|
Data: 25/01/2013 11:00:00 - Autore: Avv. Paolo M. Storani
POSTA & RISPOSTA n. 364 ha il piacere di ospitare un saggio di Angelo Casella dedicato alle ORIGINI, CAUSE E MODALITA' DI ESTINZIONE DEL
DEBITO PUBBLICO. Vi invito caldamente a riflettere sulle moltissime questioni trattate dall'Autore ed a dire la Vostra in proposito, sempre su queste colonne, virtuali sì, ma ben solide.
1.- La crisi dei debiti "sovrani" (una crisi che presenta caratteristiche di sistema, se non di civiltà), è recentemente diventata il massimo problema mondiale, in quanto gli Stati vengono indotti a misure di austerità che determinano pesantissime ricadute sul livello del benessere dei popoli con ripercussioni, ancora non valutate pienamente, sui futuri assetti sociali interni.
Perché si parla di "crisi" del debito?
In effetti, il termine è improprio. Un debito è un debito. Non evidenzia stati di floridezza o di patologia. Se, a scadenza, non è pagato, entra in sofferenza. Tutto qui.
Senonché, il debito pubblico - a scadenza - è semplicemente rinnovato, cioè sostituito con altri titoli .
Quindi, del caso, si dovrebbe parlare di "crisi del rinnovo".
In effetti, con la parola "crisi" del debito pubblico, i detentori dei titoli "sovrani" (parliamo di grandi centri finanziari internazionali) vorrebbero non tanto denunciare una sua abnorme dimensione in rapporto al Pil nazionale (e quindi l' ipotetica possibilità che gli Stati non possano ripagarlo) bensì agitare questo spauracchio per giustificare una loro improvvisa renitenza a concorrere ad un regolare rinnovo dei titoli in scadenza.
Una ricalcitranza strumentale, studiata per dare origine ad una operazione finanziaria sui mercati, diretta ad abbassare le quotazioni dei titoli di alcuni Stati, e rendere loro in tal modo problematico e costoso il rinnovo dei titoli del debito in scadenza, determinando così le condizioni per una speculazione colossale. La "crisi" dunque è solo una "trovata", frutto dell'inventiva opportunista degli operatori finanziari internazionali.
Questa manovra sui mercati dei titoli "sovrani", genera infatti profitti altissimi anche con i c.d. CDS, (in pratica una scommessa in forma di assicurazione contro il fallimento degli Stati) costituisce anche, nel contempo, sia un articolato marchingegno altamente speculativo, sia uno strumento per abbassare il valore di borsa delle azioni delle società ed enti dello Stato preso di mira (e che diventano così agevolmente acquistabili), sia uno strumento per l'avvio di nuovi assetti sociali, sia un attacco all'euro per rivalutare il dollaro: "colpire l'Italia per far sparire l'euro", titolava significativamente Repubblica all'epoca della massima pressione della finanza sui titoli italiani).
Non è per caso che nessun problema sia stato sollevato circa l'indebitamento del Giappone, che tocca il 178% del Pil, che è perciò più elevato di Grecia, Portogallo, Italia, e di tanti altri Stati sottoposti a strumentali pressioni per il rinnovo dei loro titoli.
Infatti, tutti i titoli di Stato giapponesi sono solo in mani nazionali. Gli speculatori internazionali sono quindi privi - nel caso giapponese - del loro giocattolo. E non potranno mai far fallire quello Stato, o creare allarmi sui suoi titoli.
Ritrosia quindi, dicevamo, degli investitori internazionali a sottoscrivere le nuove emissioni, conseguenti pressioni ad arte sui governi perché contengano l' importo complessivo del debito ed adottino, pertanto, politiche orientate sia a ridurre l'impegno statale nella spesa sociale, sia a facilitare lo sfruttamento della forza lavoro.
Tutto ciò non riflette una nobile preoccupazione perché siano adottate misure di saggia gestione della cosa pubblica, ma l'intendimento di far adottare agli Stati messi sotto pressione, una serie di interventi idonei a garantire agli speculatori il massimo profitto dal capitale investito, conservandone l'elevata redditività (e la possibilità di migliorarla ancora nel futuro). Lo scopo, in definitiva, è quello di rendere sempre più convenienti gli investimenti negli Stati presi di mira.
Emergono, sottobanco, anche altri scopi, dei quali tuttavia non possiamo qui occuparci per economia espositiva.
