Data: 19/10/2012 16:00:00 - Autore: L.S.
Pronuncia innovativa dalla Corte di Cassazione che, con sentenza 16754/2012, discostandosi dalle precedenti sentenze n. 14888/2004 e n. 10471/2009 e per la prima volta nell'ordinamento italiano, ha riconosciuto la risarcibilità del danno da nascita “malformata” lamentato iure proprio dal neonato. p>Il caso preso in esame dalla Suprema Corte riguarda una donna che, appena consapevole del proprio stato di gravidanza, si era rivolta al suo medico ginecologo chiedendo di essere sottoposta a tutti gli accertamenti necessari ad escludere malformazioni del feto spiegando che la nascita di un bimbo sano era condizione imprescindibile per la prosecuzione della gravidanza; il medico aveva proposto e fatto eseguire alla gestante il solo "Tritest", senza peraltro informarla della debolezza statistica dell'esame e omettendo di prescrivere accertamenti più specifici al fine di escludere alterazioni cromosomiche del feto. Al termine della gravidanza la donna dava alla luce una bimba affetta da sindrome di Down.

I genitori, in proprio e come esercenti la patria potestà della neonata e delle altre due figlie minori, convenivano in giudizio il medico e la USLL di appartenenza ma nei primi due gradi di giudizio le loro pretese risarcitorie venivano respinte con l'affermazione da parte della Corte d'Appello - sul ritenuto difetto di legittimazione attiva della neonata - del principio di diritto in base al quale “verificatasi la nascita, non può dal minore essere fatto valere come proprio danno da inadempimento contrattuale l'essere egli affetto da malformazioni congenite per non essere stata la madre, per difetto di informazione, messa in condizione di tutelare il di lei diritto alla salute facendo ricorso all'aborto”; con riferimento alla pretesa risarcitoria dei familiari, fondata sul preteso inadempimento contrattuale del sanitario, la Corte riteneva quest'ultimo del tutto esente da colpa.

I giudici di legittimità riconoscono invece la responsabilità del medico non soltanto "per la circostanza dell'omessa diagnosi in sé considerata, (…) ma per la violazione del diritto di autodeterminazione della donna nella prospettiva dell'insorgere, sul piano della causalità ipotetica, di una malattia fisica o psichica.

Deve pertanto ritenersi configurabile, nella specie, l'inadempimento alla richiesta di diagnosi si come funzionale all'interruzione di gravidanza in caso di positivo accertamento di malformazioni fetali alla luce dell'ulteriore considerazione costituita dalla (incontestata) circostanza dell'altissimo margine di errore che il test selezionato dal ginecologo offriva nella specie (margine pari al 40% dei c.d. 'falsi negativi'), onde il suo carattere, più che di vero e proprio esame diagnostico, di screening del tutto generico quanto alle probabilità di malformazione fetale.”.

La legittimità dell'istanza risarcitoria iure proprio del minore – si legge nella parte motiva della sentenza - deriva, pertanto, “da una omissione colpevole cui consegue non il danno della sua esistenza, né quello della malformazione di sé sola considerata, ma la sua stessa esistenza diversamente abile, che discende a sua volta dalla possibilità legale dell'aborto riconosciuta alla madre in una relazione con il feto non di rappresentante-rappresentato, ma di includente-incluso. Una esistenza diversamente abile rettamente intesa come sintesi dinamica inscindibile quanto irredimibile, e non come algida fictio iuris ovvero arida somma algebrica delle sue componenti (nascita + handicap = risarcimento), né tantomeno come una condizione deteriore dell'essere negativamente caratterizzata, ma situazione esistenziale che, in presenza di tutti gli elementi della fattispecie astratta dell'illecito, consente e impone al diritto di intervenire in termini risarcitori (l'unico intervento consentito al diritto, amaramente chiamato, in tali vicende, a trasformare il dolore in denaro) affinché quella condizione umana ne risulti alleviata, assicurando al minore una vita meno disagevole.”.

La colpevolezza della condotta del medico, nel caso di specie, si è manifestata sotto il duplice profilo della non sufficiente attendibilità del test in presenza di una esplicita richiesta di informazioni finalizzate, se del caso, all'interruzione della gravidanza da parte della gestante e dal difetto di informazioni circa la gamma complessiva delle possibili indagini e dei rischi ad essa correlati.

L'interesse giuridicamente protetto, del quale viene richiesta tutela da parte del minore – proseguono gli ermellini – “è quello che gli consente di alleviare, sul piano risarcitorio, la propria condizione di vita, destinata a una non del tutto libera estrinsecazione secondo gli auspici dal Costituente: il quale ha identificato l'intangibile essenza della Carta fondamentale nei diritti inviolabili da esercitarsi dall'individuo come singolo e nelle formazioni sociali ove svolgere la propria personalità, nel pieno sviluppo della persona umana, nell'istituzione familiare, nella salute.

Non assume, pertanto, alcun rilievo 'giuridico' la dimensione prenatale del minore, quella nel corso della quale la madre avrebbe, se informata, esercitato il diritto all'interruzione della gravidanza. Se l'esercizio di questo diritto fosse stato assicurato alla gestante, la dimensione del non essere del nascituro impedisce di attribuirle qualsivoglia rilevanza giuridica.”

In applicazione dei principi di diritto affermati nelle 76 pagine della sentenza – concludono i giudici di legittimità, accogliendo il ricorso dei genitori e cassando la sentenza impugnata - il giudice del rinvio, in diversa composizione, è chiamato a rivalutare ex novo la fondatezza della richiesta risarcitoria sia della minore, sia dei suoi familiari.
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