|
Data: 15/10/2012 09:00:00 - Autore: Justowin
Ospitiamo un approfondimento di Serafino Ruscica su un tema di notevole attualità quale il diritto al nome e le sue tutele. L'argomento che involge tematiche inerenti i diritti della persona sarà trattato insieme alle più interessanti tematiche del diritto civile durante il corso di preparazione al concorso in magistratura Justowin 2012. Il corso si svolgerà dalla metà di Ottobre a la metà di maggio a Roma e Milano.
Ricordiamo che è prevista la possibilità di seguire le lezioni a distanza in modalità on line mediante accesso alla piattaforma e-learning e che per, gli iscritti alla newsletter di Studiocataldi, Justowin riconosce lo sconto del 10% sull'iscrizione ad uno qualsiasi dei corsi.
Il corso di preparazione al concorso in magistratura si compone di 30 lezioni oltre allo svolgimento di 10 esercitazioni in aula (simulazioni di esame). Il corso è accreditato con 24 crediti dal Coa di Roma e di Milano. Il costo del corso è di euro 1090 iva inclusa. Sono previste rateizzazioni e sconti di gruppo. Maggiori informazioni nel sito www.justowin.it
Ecco il testo dell'approfondimento
Il diritto al nome: tra diritto pubblico e diritto privato con particolare
riferimento alla sua evoluzione in diritto all'identità personale. Relativi
strumenti di tutela. di Serafino
Ruscica Schema preliminare di svolgimento della
traccia
- Cenni sull'origine del diritto al nome.
- Il rapporto tra il diritto
al nome ed il diritto all'identità personale.
- L'evoluzione del diritto al
nome da strumento di identificazione della persona a componente dell'identità
personale. Dottrina F. Caringella-L.
Buffoni, Manuale di diritto civile, Dike Giuridica, 2011. M. Alcuri,
L'attribuzione del cognome materno al figlio legittimo al vaglio delle sez. un.
della s.c.: gli orientamenti della giurisprudenza interna e comunitaria in
Dir. famiglia 2009, 3, 1075. O. Feraci, La legge applicabile alla
tutela dei diritti della personalità nella prospettiva comunitaria in Riv. dir.
internaz. 2009, 4,
1020. Giurisprudenza App.
Milano, 9 marzo 2011 Anche quando il cognome maritale appaia
"famoso" perché ha consentito e consente la frequentazione di ambienti mondani
di alto livello o di rango sociale o di censo molto elevati, ciò non basta alla
donna divorziata per poterlo conservare. T.A.R.
Venezia-Veneto, Sez. I, 21 febbraio 2011 Se è certamente vero che il
nome di ciascun soggetto dell'ordinamento è destinato ad assolvere la funzione
della sua identificazione e il diritto al nome costituisce un rilevante diritto
assoluto della persona la cui tutela risulta garantita sia dal codice civile che
dalla carta costituzionale, e dunque non è consentito domandare reiteratamente
la modifica del cognome per poi, acclaratene le sfavorevoli conseguenze,
chiedere una nuova modifica, atteso il rilevante effetto sugli atti di stato
civile che la modifica del cognome comporta, tuttavia il diniego opposto deve
contenere una congrua motivazione, non potendosi limitare l'amministrazione a
opporre una ragione di ordine meramente quantitativo, senza effettuare la
correlata, indispensabile, comparazione dell'interesse vantato dal ricorrente,
assurto tuttavia a interesse generale, con quello pubblico alla certezza degli
atti e dei rapporti giuridici (nella specie, il ricorrente aveva già chiesto e
ottenuto di modificare il proprio cognome in quanto ritenuto possibile fonte di
scherno nel contesto territoriale di appartenenza, laddove invece i propri figli
avevano mantenuto il cognome originario, sicché la successiva richiesta sarebbe
stata giustificata dalla necessità di ricostituire quell'unità familiare,
certamente consistente anche nell'interesse personale diretto del ricorrente di
essere chiamato come i propri discendenti nonché quello degli stessi di essere
denominati con lo stesso cognome del padre, discendenti i quali hanno spiegato
intervento adesivo al ricorso in esame). Trib. Varese, 23
luglio 2010 Il diritto al nome, è un diritto soggettivo
incomprimibile della persona, la quale, non può sceglierlo al momento della
nascita, sono i suoi rappresentanti legali, in genere genitori, a provvedervi.
