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Data: 11/08/2012 10:00:00 - Autore: Barbara LG Sordi PENSIERI DIETRO GLI OCCHIALI DA SOLE (pensieri semiseri sotto il solleone) Frequentando spiagge da qualche settimana (si, forse anche di più, non vogliatemene!) è normale domandarsi come i tanti ambulanti che bazzicano sul nostro litorale, da quello adriatico al tirreno, senza trascurare quelli ionico e mediterraneo (isole comprese), possano minare in maniera così irrimediabile l'economia italiana, quella delle aziende del lusso in specifico. Ovviamente mi riferisco a tutti quegli ambulanti dotati di una vera e propria boutique nomade, con una varietà di merce degna di una via del centro (tanto che andrebbero ribattezzati montenapolini o condottini). Quando si parla di retate anti-contraffazione, molto spesso l'oggetto delle requisizioni delle nostre Fiamme Gialle sono proprio copie (non tutte proprio perfette) di borse, occhiali e tutto ciò che rientra nella categoria di must-have o icone di moda. Ora, al di là del fatto che copiare un'idea altrui non è mai una bella cosa; al di là che i poveri ambulanti saranno sfruttati e non si arricchiranno certamente; al di là di tutto ciò, come possono queste copie danneggiare così tanto le vendite dei prodotti di lusso? Come possono marchi come Prada o Gucci perdere clienti per colpa delle contraffazioni? Possono borse da poche centinaia di euro essere realmente così pericolose? Non credo possano esserlo, almeno non in maniera così significativa, per queste aziende, dato che le cifre stesse lo dimostrano: il mercato del lusso è uno dei pochi in crescita. Prada stessa ha fieramente sbandierato un aumento di oltre il 30% delle vendite nel primo semestre 2012, altro che crisi. Indubbiamente merito di un design sempre all'avanguardia e investimenti continui tra aperture di nuovi mega-negozi e iniziative cultural-commerciali, nonché di un nome storico. E soprattutto di milioni di neo-ricchi (russi, cinesi, indiani) che di soldi da investire nel nostro made in Italy ne hanno tanti. Troppe volte sento dire che questi prodotti "taroccati" portano via clienti alle aziende. Ma scusate, anche voi credete che chi compra una borsa "Brada" o un portafoglio "Cucci" sia realmente un mancato cliente delle boutique che vendono i prodotti originali? No, ma dico, avete idea di che divario economico ci sia tra un falso e un originale? Parlando di borse trattasi di centinaia e centinaia di euro, spesso anche di migliaia di euro, come nel caso delle copiatissime (e gettonatissime in spiaggia) Hermés. Chi possiede cotal budget generalmente va in negozio, dove può acquistare servito e riverito, gli originali con tanto di certificato di garanzia. Non ha certamente alcun interesse a comprare una copia (spesso dozzinale) di ciò che può permettersi senza nemmeno dover aspettare i saldi. Gli eventuali clienti "scippati" a questi grandi marchi non possono essere certamente le casalinghe e le impiegate che a mala pena potrebbero comprarsi la zip e qualche tasca di una borsa griffata, e che a fatica comprano i cloni incriminati. Quindi che male c'è a far guadagnare qualcosa ai poveri ambulanti che si fanno vasche di chilometri sotto il sole cocente? Purtroppo io stessa devo ammettere che, al di là delle lamentele delle aziende "lussuose", che personalmente non suscitano la mia gran pena (per le politiche di prezzi applicate, troppo spesso ingiustificate), anch'io trovo che la contraffazione ha dei lati assolutamente odiosi. Innanzitutto il fatto che a guadagnarci non siano certamente questi poveri uomini e donne bensì cricche di disonesti e delinquenti. Gente che sfrutta il lavoro di disperati e sicuramente non paga le tasse, no perché se facessero almeno quello, qualche punto in più forse lo guadagnerebbero (giusto perché, forse, a noi toccherebbe qualche bastonata in meno). Considerate che il giro di affari nel mondo è di poco meno di 200 miliardi di euro; tanti soldi in meno per le entrate governative. In secondo luogo perché la maggior parte della merce contraffatta viene dalla Cina, e questa è una nota dolente per le nostre manifatture. Basso costo, volumi giganteschi di produzione e una velocità incredibile nel copiare. Anche perché, é bene che si sappia, molte aziende producono il loro fantastico Made in Italy, o in Usa, o in UK, proprio là e hanno così esportato loghi, kow-how e persino parecchie idee. Quasi impossibile tutelare la proprietà intellettuale di un prodotto. Ci abbiamo per anni provato anche attraverso degli uffici anti-contraffazione aperti, grazie anche al nostro governo, nel territorio cinese; l'ultimo dei quali, a Pechino, ha chiuso nel mese di luglio. Inoltre anche un altro tentativo di proteggere i prodotti di design (e non solo quelli), l'ACTA (Anti-Counterfeiring Trade Agreement), è stato clamorosamente bocciato dal Parlamento Europeo, perché si temeva potesse rendere dura la vita ai creativi e piccoli imprenditori, soprattutto quelli operativi sul web. Proteggere le idee insomma non è cosa semplice, anche perché ben pochi prodotti sono coperti da brevetti; Geox e il suo patron Polegatti da sempre fanno un vanto del loro successo il brevettare senza tregua tutto ciò che esce sul mercato, tutelando così i prodotti e aumentando le vendite. Un colpo da vero maestro, perché producono quasi tutto in Cina. Ma in questo caso i prezzi sono ben diversi da chi fa lusso. In terzo, e ultimo, luogo perché molto spesso la merce non viene venduta in maniera folkloristica (in spiaggia o al mercato) ma in negozi e boutique, dove ci si aspetta di trovare solo prodotti originali. Naturalmente il prezzo applicato è quello dell'originale. E qui direi che è lecito arrabbiarsi un po' di più e magari appellarsi alla legge. Visitate il sito della Guardia di Finanza o del Ministero dello Sviluppo economico (Direzione generale lotta alla contraffazione) per farvi un'idea dei numerosi (ma forse un po' troppo aperti a libere interpretazioni) leggi e decreti per tutelare il made in Italy e i suoi acquirenti. Detto tutto ciò come non si fa però a provare simpatia per la squadra egiziana che è stata "beccata" con divise griffate Nike ma assolutamente farlocche. Nell'era dei logo-dipendenti persino un presidente ha preferito provarci, a fare il furbetto, piuttosto che far passare la propria squadra per "uncool". |
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