Data: 08/05/2012 10:00:00 - Autore: Luisa Foti
Il risarcimento danni per la perdita della capacità lavorativa come casalinghe, in caso di incidente, non è dovuto a chi lavora a tempo pieno fuori dall'ambito domestico. E' quanto afferma la Corte di Cassazione (sentenza n. 5548/2012) che nel riconoscere la risarcibilità del pregiudizio rappresentato dalla riduzione o perdita della capacità lavorativa della casalinga, ha però rimarcato l'esigenza della relativa prova, ancorché non rigorosa, trattandosi di danno patrimoniale futuro (Cass. 20 luglio 2010, n. 16896) segnatamente evidenziando con riguardo al caso, come quello che ci occupa, che la parte danneggiata svolga anche attività lavorativa retribuita alle dipendenze di terzi o lavoro autonomo (o attività similare), che occorre tener conto dell'incidenza di ciò in termini di riduzione dell'attività di assistenza e cura dei familiari, da stabilire nella sua entità secondo il prudente apprezzamento del giudice con riferimento alle peculiarità della fattispecie concreta (Cass. 12 settembre 2005, n. 18092) e precisando, altresì, che a tal fine è necessario che si fornisca la prova sia della compatibilità del contestuale esercizio di quest'altra attività con quella di casalinga, sia dell'effettivo espletamento di quest'ultima, la quale non si esaurisce nel compimento delle sole faccende domestiche, ma si concreta nel coordinamento lato sensu dell'intera vita familiare. (Cass. 30 novembre 2005, n. 26080). La Ermellini, infine, ribadendo che la liquidazione del danno futuro non sindacabile in sede di legittimità (“sempre che difetti totalmente la giustificazione che la sorregge, ovvero macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza e sia radicalmente contraddittoria”), rigettando anche i primi due motivi di ricorso (le parti ricorrenti avevano eccepito, tra le altre cose, che i giudici di merito si erano discostati dalla ctu) hanno spiegato, (citando Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412), che i criteri adottati dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per l'organo giudicante e possono essere legittimamente disattesi attraverso una valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali, nonché congruamente e logicamente motivata. Il Giudice, invero, è tenuto ad indicare, in particolare, gli elementi probatori e quelli logico-giuridici ed i criteri di valutazione ritenuti idonei a giustificare una decisione contrastante con il parere del consulente.
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