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Data: 12/12/2012 17:15:00 - Autore: L.S.![]() In particolare la Suprema Corte ha sottolineato che “nel procedimento disciplinare a carico del lavoratore, l'essenziale elemento di garanzia in suo favore è dato dalla contestazione dell'addebito, mentre la successiva comunicazione del recesso ben può limitarsi a far riferimento sintetico a quanto già contestato, non essendo tenuto il datore di lavoro, neppure nel caso in cui il contratto collettivo preveda espressamente l'indicazione dei motivi, ad una motivazione "penetrante", analoga a quella dei provvedimenti giurisdizionali, né in particolare è tenuto a menzionare nel provvedimento disciplinare le giustificazioni fornite dal lavoratore dopo la contestazione della mancanza, e le ragioni che lo hanno indotto a disattenderle.”. Nel ricorso il lavoratore mirava anche a valorizzare una situazione precedente ai fatti contestati che avrebbe giustificato il comportamento sanzionato con il licenziamento. “Ma l'esclusione da parte della Corte del merito di alcuni dei fatti, a prescindere dalla veridicità della mancata considerazione di altri, incide sulla complessiva configurabilità del mobbing, che deve essere caratterizzato dalla molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio, dall'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente, dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore e dalla prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio, elementi che, nella specie, secondo la articolata motivazione resa in proposito dal giudice del merito, non erano tutti ravvisabili.” Osservano poi i giudici di legittimità che, in relazione alla censurata mancata ammissione di prove relative a circostanze quali i reiterati trasferimenti, l'isolamento e l'inattività che avrebbero caratterizzato la vicenda lavorativa del dipendente, le censure mirano a sollecitare una rivisitazione del merito, non consentita in sede di legittimità e inoltre “la giustificazione dei comportamenti sanzionati con richiamo all'esistenza di un intento e di un contegno persecutorio da parte della società ha trovato idonea smentita in base alle risultanze istruttorie ed anche il richiamo a valutazioni di carattere medico basate su dati anamnestici nella sostanza riferiti dallo stesso paziente è stato correttamente ritenuto irrilevante dal giudice del gravame, il quale ha evidenziato la mancanza di ogni connessione dei fatti valutati ai sensi degli artt. 16 e 17 c.c.n.l. con le condotte asseritamente poste in essere dalla controparte, ritenute prive delle connotazioni idonee alla configurabilità del mobbing.”. |
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