Nel frattempo, con le manovre sullo "spread" e sul "rating" questi speculatori sono intanto già riusciti a realizzare profitti colossali e ad abbassare effettivamente il valore relativo dell'euro, nonché la sua appetibilità sui mercati, in modo da tutelare anche gli investimenti in dollari ed operare altre speculazioni connesse.
In questo modo, il futuro dei popoli viene a dipendere (ed essere messo a repentaglio) dal giudizio emesso dalle agenzie di rating (che lavorano per questi speculatori).
Secondo il Boston College, ogni grado in più di rating vale lo 0,42% di costo del denaro in meno per chi emette titoli sul mercato.
Merita notare che le agenzie in questione vengono pagate dagli enti che emettono i titoli (cioè da coloro che devono giudicare), fanno da consulenti a questi stessi enti e sono possedute da banche e Hedge Funds che ne manovrano le valutazioni a proprio vantaggio. Una situazione estrema di conflitto di interessi, che ne rende i giudizi del tutto inaffidabili.
Queste agenzie non sono state messe da canto con l'ignominia che meriterebbero, in quanto sono supportate dalla grande finanza internazionale, che le ha create proprio per i loro traffici, non proprio puliti.
La finanza dunque, grazie alla abdicazione dei governi ai loro compiti essenziali, oggi non solo può stabilire se e quanto credito può avere uno Stato, ma altresì il costo che deve pagare per poterne disporre.
Questa situazione dimostra l'assoluta incapacità dei governi di provvedere alle funzioni di tutela delle loro popolazioni e, nello stesso tempo, l'incontrollato espandersi del potere finanziario internazionale, a detrimento della democrazia e della qualità della vita dei popoli.
E' scopo di questo appunto avviare alla comprensione di fenomeni sui quali si stende da sempre una cortina fumogena di disinformazione, intesa ad evitare che l'opinione pubblica possa averne chiara contezza.
La tematica del debito e quelle strettamente connesse della moneta e del signoraggio comportano normalmente l'utilizzo di termini tecnici che contribuiscono a renderne difficoltosa la spiegazione.
Faremo pertanto sovente ricorso ad alcuni straordinari autori francesi (Holbecq, Chouard, Derudder) che, non appartenendo alla élite degli economisti accademici, hanno elaborato modalità espositive semplici e dirette, che garantiscono quella chiarezza e comprensione altrimenti irraggiungibile nei testi ufficiali.
2.- La prima domanda è: perché lo Stato si indebita, dato che potrebbe evitarlo?
L'indebitamento è sempre frutto di una scelta politica. Ma, attenzione: questa scelta non ha nulla a che vedere con ipotetici atteggiamenti di irresponsabilità contabile.
Ancora recentemente, esponenti istituzionali hanno esternato affermazioni
secondo le quali i precedenti governi "sono stati troppo buoni con gli
italiani", con troppe spese ingiustificate. Gli italiani, poi, che vogliono "il
posto fisso" (quasi che ciò sia disdicevole...) sono degli "smollaccioni,
mammoni e bamboccioni", quando non, addirittura, degli "sfigati". Insomma,
il messaggio dei palazzi del potere vorrebbe lasciare intendere che il Paese, in
preda ad ozi "Capuensi", "ha vissuto per anni al disopra dei suoi mezzi", in una
sorta di spensierato Disneyland, penalizzando in modo incosciente e scriteriato
l'avvenire delle future generazioni. E' una litania, ornata di impropri toni
pedagogici, ormai stanca ed infelice, scopertamente intesa a creare nella gente
comune una specie di senso di colpa, che è però diretto a rendere più
accettabile l'imposizione di nuove tasse, di riduzioni dello standard di vita,
nonché difficoltà e sacrifici, anche molto pesanti. Innanzitutto, deve essere
chiaro che la disposizione dello Stato, che deve o vuole fare una spesa
eccedente le disponibilità immediate di cassa, è ben diversa da quella di un
privato. A differenza di quest'ultimo, infatti, lo Stato può far ricorso ad
una soluzione diversa: aumentare le entrate. Se sceglie l'indebitamento, ciò
può avvenire per due motivi. Primo (teorico e nobile): disporre delle risorse
occorrenti ad assolvere alla propria alta missione di garantire e mantenere la
pace e la coesione sociale, presupposto per la prosperità e il progresso della
nazione (interventi per aiutare i ceti poveri, alleviare le difficoltà di
bilancio delle famiglie, ecc.). Secondo (e purtroppo largamente prevalente):