Detta scelta deve essere esercitata nell'interesse del figlio, costituendo il
nome il simbolo dell'identità personale, che deve corrispondere al sesso. È
inoltre vietata l'assegnazione di nomi ridicoli o vergognosi. Quanto al nome
Andrea, avente in Italia valenza maschile, l'attribuzione ad una persona di
sesso femminile, implica la segnalazione da parte dell'ufficiale di stato civile
al Procuratore della Repubblica, il quale potrà instaurare un giudizio di
rettificazione a seguito del quale decidere di anteporre ad Andrea un onomastico
femminile. Nessun problema di tale genere si solleva qualora il destinatario del
nome acquisti la nazionalità dl paese di provenienza. In tal caso si applicherà
la legge nazionale del soggetto. Cass. Civ., Sez. I, 11
agosto 2009, n. 18218 La tutela civilistica del nome e
dell'immagine, ai sensi degli art. 6, 7 e 10 c.c., è invocabile non solo dalle
persone fisiche ma anche da quelle giuridiche e dai soggetti diversi dalle
persone fisiche e, nel caso di indebita utilizzazione della denominazione e
dell'immagine di un bene, la suddetta tutela spetta sia all'utilizzatore del
bene in forza di un contratto di leasing, sia al titolare del diritto di
sfruttamento economico dello stesso. (Principio affermato dalla S.C. in una
fattispecie in cui una società, senza ottenere il consenso dell'avente diritto e
senza pagare il corrispettivo dovuto, aveva indebitamente riprodotto nel proprio
calendario l'immagine e la denominazione di un'imbarcazione altrui, usata a fini
agonistici o come elemento di richiamo nell'ambito di campagne pubblicitarie o
di sponsorizzazione, inserendo nella vela il proprio
marchio). Cons. St., Sez. IV, 5 febbraio 2009, n.
668 Il cognome, oltre a costituire segno identificativo della
discendenza familiare, con le tutele conseguenti a tale funzione, svolge anche
la funzione di strumento identificativo della persona, che è situazione che
ricorre nei cd. casi di cognomizzazione del predicato nobiliare, cioè quando una
specifica denominazione (di varia origine: geografica, fisica, storica,
caratteriale, ecc.) acquista la particolare forza individualizzante di uno
specifico casato o di una stirpe, dalla cui appartenenza un soggetto intende
ricavare o far derivare un diritto soggettivo al nome, al quale l'ordinamento
assicura una distinta tutela, che si realizza con il procedimento, innanzi al
giudice ordinario, previsto dall'art. 7 c.c., che non riguarda solo la facoltà
di interdire fatti di usurpazione o spossessamento o abuso di titolo, ma anche
atti di rivendicazione, in senso proprio, di cognomi connessi a titoli o
denominazioni di casato. Cass. Civ., Sez. I, 24 settembre
2008, n.23934 In relazione agli articoli 237, 262 e 299 c.c. e 33 e
34 d.p.r. n. 396/2000, sulla presupposta automatica attribuzione al figlio
legittimo del cognome paterno, appare opportuno trasmettere gli atti al Primo
Presidente, ai fini della eventuale rimessione alle Sezioni Unite per valutare
se, ai fini della presente controversia ed alla luce della mutata situazione
della giurisprudenza costituzionale e del probabile mutamento delle norme
comunitarie, possa essere adottata un'interpretazione della norma di sistema
costituzionalmente orientata ovvero, se tale soluzione sia ritenuta esorbitante
dai limiti dell'attività interpretativa, la questione possa essere rimessa
nuovamente alla Corte
Costituzionale. Legislazione
Correlata Art. 2 Cost., art. 7, 8, 9
c.c. SVOLGIMENTO Una delle
più elementari esigenze che emerge quando gli individui si riuniscono in
collettività organizzate, va individuata nella necessità di rintracciare
strumenti idonei alla identificazione del singolo nella comunità. Già negli
ordinamenti più elementari è sentita l'esigenza di approntare strumenti di
tutela dei segni identificativi degli appartenenti alla comunità. Questa
elementare esigenza sociale viene recepita ovviamente negli ordinamenti statali
moderni che approntano strumenti di tutela del nome delle persone fisiche e di
altri segni distintivi per le persone giuridiche. Come era naturale quindi, la
tutela del nome emerge nei moderni ordinamenti come connaturata alla esigenza
pubblicistica della corretta individuazione dei soggetti. Tuttavia gli
ordinamenti più evoluti e quindi più sensibili ai valori della persona umana,
