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Data: 15/11/2012 09:00:00 - Autore: Justowin
Quali saranno i temi su cui gli aspiranti avvocati saranno chiamati a
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TRACCIA Con decreto 26.09.2012 il GIP del Tribunale di
Siracusa ha disposto il sequestro preventivo di un'erigenda costruzione in
relazione all'ipotizzato reato di costruzione abusiva ex art 44 lett. b, D.P.R.
n. 380/2001. La misura di cautela reale è stata applicata semplicemente sul
presupposto che le opere edilizie fossero state approvate con permesso di
costruire illegittimo (nel caso di specie –di una situazione di macroscopica
violazione della disciplina urbanistica). I proprietari dell'area in favore
dei quali era stato rilasciato il permesso di costruire si rivolgono ad un
legale ritenendo abnorme il provvedimento di sequestro adottato. Il
candidato premessi brevi canni sul potere di disapplicazione dei provvedimenti
amministrativi da parte del giudice penale rediga motivato parere.
Svolgimento a cura di Rossella E. Cefaly (corsista Justowin Roma 2012)
La questione giuridica oggetto dell'odierno motivato parere, concerne la
valutazione di legittimità del decreto con cui è stato disposto il sequestro
preventivo di un'erigenda costruzione in relazione all'ipotizzato reato di
costruzione abusiva ex articolo 44 lett.b., D.P.R. n.380 del 2001. Nel caso in
esame, il Gip del Tribunale di Siracusa, con decreto ha disposto il sequestro
preventivo di un manufatto, la cui edificazione non era stata ancora ultimata,
sul presupposto della illegittimità della licenza edilizia affetta in
particolare da una macroscopica violazione della disciplina urbanistica. Prima
di procedere all'analisi accurata della vicenda sopra esposta, occorre
soffermarsi sui poteri di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi da
parte del Giudice penale. Nel nostro ordinamento in virtù delle previsioni
contenute nella L.A.C. si fa discendere in favore del giudice penale un generale
potere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi tutte le volte
in cui l'atto amministrativo si ponga come elemento integrativo della
fattispecie penale. E' da precisare tuttavia che i provvedimenti amministrativi
che rimuovono un ostacolo al libero esercizio dei diritti o che costituiscono
diritti in capo a soggetti privati, se illegittimi, non saranno suscettibili di
disapplicazione in sede penale a pena di realizzare una tendenzialmente non
consentita disapplicazione in malam partem per ciò solo contrastante con il
principio di divieto di analogia, irretroattività e tassatività. Fu la
giurisprudenza pretorile, negli anni '70, a ricondurre alla carenza di
concessione edilizia le ipotesi di lavori eseguiti sulla base di concessione
illegittima: cioè viziata, o per inosservanza dei presupposti formali di
legittimità, o in violazione del vincolo di inedificabilità stabilito dalla
legge in assenza di strumenti urbanistici, ovvero in contrasto con i limiti
imposti dalla pianificazione vigente. Venne affermato che, in ipotesi
siffatte, il giudice penale - avvalendosi dei poteri attribuiti al giudice
ordinario dall'art. 5 della legge 20.3.1865, n. 2248, all. E) - può compiere una
valutazione del titolo abilitativo, al fine di verificarne la
legalità. Qualora egli riscontri eventuali vizi di illegittimità, può
disapplicare l'atto amministrativo illegittimo, considerando ad ogni effetto i
lavori come eseguiti in assenza di titolo abilitante. Questa Corte Suprema
non assunse, al riguardo, un orientamento uniforme, in quanto: - talune
decisioni affermarono che l'illegittimità della concessione fosse assimilabile
alla mancanza della stessa; - altre distinsero tra concessione illegittima e
concessione illecita, escludendo - nel primo caso - la sussistenza di un
presupposto essenziale del reato; - altre ancora ravvisarono, nell'ipotesi di
concessione illegittima, la violazione dell'art. 17, lett. a), della legge n.