le spese eccezionali sono motivate da ragioni elettorali. Motivazioni di questa
specie hanno effettivamente indotto i governi (di ogni colore) a elargire regali
fiscali o, addirittura, finanziamenti specifici (come da ultimo alle banche)
alle rispettive fasce di elettori. Teniamo ancora conto (a sottolineare la
diversità tra il debitore-Stato ed il debitore-privato), che lo Stato è
"immortale", cioè non rischia di sparire improvvisamente e che fornisce quindi
al creditore una presenza costante. 3.- A fronte
dell'indebitamento, comunque, non bisogna dimenticare che lo Stato italiano
dispone di beni ed attività in quantità tale da compensarne largamente anche
l'esagerato ammontare attuale. Non è agevole effettuare un computo preciso
(quanto può valere il Colosseo o il David di Donatello?), ma secondo analisi
compiute da organismi internazionali (OCSE) la ricchezza nazionale rappresentata
da immobili e valori mobiliari consente - anche alle future generazioni - di
disporre di una riserva attiva nettamente superiore al debito. E ciò , in
concreto, significa che lo Stato italiano è del tutto solvibile e che tutto
l'allarme lanciato dai possessori di titoli sovrani è infondato. Come si è
detto, non si ha paura di non recuperare il credito, ma si vuole porre in atto
una manovra di speculazione finanziaria, di dimensioni smisurate. 4.
- A proposito delle future generazioni, è comunque da chiarire che, se
si parla di passaggio di consegne, di trasferimento, questo - oggi come domani -
non avviene tra generazioni, bensì fra diversi strati sociali. Sono infatti i
contribuenti, di oggi e di domani (come anche di ieri) che pagano la rendita
prodotta dal debito. Si tratta di un trasferimento di ricchezza che va dalla
massa dei cittadini che pagano le tasse verso i detentori dei titoli del debito
pubblico. I quali non sono che in minima parte dei piccoli risparmiatori,
essendo la quasi totalità dei titoli in questione posseduti dai grandi
investitori finanziari. Sul reddito di questi titoli viene imposto un
prelievo fiscale, che è più o meno significativo, a seconda di precise scelte
politiche. Un prelievo che costituisce - si noti bene - una restituzione
alla collettività di una piccola parte della ricchezza prelevata. Nessuna
imposta - almeno finora - grava invece sulle transazioni finanziarie, in ciò
privilegiate anche rispetto a quelle che hanno per oggetto un semplice
panino. 5. - Seconda domanda: come è stato possibile
accumulare un debito pubblico così spaventosamente elevato? Come vedremo
esaminandone le dinamiche evolutive, ciò non è dovuto - se non in minima parte -
ad aumenti sproporzionati della spesa corrente in rapporto al Pil (che pure in
passato si sono anche verificati), bensì ad una scelta politica orientata a
favorire determinate posizioni particolari. Nel 1960, l'Italia evidenziava un
debito complessivo di 382 miliardi, pari a circa il 50% del Pil. Nel periodo
'74-'85 raggiunge l'80%, per salire ancora, nel 1995 al 121,5%. Nel 2000, per
poter "entrare in Europa" (come diceva la coppia Prodi-Ciampi), ossia far parte
del sistema euro, il debito scende al 109% . Oggi l'ammontare è salito a
oltre 1900 miliardi, pari a più del 120% del Pil. In circa 50 anni, dunque,
il debito si è praticamente triplicato. Sono state create eccezionali opere
pubbliche? Investimenti straordinari? Nulla di tutto questo. L'economia
nazionale ha comunque ricavato un beneficio da tutto ciò? Al contrario: negli
ultimi venti anni, si è verificata una sensibile contrazione produttiva, un
aumento della disoccupazione, un innalzamento del costo della vita, un risveglio
dell'inflazione. Anche il benessere delle famiglie ha subito, nel periodo,
una decisa contrazione. Da notare, per inciso, che la galoppata del debito
non è diminuita neppure con l'imponente operazione di privatizzazione - a suo
tempo - delle aziende IRI. Del ricavato, infatti, anche i più esperti segugi non
hanno trovato traccia. In realtà, questo imponente ammontare del debito è
dovuto all'aggravio degli interessi, il cui peso complessivo è pari ai due terzi
del totale. Cancellando gli interessi, il debito totale rispetto al Pil
scenderebbe ad un livello quasi insignificante. Per inquadrare il fenomeno,
ricordiamoci che, ad un tasso del 7,2%, un debito di 10 mila euro raddoppia in
dieci anni. Dopo quaranta anni sale a 320 mila euro.