hanno con il tempo individuato dei profili più prettamente privatistici nella
tutela del nome così da giustificarne un riconoscimento positivo nel codice del
1942. È quindi plausibile tentare di individuare nella tutela del nome sia
profili pubblicistici che privatistici, ipotizzando un'evoluzione degli ultimi
che si è tradotta nel riconoscimento del diritto al nome prima come diritto
della persona e da ultimo come componente del diritto all'identità
personale. Tuttavia l'evoluzione del diritto al nome è stata resa possibile non
tanto da interventi legislativi, quanto dall'intervento della Corte
Costituzionale che sempre più di frequente negli ultimi anni, mediante il
ricorso a sentenze additive, ha consentito alle norme codicistiche di recepire
istanze evolutive, non ancora emerse all'epoca di emanazione del codice civile
del 1942. Un ruolo fondamentale è stato svolto dalla interpretazione dell'art. 2
della Costituzione come norma-cardine, posta a fondamento di diritti della
persona intesa in un'accezione ampia che ricomprenda altresì anche soggetti
diversi dalle persone fisiche.
Istanze di identificazione emergono come noto anche in relazione alle persone
giuridiche, come si desume dalla tutela riconosciuta dal legislatore con la
legislazione dei marchi e brevetti e da un orientamento dottrinale sempre più
favorevole al riconoscimento di una tutela delle persone giuridiche modellata,
nei limiti della compatibilità, sulla tutela riconosciuta nel nostro ordinamento
alla persona fisica. L'emersione di una valenza pubblicistica nella tutela
del nome emerge dalle disposizioni contenute in alcune leggi che hanno
provveduto all'attuazione di convenzioni internazionali per la disciplina dei
registri dello Stato civile (si pensi alla l. n. 508/80 che ha ratificato la
Convenzione di Berna del 1973 relativa alla indicazione di nomi e cognomi nei
registri dello Stato civile). Ma l'intera disciplina contenuta nel r.d. del 1939
relativa agli atti dello Stato civile, in realtà consente di rintracciare
profili pubblicistici del diritto al nome, nella previsione di intervento del
p.m., o nel riferimento a forme di apparizione, pubblicità o "all'interesse
pubblico" cui fa esplicita menzione l'art. 165 del r.d. in relazione al
procedimento di cambiamento o rettifica del nome. L'importanza della iscrizione
dello stato civile ai fini della corretta identificazione degli individui
mediante il nome, che ai sensi dell'art. 16 comma 2 c.c. si compone di prenome e
cognome, emerge anche dalla previsione del Codice penale dell'aggravante di cui
all'art. 483 comma 2, quando il reato di falso abbia ad oggetto atti dello stato
civile, ed altresì dalla previsione di disposizioni sanzionatorie in capo agli
ufficiali dello stato civile, sebbene tali disposizioni siano state
depenalizzate dalla l. n. 689 del 1981. L'aspetto tuttavia maggiormente
interessante riguarda la tutela del nome, non più nell'interesse pubblico dello
Stato alla corretta identificazione degli individui, ma come oggetto di una
situazione giuridica di diritto privato. In proposito già nella Costituzione
(art. 22), ma si veda anche la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo,
emerge la previsione del diritto al nome nell'ottica dell'attribuzione
strettamente personalistica. In tal caso la tutela predisposta
dall'ordinamento si adegua alla tendenziale disponibilità del bene giuridico,
rivelata dalla incidenza del consenso dell'avente diritto relativo ad atti in
qualche misura dispositivi del diritto al nome (si pensi al riferimento al
consenso previsto dal comma terzo dell'art. 21 della legge sui marchi e brevetti
secondo cui "I diritti di marchio d'impresa registrato non permettono al
titolare di vietare ai terzi l'uso nell'attività economica, purché l'uso sia
conforme ai principi della correttezza professionale: a) del loro nome e
indirizzo; b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità,
alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all'epoca di
fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre
caratteristiche del prodotto o del servizio; c) del marchio d'impresa se esso è
necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in
particolare come accessori o pezzi di ricambio.
