta mancanza di qualsiasi elemento idoneo a provare tale specifico profilo relazionale o esistenziale. Secondo la Cassazione però una volta che il danneggiato abbia allegato che vi era una normale pacifica convivenza del nucleo familiare e che le gravi lesioni subite dal figlio "hanno comportato una sofferenza inferiore tale da determinare un'alterazione del proprio relazionarsi con il mondo esterno, inducendolo a scelte di vita diverse" si deve ritenere che sussista una presunzione di sofferenza interiore così come di uno sconvolgimento esistenziale ed è quindi l'onere del danneggiante, se vuole vincere questa presunzione, fornire un'idonea prova contraria. I giudici di merito si erano limitati a liquidare un danno morale quale mera frazione del danno biologico o mettendo una effettiva personalizzazione del danno. Accogliendo il ricorso dei genitori la Corte ha spiegato che la liquidazione del danno morale operata mediante il meccanismo semplificativo del riferimento ad una mera frazione di quanto liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico non consente di cogliere quale sia stato il punto di riferimento dai giudici di merito in concreto preso in considerazione ai fini della debita personalizzazione della liquidazione del danno morale ai cui fini, per potersi considerare congrua ed adeguata risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana, è necessario che possa evincersi in quali termini si sia tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento dello stato d'animo. Al genitore di persona che abbia subito un danno permanente e invalidante all'esito di un errato intervento in sede di parto spetta il risarcimento del danno non patrimoniale sofferto in conseguenza di tale evento, dovendo ai fini della liquidazione del relativo ristoro tenersi in considerazione la sofferenza (o patema d'animo) anche sotto il profilo della sua degenerazione in obiettivi profili relazionali. La prova di tale danno può essere data anche con presunzioni. Ne consegue che in presenza dell'allegazione del fatto-base delle gravi lesioni subite dal figlio convivente, il giudice deve ritenere provata la sofferenza interiore (o patema d'animo) e lo sconvolgimento dell'esistenza che (anche) per la madre ne derivano, dovendo nella liquidazione del relativo ristoro tenere conto di entrambi i suddetti profili, ivi ricompresa la degenerazione della sofferenza interiore di quest'ultima, riverberantesi ad esempio, nella scelta di abbandonare il lavoro al fine di dedicarsi esclusivamente alla cura del figlio, bisognevole di assistenza in ragione della gravità della riportata lesione. Incombe alla parte a cui sfavore opera la presunzione dare la prova contraria idonea a vincerla, con valutazione al riguardo spettante al giudice di merito.
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