Data: 21/03/2012 10:30:00 - Autore: L.S.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4258 del 16 marzo 2012, ha affermato che è illegittimo il licenziamento del dirigente che usa la password altrui per collegarsi al sistema informatico aziendale se è una prassi dell'ufficio e tale comportamento sia necessitato da esigenze connesse con lo svolgimento del proprio lavoro. Secondo i giudici di merito sono fondate le giustificazioni della lavoratrice in merito alla ripetuta utilizzazione di una password altrui effettuata per collegarsi al sistema informatico aziendale. Infatti la lavoratrice, responsabile dell'Ufficio estero della società datrice di lavoro - che con l'introduzione di un nuovo sistema informatico aziendale, aveva formalmente sottratto alla competenza dell'Ufficio Estero l'attività di recupero crediti concentrandola nell'Ufficio Amministrativo con sede in una differente città -, al fine di ottenere i dati necessari per selezionare i clienti morosi e predisporre il recupero crediti sia nazionali che esteri per i quali restava responsabile, era costretta ad avere continui rapporti telefonici con l'Ufficio Amministrativo. Dopo aver segnalato le disfunzioni che si erano venute a creare, la lavoratrice ha utilizzato all'occorrenza la password di accesso al sistema informatico aziendale di una collega dell'Ufficio Amministrativo . “Tale condotta lungi dal rappresentare una indebita intromissione nei dati protetti dalla suddetta password – posti a tutela di brevetti industriali – ovvero una violazione della privacy della titolare è stato necessitato dalle esigenze – inutilmente segnalate all'azienda da parte della dirigente – connesse con lo svolgimento del proprio lavoro. E' stato altresì accertato che il comportamento contestato era conforme ad una prassi aziendale e che neppure esisteva all'epoca un codice di comportamento che vietava la condotta contestata alla dirigente.”. I Giudici di legittimità precisano che nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice d'Appello sono congruamente motivate e l'iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione. Il fatto poi che l'azienda abbia effettuato proposte di collaborazione alla lavoratrice, in epoca successiva al licenziamento, portano alla conclusione che la stessa azienda non considerava il comportamento addebitato in tema di recesso tale da impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto e da determinare il venir meno del vincolo fiduciario.
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