La stessa tutela codicistica del diritto al nome compendiandosi nel ricorso
all'azione di reclamo ed in quella di usurpazione previste dall'art. 7 c.c. è
subordinata all'interesse ad agire del ricorrente. In alcuni casi la valenza
identificatoria del nome si estende travalicando gli interessi del suo titolare
individuale altresì all'intero nucleo familiare, che può infatti agire a tutela
di ragioni familiari degne di essere protette secondo quanto previsto dall'art.
8 c.c. In questa fase evolutiva le forme di tutela previste sono ancora
ristrette alla tutela risarcitoria (si veda l'art. 7 ed 8 c.c.) ed a quella
reintegratoria (art. 7 comma 2 c.c.). Riguardo alla tutela risarcitoria, il
fatto lesivo del diritto al nome rileva nei limiti in cui si traduca, secondo la
tradizionale ottica patrimonialistica, in un danno economico in capo al
titolare, in base ad una interpretazione del concetto di ingiustizia del danno
(art. 2043 c.c.) che è stata per lungo tempo ancorata al pregiudizio economico.
Mentre eventuali profili non patrimoniali rileverebbero solo nei limiti
dell'art. 2059 c.c., individuati secondo l'interpretazione tradizionale in
quelli dell'art. 185 comma 2 c.p. Tuttavia una recente interpretazione evolutiva
ha cercato di ampliare i profili risarcitori del diritto al nome, già prima
della storica svolta giurisprudenziale inaugurata dalle Sezioni Unite nel maggio
2003, interpretando il rinvio alla legge operato dall'art. 2059 c.c. come
riferito alla legge civile (gli artt. 7 e 8 del codice). In questa fase quindi
la tutela risarcitoria resta ancorata ai profili economici che si atteggiano a
danno-conseguenza dell'evento lesivo (come si desume dal riferimento al
"pregiudizio dell'uso", cui allude l'art. 7 c.c.). Solo in una fase successiva è
possibile scorgere il passaggio del diritto al nome da diritto della persona
(intesa ormai come titolare di situazioni giuridiche non necessariamente a
contenuto patrimoniale) a "battistrada" di quella categoria di creazione
giurisprudenziale, nota come diritti della personalità. Più precisamente emerge
nella giurisprudenza che accoglie gli orientamenti di acuta dottrina, la
tendenza a riconoscere nel nome un profilo di quel diritto all'identità
personale che, a partire dal 1985, la Cassazione comincia a riconoscere (anche
se a dire il vero, il leading-case in tema di diritto all'identità personale
risale ad una sentenza del Tribunale civile di Roma del 1983). L'interpretazione
delle norme codicistiche alla luce dei principi costituzionali conduce alla
teorizzazione di un diritto all'identità personale come l'insieme di referenti,
ideali consistenti nelle convinzioni politiche, religiose, socio-ideologiche, o
materiali (il nome, il sesso) che contribuiscono a "proiettare" all'esterno la
soggettività individuale. La creazione giurisprudenziale di questa categoria di
diritti comporta innanzitutto l'ampliamento degli strumenti di tutela,
annettendosi il ricorso alla tutela inibitoria (art. 700 c.p.co) avverso
atti o pubblicazioni (in tal caso incontrandosi i limiti dell'art. 21 comma 3
Cost. sul sequestro degli stampati) che distorcendo la verità contribuiscono a
riflettere una "immagine" del soggetto non corrispondente al patrimonio ideale o
materiale con cui egli dovrebbe essere identificato. L'evoluzione si riflette
ovviamente anche sulla tutela risarcitoria. L'attrazione del diritto al nome
nella sfera dei diritti della personalità attraverso l'identificazione di questo
con un aspetto dell'identità personale, comporta l'estensione del risarcimento
del danno a prescindere da un pregiudizio economico, al di là dei limiti
previsti dall'art. 2059 c.c. Di fatto si riconducono i fatti lesivi del diritto
al nome, nell'alveo dell'ingiustizia del danno di cui all'art. 2043 c.c., come
fatto lesivo di un diritto costituzionalmente garantito (richiamandosi all'epoca
la sentenza n. 184 del 1986 della Corte Costituzionale, dove si è riconosciuto
il diritto al risarcimento del danno in ogni caso di lesione di diritto
garantito in Costituzione). Si è quindi ricondotta la lesione al diritto
all'identità personale, nell'ambito del danno-evento, la cui prova si risolve
nella prova del fatto lesivo.
