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Data: 25/04/2012 11:00:00 - Autore: Giovanni Minauro In attesa di leggere su tutti i portali giuridici del web – si spera, quanto prima - la notizia dell'eliminazione, ad opera della Corte Costituzionale, dell'obbligatorietà della mediazione civile, ci si consola, intanto, con l'apprendere che il giudice di Pace di Napoli, in una sua recente pronuncia (Giudice di Pace di Napoli, Sez. II, sent. del 23/03/2012), ha ritenuto che la procedura di mediazione di cui al D.lgs n. 28/2010 è da considerare, con riferimento alle controversie rientranti nella competenza del giudice di pace, come inutile “doppione”, da disapplicare, rispetto alla previsione dell'art. 322 c.p.c., che già contempla il tentativo di conciliazione (non obbligatorio) da poter esperire in sede non contenziosa dinanzi allo stesso giudice. Il ragionamento seguito dal Giudice Partenopeo muove, difatti, proprio dalla necessità di risolvere l'evidente conflitto normativo (antinomia) venutosi a creare tra il dettato del menzionato art. 322 c.p.c. e le sopravvenute disposizioni di cui al cit. D.lgs n. 28/2010, che – com'è noto - prevedono l'obbligatorietà della mediazione civile in via generale, per tutte le controversie relative a diritti disponibili e senza operare alcuna distinzione tra controversie di competenza del tribunale e controversie di competenza del giudice di pace. Tale conflitto normativo viene risolto, nella pronuncia in esame, nel senso di ritenere prevalente la norma codicistica, siccome anteriore e speciale, sulle anzidette disposizioni generali in materia di mediazione obbligatoria, in applicazione del noto principio ermeneutico secondo cui “lex posterior generalis non derogat priori speciali”. Soluzione, questa, sicuramente da condividere, dato che la stessa Suprema Corte (Cfr. Cass. n. 21418/08), ha stabilito che le disposizioni di cui al cit. art. 311 c.p.c. (secondo cui "il procedimento dinanzi al giudice di pace per tutto ciò che non è regolato nel presente titolo o in altre espresse disposizioni, è retto dalle norme relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica in quanto applicabili") si pongono in evidente rapporto di specialità rispetto alle altre norme generali che regolano il procedimento dinanzi al tribunale, con la conseguenza che una sopravvenuta norma processuale di carattere generale potrebbe essere applicata nel procedimento dinanzi al giudice di pace soltanto nel caso in cui la stessa lo preveda espressamente o disponga l'abrogazione della precedente disciplina processuale speciale. Su tali premesse, il Giudice di Pace di Napoli afferma, quindi, nella pronuncia de qua, che la generale disposizione di valenza processuale dettata dall'art. 5 del D.Lgs n. 28/2010, che prevede, a pena di improcedibilità della domanda, l'obbligatorietà della procedura di mediazione per tutte le controversie in materia di diritti disponibili, non contenendo alcun espresso riferimento al procedimento dinanzi al giudice di pace e non avendo abrogato l'art. 322 c.p.c., non possa trovare applicazione nelle controversie di competenza del giudice di pace, per le quali è già prevista, dall'antecedente norma processuale speciale di cui all'art. 322 c.p.c., la possibilità della conciliazione (non obbligatoria) in sede non contenziosa (possibilità non contemplata, invece, per i giudizi dinanzi al Tribunale). Tali affermazioni sono state subito contestate da autorevole voce, sostenendosi che il richiamo al principio di specialità operato dal Giudice di Pace di Napoli sarebbe da ritenere incongruente, in quanto il d.lgs. 28/2010 e l'art. 311 c.p.c. regolerebbero materie diverse, l'uno ciò che accade prima del processo, l'altro ciò che accade durante il processo (Cfr. BUFFONE, “Non è sostenibile la tesi della inapplicabilità dell'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, all'Ufficio del Giudice di Pace, in virtù degli artt. 311 e 322 c.p.c.”, Diritto e Giustizia 06 aprile 2012). In altri termini, il cit. D.lgs. 28/2010 non avrebbe introdotto “norme sul processo” modificative o abrogative delle norme processuali applicabili dinanzi al giudice di pace, ma un istituto “pre-trial” che condizionerebbe, in via generale, l'accesso alla giurisdizione, anche con riferimento alle controversie di competenza del giudice di pace. Secondo tale tesi contraria, altro argomento (di carattere apagogico), che dimostrerebbe la debolezza della tesi del Giudice Partenopeo, sarebbe costituito, poi, dalle assurde conseguenze cui essa condurrebbe con riferimento alle altre condizioni di procedibilità o proponibilità previste dalle leggi speciali, le quali, in virtù dell'asserita intangibilità dell'art. 311 c.p.c.., risulterebbero tutte conseguentemente ed inammissibilmente inapplicabili nei giudizi di competenza del giudice di pace. In