Fatte le dovute proporzioni, si comprende il meccanismo che ha reso il debito
italiano qualcosa che non si può più restituire. Teniamo conto che il solo
ammontare degli interessi sul debito (si tratta di oltre 90 miliardi annui) è
arrivato ad assorbire pressoché interamente l'imposta sui redditi, creando
indubbie difficoltà di gestione contabile. Negli ultimi venticinque anni il
debito complessivo si è accresciuto di quasi 1700 miliardi, di soli
interessi.
6. - Ora, è assai poco accettabile che la classe politica,
la quale ha consapevolmente creato questo problema ( obbiettivamente insolubile
in condizioni di normalità, fiscale e di spesa), gridi allo scandalo e pretenda
di tirare le orecchie agli italiani. La sgradevole sensazione che se ne trae è
quella di un imbarazzante tentativo di imbroglio. Purtroppo, si tratta di un
raggiro rovinoso, più che semplicemente nocivo ed improprio, poiché vorrebbe
avallare presso l'opinione pubblica una riduzione del debito mediante
l'abbattimento della spesa pubblica e l'aumento dell'imposizione fiscale (come
si sta già facendo). Ma ciò in realtà comporta una recessione economica
grave che avrà conseguenze pesantissime, e per lunghi anni, sul livello delle
condizioni di vita della popolazione tutta (rendendo anche maggiormente
difficoltosa proprio la riduzione del debito). Le somme di denaro che si
programma di prelevare dal sistema produttivo (lavoro e imprese) e dai
pensionati (ciò che appare moralmente riprovevole), verranno trasferite per la
quasi totalità agli organismi finanziari, nazionali ed internazionali, che
detengono i titoli del debito pubblico. E questo pone precisi interrogativi di
politica sociale. E' tutto ciò giustificato, moralmente, economicamente e
giuridicamente?
7. - Lo Stato, come si è sottolineato, non è equiparabile ad
un debitore privato. Infatti, anche se oggi - colpevolmente - non lo fa, si
trova nelle condizioni di poter determinare egli stesso se e quanto pagare di
interesse a fronte delle sue "obbligazioni", invece di farselo imporre dal c.d.
"mercato". Dobbiamo perciò chiederci ancora una volta perché lo Stato ha
deciso non solo di indebitarsi, ma di farlo pagando interessi obbiettivamente
elevati, assai più di quelli "normali", a seguito delle forzature del "mercato"
(leggasi speculazione) e che lo Stato stesso non ha impedito con apposite norme
(tra cui quella, semplicissima, di sottrarre i titoli al "mercato" vietandone
ogni transazione, per riservarla ad organismi specifici).
8. - Ma dobbiamo anche porci un'altra domanda, connessa alla
prima: un debito deve per forza produrre interessi? Nel caso di un prestito
tra privati, ciò è normale in quanto l'interesse costituisce un compenso per una
privazione di ricchezza. Ma chi emette moneta, oggi, non subisce alcuna
privazione, e non fornisce nè beni nè servizi, come meglio vedremo in seguito, e
pertanto la corresponsione di interessi non ha fondamento. E' poi da
sottolineare - in via di principio - che il ricorso al debito da parte dello
Stato poteva essere giustificato quando la moneta era costituita da dischetti di
metalli pregiati (oro e argento) che, essendo di per sé stessi rari, potevano
determinarne qualche carenza. Poiché oggi la moneta è dematerializzata, il
limite del rifornimento non esiste: è sufficiente far girare le rotative. Il
problema di base è che lo Stato (o meglio i suoi indegni rappresentanti), ha
deciso, senza neppure informarne i cittadini, di cedere il potere di creare
moneta (cioè di soddisfare un bisogno vitale della collettività) ad alcuni
privati, imponendo così ai cittadini stessi l'obbligo di chiedere, dietro
compenso, ciò che è un loro diritto.
