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Data: 31/01/2013 16:37:00 - Autore: A.V.![]() Non è difficile trovare nelle casistiche giudiziarie, errori ed orrori determinati molto spesso dall'estrazione sociale del soggetto convenuto nell'udienza civile o dell'imputato nell'udienza penale; eppure, i detrattori di tal disfatta posizione si possono sfrecare le mani con aria soddisfatta, leggendo il corpo strutturato della Sent. Cass. SS.UU. n. 1767 del 25.01.2013, con il quale, la Suprema Corte, senza farsi condizionare dalla posizione sociale e professionale ricoperta dal soggetto passivo del processo (nello specifico un Sostituto Procuratore della Repubblica), in virtù del richiamo normativo dell'art. 3, D.lgs. n. 109 del 23.02.2006, ha confermato la "legittima" condanna disciplinare della sanzione ammonitiva per non aver adottato provvedimenti opportuni a consentire la tempestiva scarcerazione dell'indagato alla scadenza dei termini di custodia cautelare, ponendo in essere una condotta che viola non solo le principali norme processual-penalistiche in materia di decorso dei termini di custodia cautelare e mancata scarcerazione tempestiva, ma anche il dispositivo costituzionale dell'art. 13 Cost.; inoltre, a nulla ha rilevato a favore del Sostituto Procuratore la circostanza ascrivibile solo ad un mero errore della segreteria, dovendo essere necessariamente più penetranti i controlli del magistrato, anche sul personale del suo ufficio, sulle materie riguardanti valori fondamentali della libertà personale. Una condotta anticostituzionale, insomma, che rimarrà cristallizzata nel curriculum vitae del professionista giudiziario togato, come monito per tutti i componenti giudicanti del sistema giudiziario italiano!
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