Data: 02/12/2012 10:28:00 - Autore: Barbara LG Sordi
Il mondo della medicina, e della sanità in generale, è un ambito in cui dare giudizi, o sputar sentenze, è difficile e delicato. Lo è perché entrano in gioco parecchie variabili: la salute, e spesso anche la vita, dei pazienti, la scienza empirica e non sempre esatta della medicina e il medico stesso, che per sua natura umana infallibile ed onnisciente non è, e mai potrà esserlo.

Detto ciò, che per molti suonerà banale, spesso capita che gli errori commessi dai medici, che purtroppo a volte finiscono con il costare la vita del paziente, siano frutto di omissioni dovute a grossolane valutazioni del caso. Un atteggiamento professionale troppo superficiale. Come nel caso che sto per raccontare.

Un signore, affetto da obesità fu sottoposto ad un intervento di bypass bilo-intestinale, un intervento di per sé non rischiosissimo. A renderlo tale però era la compresenza di altre patologie correlate, e cioè diabete, patologie cardiache e gravi apnee notturne. Un quadro clinico abbastanza compromesso in partenza.

Il signore venne operato da un' equipe di tre medici, il Dott. N. in veste di primo operatore chirurgico, il Dott. L. secondo operatore chirurgico ed infine il Dott. F. anestesista e rianimatore. Purtroppo dopo l'intervento il paziente ebbe una crisi respiratoria così grave da entrare in coma, e venne trasferito in un altro ospedale (maggiormente attrezzato) per poterlo aiutare. Purtroppo dopo quattro giorni di agonia il paziente morì.

I familiari denunciarono i tre medici e in primo grado il Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Martina Franca, riconobbe la responsabilità penale dei tre professionisti per omicidio colposo. Condannandoli anche al risarcimento in favore delle parti civili costituite.

Il giudice non riconobbe ai tre imputati l'attenuante data dal cosiddetto Principio di affidamento, che vige in ambito medico. Principio secondo il quale, data la complessità dello scibile medico, ciascuno specialista in un'equipe medica diventa un agente modello, cioè colui il quale tutto dovrebbe sapere in un certo ambito medico. E soprattutto colui che si comporta in rispetto delle regole e delle procedure necessarie e adottabili nel ramo di sua competenza. In medicina, secondo tale principio, un medico che lavora in un'equipe è dispensato dall'aver certezza che il proprio collega stia operando in maniera corretta, anche perché è necessario che si concentri sul suo di operato.

In secondo grado la Corte d'Appello riformò solo in parte la sentenza, riducendo la pena e concedendo le attenuanti generiche. Anche per la Corte però non poteva essere applicato il Principio di Affidamento. La logica ci porterebbe a pensare che il solo ed unico responsabile fosse l'anestesista. Invece la realtà dei fatti spinse i giudici ad un diverso giudizio (scusate il gioco di parole). Tutti i medici erano a modo loro responsabili, il primo operatore chirurgico perché responsabile dell'intervento. Il secondo perché in qualità anche di direttore del reparto doveva avere una visione generale dell'operato dei suoi colleghi, nonché collaboratori, l'anestesista infine, per le sue competenze specifiche.

A questo punto il ricorso in Cassazione non ha fatto altro che confermare le due sentenze. La Quarta sezione penale della Corte Suprema, con sentenza n.44830 dell' 11 otobre 2012, ha così ribadito la colpevolezza dei tre, rimarcando che "I componenti di un'equipe medica sono tenuti a programmare adeguatamente non solo la fase di intervento, ma anche quella post operatoria, in modo da fronteggiare adeguatamente i rischi tipici delle operazioni effettuate; quando si tratti di rischi gravi ed evidenti, tutti i sanitari ne sono responsabili, e ciò a prescindere dalle specifiche competenze di ognuno".
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