9. - Per rispondere correttamente ai quesiti sopra
accennati, è necessario introdurre il concetto di moneta. E' infatti dalla
natura di questa che derivano i due problemi che ci occupano: sia il debito
pubblico sia la sua caratteristica di produrre interessi. Intanto, il termine
"moneta" viene da Giunone Moneta accanto al cui Tempio, sul Campidoglio, era
collocata la Zecca di Roma. Da aggiungere che l'appellativo "Moneta" dato alla
Dea, deriva dal latino monere, avvisare, poiché a Giunone spettava di avvertire
i Romani dei pericoli che potevano incombere. La moneta, sui testi dedicati,
viene definita non in sé stessa, ma in rapporto alle sue funzioni: strumento di
valore, misura di valore, riserva di valore, mezzo di pagamento. Queste
definizioni però nulla ci dicono circa il contenuto concettuale che ha l'oggetto
moneta, cioè che natura ha e perché è stata creata ed in rapporto a quali
necessità. Per agevolare questo non semplice compito, ricorreremo ad un paio
di storielle che riportiamo dagli Autori che abbiamo sopra citato. La prima
di queste evidenzia, come vedremo, una fondamentale caratteristica di base della
moneta.
10. - Un bel mattino, alla ricezione dell'albergo
Bellavista, accosto alla stazione della ridente cittadina di Maronello, si
presenta una giovane donna, piacente e spigliata, che spiega al proprietario di
essere in zona solo per la giornata ma che, temendo di non riuscire ad esaurire
le proprie incombenze in tempo utile per prendere l'ultimo treno, intende, per
precauzione, prenotare una stanza. Non avendo bagaglio, lascia come deposito,
e con l'intesa di restituzione ove non dovesse utilizzare la camera, un
biglietto da 100 euro, scusandosi perché questo presenta un piccolo strappo,
riparato peraltro con del nastro adesivo. L'albergatore accetta volentieri e
sta per mettere in cassa il biglietto, quando un uomo, anch'esso in quel momento
al bancone, si interpone, rammentando all'albergatore che ha appena consegnato
in cucina la torta per il matrimonio della figlia di questi e che gli spettano i
100 euro già pattuiti. Il biglietto finisce così nelle tasche del pasticcere
che, rientrando al negozio, rammenta di dover ancora 100 euro al dentista per
l'apparecchio correttivo della figlia. E così si reca nello studio del medico e
gli consegna lo stesso biglietto già ricevuto dall'albergatore. Il dentista,
a sua volta, quando - più tardi - chiude lo studio, si reca a ritirare l'auto
dal meccanico al quale, in pagamento della riparazione dei freni, consegna il
biglietto da 100 euro. Al meccanico si presenta poco dopo il rappresentante
del sapone liquido per incassare il saldo ancora dovutogli. Il che avviene con
la consegna del noto biglietto. Ormai a fine giornata, il rappresentante,
vista la tarda ora, pensa meglio fermarsi per la notte all'albergo Bellavista,
dove però l'albergatore, spiacente, lo informa che tutte le stanze sono
occupate. Ma proprio in quel mentre, ecco entrare la giovane donna del
mattino che, avendo terminato prima del previsto i suoi impegni, comunica di
avere tutto il tempo per prendere il suo treno e che perciò lascia libera la
camera prenotata. Il rappresentante allora, ben contento, paga subito la
stanza, consegnando all'albergatore il famoso biglietto da 100 euro che
quest'ultimo, con un bel sorriso, a sua volta galantemente riconsegna alla
giovane donna. Costei riconosce subito, dal piccolo strappo, il suo biglietto
e, allontanandosi ridendo, lo strappa in pezzi esclamando "si tratta comunque di
un biglietto falso!".
11. - A questo punto ci si chiede come sia possibile che un
biglietto falso abbia potuto estinguere una serie di debiti veri. La risposta
è che ciò si è potuto verificare perché quel pezzo di carta, vero o falso,
rappresenta "moneta", cioè incorpora una qualità unica. Quella di essere il
frutto di una convenzione che riposa sulla fiducia reciproca di coloro che la
utilizzano. Il biglietto ha il valore e la funzione che gli sono stati
accordati nella collettività. Ed ecco allora che possiamo proporre una nostra
definizione specifica: la moneta è veicolo e strumento di trasmissione di beni e
servizi. Ma, per quale motivo si è fatto ricorso a questa convenzione, cioè
per fronteggiare quale esigenza si è creata la moneta (un oggetto cui non
corrisponde un valore intrinseco)?. Per meglio rispondere a questo
fondamentale interrogativo, faremo ricorso alla seconda rappresentazione. Un
altro caso pratico esplicativo.