10/1977 e non quella più grave di cui alla lett. b). La tesi della
"disapplicazione" venne confutata da autorevole dottrina, sull'assunto che
l'art. 5 della legge n. 2248/1985 non può spiegare alcuna efficacia nell'ambito
del processo penale, in quanto questo non è rivolto alla tutela di diritti
soggettivi, bensì all'accertamento della corrispondenza di un fatto alla
fattispecie incriminatrice. Non vi è, insomma, una parte che possa chiedere
al giudice il disconoscimento di una disciplina imposta da un provvedimento
amministrativo illegittimo, con sacrificio di relazioni giuridiche alle quali
esso partecipa; il provvedimento illegittimo, invece, potrebbe costituire
soltanto il presupposto di un reato. Alcuni Autori asserirono, al riguardo,
che la disapplicazione si risolverebbe, agli effetti penali, in una forma di
retroattività "in malam partem", dal momento che, con essa, si qualificherebbe
postumamente illecita una condotta posta in essere in conformità ad un titolo
assistito dalla presunzione di legittimità degli atti amministrativi, che è
principio generale del nostro ordinamento. Un notevole contributo alla
configurazione della questione venne fornito da questa III Sezione penale con
l'ordinanza 13.3.1985, ove si affermò perentoriamente che la norma
incriminatrice all'epoca posta dall'art. 17, lett. b), della legge n. 10/1977
ricollegava la sanzione penale alla "insussistenza" del provvedimento
amministrativo e non anche alla sua "illegalità". In decisioni successive si
ribadì che il giudice penale deve controllare soltanto l'esistenza dell'atto
sulla base dell'esteriorità formale e della sua provenienza dall'organo
legittimato ad emetterlo, ulteriormente precisando che deve parlarsi di assenza
dell'atto non solo qualora esso sia stato emesso da un organo assolutamente
privo del potere di provvedere, ma anche qualora il provvedimento sia frutto di
attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia e del soggetto privato
che lo consegue e, quindi, non sia riferibile oggettivamente alla sfera del
lecito giuridico, oltre la quale non è dato operare ai pubblici poteri (cfr.
Cass., Sez. III, 31.3.1986). Il contrasto giurisprudenziale rese opportuno
l'intervento delle Sezioni Unite e queste — con decisione del 31.1.1987, —
statuirono che "il potere del giudice penale di conoscere della illegittimità
della concessione edilizia non è riconducibile al potere di disapplicazione
dell'atto amministrativo illegittimo riconosciutogli dagli artt. 4 e 5 della
legge n. 2248 del 1865, all. E), ma deve trovare fondamento o giustificazione o
in esplicita previsione legislativa ovvero nell'ambito della interpretazione
ermeneutica della norma penale, qualora l'illegittimità dell'atto amministrativo
si presenti, essa stessa, come elemento essenziale della fattispecie
criminosa". Le Sezioni Unite affermarono, nella sentenza Giordano, che –
dalla lettura congiunta degli artt. 4 e 5 della legge del 1865 – "si evince
chiaramente che le norme in questione non introducono affatto un principio
generalizzato di disapplicazione di atti amministrativi illegittimi da parte del
giudice ordinario (sia esso civile o penale) per esigenze di diritto oggettivo,
ma che, al contrario, il controllo sulla legittimità dell'atto amministrativo è
stato rigorosamente limitato dal legislatore ai soli atti incidenti
negativamente sui diritti soggettivi ed alla specifica condizione che si tratti
di accertamento incidentale, che lasci persistere gli effetti che l'alto
medesimo è capace di produrre all'esterno del giudizio. Opinare diversamente
non solo comporta l'estensione al diritto oggettivo di una regola dettata
unicamente a tutela dei diritti soggettivi, ma comporta altresì – con violazione
del principio della divisione dei poteri – l'attribuzione al giudice penale di
un potere di controllo e d'ingerenza esterna sull'attività amministrativa e,
quindi, l'esercizio di un'attività gestionale che dalla legge è, invece,
demandata in esclusiva ad altro potere dello Stato. Ciò, peraltro, non
esclude che, in determinati casi, il giudice penale non possa egualmente
conoscere della illegittimità dell'atto amministrativo. Tale possibilità,
tuttavia, non è riconducibile al potere di disapplicazione dell'atto
amministrativo illegittimo riconosciutogli dagli artt. 4 e 5 della legge del
1865, ma deve, invece, trovare fondamento e giustificazione o in una esplicita
previsione legislativa (come, ad esempio, avviene con il disposto dell'art. 650
cod, pen.) ovvero, nell'ambito dell'interpretazione ermeneutica della norma
penale, qualora l'illegittimità dell'atto amministrativo si presenti, essa
stessa, come elemento essenziale della fattispecie criminosa". Sulla base di
tali principi affermarono le Sezioni Unite che la disposizione di cui all'art.