Ai fini della nostra indagine è necessario menzionare il contributo della
Corte Costituzionale che nel 1994 dichiarava l'illegittimità dell'art. 6 c.c.
riconoscendo nel nome "un autonomo segno distintivo della sua identità
personale", cui faceva seguito un altro significativo intervento nel 1996 (23
luglio, n. 297), con cui si dichiarava parimenti illegittimo l'art. 262 c.c.
relativo al cognome del figlio riconosciuto. A questa presa di posizione della
Corte Costituzionale si è, nel corso degli anni '90, adeguata la giurisprudenza
della Corte di Cassazione che ormai ritiene meritevole l'interesse alla
conservazione del nome come segno distintivo della personalità al pari
dell'interesse pubblicistico alla correttezza delle iscrizioni dello stato
civile. Recentemente la Cassazione si è pronunciata sulla questione in relazione
alla controversia avente ad oggetto l'uso del cognome nobiliare rivendicato da
una donna nei confronti dell'ex coniuge dopo l'intervenuta sentenza di divorzio
in base alla considerazione che quel cognome assunto con le nozze era divenuto,
data la rilevanza pubblica del personaggio (nella fattispecie una scrittrice),
elemento di identificazione della stessa, con il rischio che l'uso del nome da
parte di terzi (la nuova consorte del titolare del predicato nobiliare) avesse
finito con il porre problemi di identificazione della ricorrente nel proprio
contesto sociale di riferimento. Si tratta ovviamente di questioni connesse
all'applicazione dell'art. 5 comma 2 e 3, della legge sul divorzio che prevede
la possibilità, per la donna che ne faccia richiesta, di conservare il cognome
del marito quando sussista un suo interesse meritevole di tutela come previsto
dalla l. n. 711/87, nel cui testo già si manifesta una maggiore
sensibilità del legislatore in relazione al diritto al nome come espressione
dell'identità personale. Laddove il legislatore non ha manifestato la stessa
sensibilità, ha provveduto la Corte Costituzionale. Il problema del
bilanciamento degli interessi tra l'esigenza della corretta individuazione (che
imporrebbe la soluzione tradizionale della modifica del nome) ed il diritto
all'identità personale (che impone invece il mantenimento del nome che ormai di
fatto contribuisce all'identificazione delle persone sebbene queste abbiano
perso il legittimo diritto all'uso del nome) è operata dal legislatore con la l.
n. 164/1982 relativa alla disciplina della rettificazione di attribuzione di
sesso. Infatti in caso di trattamento medico-chirurgico che consenta il
cambiamento del sesso necessario a consentire di vivere pienamente la propria
identità sessuale (manifestazione anch'esso del diritto all'identità personale),
l'art. 7 della succitata legge prevede che si proceda alla rettifica ai sensi
dell'art. 454 c.c. degli atti dello stato civile. Tuttavia l'art. 5 legge ultima
citata prevede che le attestazioni di stato civile siano rilasciate con
l'indicazione del nuovo sesso e nome, omettendosi l'indicazione del precedente
sesso e nome, come invece imporrebbe l'interesse pubblico alla corretta
individuazione delle persone. Si tratta di una soluzione che può spiegarsi solo
con la prevalenza data all'interesse del soggetto a non essere più individuato
con quel sesso e nome nei quali in realtà non si è mai intimamente identificato.
Emerge, quindi, la prevalenza accordata al nome come espressione dell'identità
personale rispetto all'interesse pubblico alla corretta individuazione della
persona.
|
|