definitiva, la coesistenza, nel nostro ordinamento, degli istituti della conciliazione in sede non contenziosa di cui all'art. 322 c.p.c. e della mediazione obbligatoria ex art. 5 D.lgs. 28/2010, non darebbe luogo ad alcuna antinomia normativa, stante la completa diversità strutturale e funzionale dei due istituti. A sommesso parere di chi scrive, le eleganti e penetranti critiche mosse alla coraggiosa pronuncia del Giudice di Pace di Napoli, non colgono nel segno, risultando agevolmente superabili sulla scorta di alcune semplici considerazioni di carattere generale. Innanzitutto – senza volersi minimamente addentrare nella irrisolta disputa dottrinale circa la differenza tra norme processuali e norme sostanziali o extraprocessuali - sembra che la natura processuale di una norma debba essere stabilita avendo riguardo, non tanto alla sua formale collocazione nell'ambito dell'ordinamento giuridico ed all'oggetto di sua immediata regolamentazione, quanto invece agli effetti, anche indiretti e differiti, che essa produce “sul” o “nel” processo. Di talché, non può certamente negarsi che abbiano “valenza processuale” norme, quali quelle contenute nel D.Lgs. n. 28/2001, che subordinano la stessa possibilità di svolgimento e/o di continuazione del processo (art. 5), volte tendenzialmente ad incidere sulla valutazione delle prove e sulla decisione finale del giudice (art. 8 co. 5), nonché sul regime delle spese processuali, e ad introdurre sinanche meccanismi di tipo sanzionatorio (art. 13). Sotto diverso profilo, è poi da considerare che, se si aderisce alla tesi che nega natura o valenza processuale alle anzidette norme sulla mediazione civile obbligatoria sul presupposto che esse prevedono una procedura stragiudiziale di conciliazione, bisogna poi conseguentemente riconoscere che, per la stessa ragione, nemmeno la disposizione dell'art. 322 c.p.c. potrebbe qualificarsi come norma di natura o valenza processuale. Difatti, anch'essa, sebbene inserita nel contesto codicistico, introduce un istituto ‘pre-trial', ossia una forma di conciliazione non contenziosa (e, peraltro, nemmeno obbligatoria), che si pone completamente al di fuori del processo e sullo stesso non produce alcun effetto, né immediato e né differito. Di conseguenza, tra detta ultima norma e quella di cui all'art 5 del più volte citato D.lgs n. 28/2010, verrebbe egualmente a crearsi un evidente conflitto normativo, da risolvere con l'applicazione del principio di specialità, dato che dette norme andrebbero a prevedere due istituti, quello della conciliazione in sede non contenziosa dinanzi al giudice di pace e quello della mediazione civile obbligatoria, ambedue “pre-trial”, volti similarmente a provocare la conciliazione delle parti e ad evitare il processo e, quindi, tra loro incompatibili. Sembra, dunque, che il Giudice di Pace di Napoli – contrariamente a quanto sostengono i detrattori della sua tesi – non abbia incongruamente applicato il principio secondo cui “lex posterior generalis non derogat priori speciali”, dal momento che, per quanto appena detto, l'antinomia tra gli anzidetti istituti si verifica, indipendentemente dalla qualificazione della norma di cui all'art. 5 del D.Lgs n. 28/2010 come norma di natura processuale o extraprocessuale, semplicemente perché tale ultima norma prevede e regola, in via generale, la fattispecie della conciliazione stragiudiziale delle controversie riguardanti i diritti disponibili, già disciplinata con previsioni di carattere speciale (che ne escludono l'obbligatorietà) dall'art. 322 c.p.c. Quanto, infine, all'argomento “apagogico” addotto ad ulteriore critica della pronuncia in esame, non si riesce, invero, a vedere l'assurdità delle conseguenze che sarebbero connesse all'eventuale applicazione del principio di specialità anche con riferimento ad altre ipotesi di condizioni di procedibilità o proponibilità (controversia in materia di sinistri stradali, tra utenti ed operatori telefonici etc...). A tale ultimo riguardo, anzi, è da dire che la possibile conseguenza di una più generale eliminazione di dette condizioni, laddove giustificata dall'esigenza di evitare inutili duplicazioni di procedure conciliative ed ulteriori antinomie di sistema, più che assurda, risulterebbe opportuna e necessaria. L'auspicio che si formula, tuttavia, è che la coraggiosa tesi del Giudice di Pace di Napoli sia ben presto superata ed archiviata, ovviamente non per le critiche che ad essa sono state rivolte, ma per la (ormai imminente, si spera) declaratoria di incostituzionalità dell'art. 5 del D.Lgs. n. 28/2012, con conseguente eliminazione dal nostro ordinamento, in via generale e non soltanto per le controversie di competenza del giudice di pace, della mostruosità giuridica della mediazione civile obbligatoria. |
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