17, lett. b), della legge n. 10/1977 non poteva considerarsi "funzionale alla
tutela dell'interesse all'osservanza delle norme di diritto sostanziale che
disciplinano l'attività edilizia", poiché "l'interesse tutelato da tale norma è
quello pubblico di sottoporre l'attività edilizia al preventivo controllo della
P.A., con conseguente imposizione, a chi voglia edificare, dell'obbligo di
richiedere l'apposita autorizzazione amministrativa". Un netto dissenso
dall'anzidetto orientamento venne espresso in una successiva sentenza (Cass.,
Sez. III, 9.1.1989, n. 2766), ove si affermò che la questione doveva essere
riesaminata alla stregua dei principi informatori della legge n. 47/1985, avendo
tale legge profondamente mutato l'oggetto stesso della tutela penale, incentrata
ormai sul criterio sostanziale della conformità delle opere alla normativa
urbanistica. Al giudice penale venne riconosciuta così la potestà di non tenere
conto dell'atto amministrativo illegittimo, essendo divenuta la illegittimità
dell'atto essa stessa un elemento essenziale della fattispecie
criminosa. Seguirono ulteriori oscillazioni giurisprudenziali per cui le
Sezioni Unite hanno avuto occasione di pronunciarsi nuovamente sulla questione e
– con la sentenza 12.11.1993, - hanno affermato che "al giudice penale non è
affidato, in definitiva, alcun sindacato sull'atto amministrativo, ma questi,
nell'esercizio della potestà penale, è tenuto ad accertare la conformità ira
ipotesi di fallo (opera esegue o eseguita) e, fattispecie legale (identificata
dalle disposizioni legislative statali e regionali in materia
urbanistico-edilizia, dalle previsioni degli strumenti urbanistici e dalle
prescrizioni del regolamento edilizio). Il complesso di tali disposizioni,
previsioni e prescrizioni, tutte insieme considerate, costituisce il parametro
organico per l'accertamento della liceità o dell'illiceità dell'opera edilizia e
ciò in quanto l'oggetto della tutela penale apprestata dall'art. 20 della legge
n. 47/1985 [oggi art. 44 del T.U. n. 380/2001] non è più - come nella legge n.
1150 del 1942 - il bene strumentale del controllo e della disciplina degli usi
del territorio, bensì la salvaguardia degli usi pubblici e sociali del
territorio medesimo". Applicando le siffatte coordinate emeneutiche alla
questione de quo si deve affermare e ribadire che: a) il giudice
penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale del titolo
abilitativo edilizio, procede ad un'identificazione in concreto della
fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna "disapplicazione"
riconducibile all'enunciato dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248,
allegato E), né incide, con indebita ingerenza; sulla sfera riservata alla
Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere che trova fondamento e
giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice; b) la
"macroscopica illegittimità" del provvedimento amministrativo non è condizione
essenziale per la configurabilità di un'ipotesi di reato ex art. 44 del T.U. n.
380/2001; mentre (a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi
dell'amministrazione) l'accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti
di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell'elemento
soggettivo della contravvenzione contestata anche riguardo all'apprezzamento
della colpa; c) spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a
quello del riesame di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in
concreto, di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento
incolpevole. Una deroga a quanto esposto, e, quindi, un'ipotesi di
disapplicazione in “malam partem” sarà ipotizzabile nel caso in cui
l'illegittimità dell'atto risulti macroscopica ovvero qualora l'atto
autorizzativo o concessorio, derivi da accordo corruttivo tra il cittadino e la
Pubblica Amministrazione, in quanto nelle ipotesi menzionate non si
verificherebbe una lesione dell'illegittimo affidamento da parte del
privato. Quanto argomentato assume rilievo in ordine alla fattispecie
giuridica prospettata. Infatti, il Gip del Tribunale di Siracusa, disponendo
il sequestro conservativo dell'erigenda costruzione ha ritenuto che si fosse in
presenza di una macroscopica violazione della disciplina che pertanto avrebbe
potuto dar vita solo nella successiva fase processuale, alla disapplicazione del
permesso a costruire illegittimo. Tali conclusioni sono state fatte proprie
anche dalla Suprema Corte di Cassazione che, con la sentenza n.3725 del 2005 ha
stabilito in tema di disapplicazione di un provvedimento amministrativo che,
come già specificato, rimuova un ostacolo all'esercizio di diritti soggettivi,
ovvero diano vita a diritti in capo a soggetti privati “che se illegittimi, non
possano essere disapplicati, a meno che l'illegittimità dell'atto non risulti
macroscopica o eclatante ovvero la disapplicazione non trovi fondamento,
rispettivamente, in una esplicita previsione legislativa o nel generale potere
del giudice e di interpretare la norma penale nei casi in cui l'illegittimità
dell'atto amministrativo si configuri essa stessa come elemento essenziale della
fattispecie criminosa ovvero l'atto anzidetto, per essere frutto di collisione
fra amministratore e soggetti interessati, non possa essere oggettivamente
riferito alla sfera del lecito giuridico”. Di contro, la stessa Corte di
Cassazione nel 2006 con l'arresto n° 21487 ha ritenuto, in relazione alla
macroscopica illegittimità dell'atto riconducibile alla pubblica
amministrazione, che essa non sia condizione essenziale per la realizzazione del
reato ex articolo 44 del T.U. n.380 del 2001, ma che “spetti in ogni caso al
giudice di merito e non certo a quello del riesame del provvedimento di
sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali situazioni di buona fede
e di affidamento incolpevole”. Con riferimento, al caso in esame, sulla
possibilità di ritenere abnorme la misura cautelare disposta dal Gip, è
opportuno evidenziare che la costruzione dell'edificio, oggetto del sequestro
preventivo non fosse ancora terminata e che pertanto la presenza di tale
circostanza non legittimava l'emissione del decreto con cui veniva disposta la
predetta misura cautelare in mancanza di specifica motivazione circa la
sussistenza del periculum derivante dalla disponibilità materiale del bene in
capo al proprietario. Sulla questione si sono pronunciati i giudici di
legittimità con la sentenza n.17170 del 2010, nella quale si è affermato che “
per i reati edilizi, è ammissibile il sequestro di un immobile costruito
abusivamente la cui edificazione sia ultimata, fermo restando l'obbligo di
motivazione del giudice circa le conseguenze antigiuridiche ed ulteriori
rispetto alla consumazione del reato, derivanti dall'uso dell'edificio
realizzato abusivamente che la misura cautelare intende inibire”.Alla luce di
quanto esposto può concludersi per il possibile annullamento del provvedimento
cautelare emesso con il quale de quo con un evidente salto logico ha omesso di
motivare sulla sussistenza fattuale delle circostanze specifiche poste a
fondamento del potere cautelare attribuitogli dalla legge.
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