12. - Immaginiamo dunque che un numeroso gruppo di persone,
a seguito di naufragio, si trovi su un'isola, deserta ma accogliente, ricca di
acqua dolce, alberi da frutto, selvaggina, pesci, ecc. Poiché l'isola è
lontana da luoghi abitati e dalle rotte delle navi, i naufraghi non hanno
speranza di essere salvati e debbono pertanto organizzare la loro vita sul
posto. Innanzitutto, decidono di restare uniti, di formare un gruppo che, con
la coesione possa meglio fronteggiare le esigenze individuali. Fra di loro si
trovano artigiani, agricoltori, carpentieri. I naufraghi dispongono insomma di
una ampia varietà di competenze, che possono anche agevolmente esercitare in
quanto hanno potuto salvare dal naufragio attrezzi, strumenti vari e perfino
sementi. Ad una verifica delle competenze, si scopre addirittura che alcuni
sono in grado di costruire capanne, altri barche. E vi sono pescatori e sarti.
Insomma, tutte le esigenze primarie dei naufraghi possono essere
soddisfatte. Bisogna solo mettere all'opera i volonterosi, ognuno nella sua
specializzazione. Ma si presenta subito un problema. Se il mastro d'ascia
costruisce una imbarcazione, il carpentiere e il muratore le capanne, i
pescatori le reti, (e loro come tutti gli altri), per tutto il tempo necessario
a svolgere il loro impegno, non potranno procurarsi il cibo, l'acqua, un riparo
e soddisfare, in genere, ogni altra esigenza pratica di vita. E non si può
ricorrere al baratto, mancando i beni da scambiare. La situazione è questa:
potenzialmente vi è la possibilità di realizzare tutto quanto necessita a
soddisfare le esigenze dei naufraghi, ma in pratica non si può concretizzarla se
non si arriva a consentire ad ognuno la possibilità di disporre
contemporaneamente dell'apporto di tutti gli altri. Il problema appare
insolubile, finché qualcuno non suggerisce di ricorrere alla creazione di un
titolo di scambio, un oggetto, che tutti debbono accettare, che sia simbolo di
un certo valore, di una porzione di quello dei futuri beni da scambiare. Una
sorta di credito di scambio (o di baratto). In questo modo, il mastro d'ascia
sarà in grado di trasferire a chi gli darà cibo od altro, frazioni del valore
dell'imbarcazione, per tutto il tempo in cui sarà impegnato nella
costruzione. Ecco allora inventata la moneta, che per certi aspetti potremmo
chiamare titolo di credito, che verrà dalla collettività dei naufraghi creata in
un quantitativo pari al "valore" dei beni e servizi che sono loro necessari.
Valore che possiamo immaginare verrà correlato al tempo ed all'impegno
necessario alla loro produzione. Ecco dunque esemplificata la funzione, la
ragione di esistere, della moneta: quella di "congelare" il valore di futuri
baratti. Alla corresponsione di un bene o servizio, non è più necessario
l'immediato ricambio. Con la moneta, è possibile procrastinare questo evento nel
tempo, dirigerlo verso soggetti diversi dal fornitore specifico, oppure
destinarlo ad altri beni. Per riassumere: grazie alla moneta, vengono, in
ogni caso, realizzati degli scambi di beni (oggetti o servizi), ma queste
permute avvengono per il tramite di questo strumento che consente il conteggio
del valore di scambio di quanto è stato fornito e che attribuisce ed incorpora,
nello stesso tempo, il relativo "potere". Questo strumento, è stato chiamato
moneta fiduciaria, in quanto è basato sulla reciproca fiducia, sul consenso e
l'accettazione di tutti. Oggi, questo appellativo serve a distinguerla e
separarla da un'altra, di recente realizzazione e che conosceremo più avanti.
13. - Un aspetto di rilevante importanza è da
sottolineare. La moneta non è distribuita ai singoli coloni a titolo di
prestito, ma come strumento di scambio, in diretta relazione con le loro
necessità, correlate al valore di scambio dei beni o servizi che realizzano. Un
mezzo per consentire la collaborazione economica tra i naufraghi e favorire la
formazione e lo sviluppo di un sistema economico integrato. In altri termini,
ad ognuno dei coloni viene assegnata una quantità di moneta corrispondente al
valore economico di ciò che egli fa per essere scambiato. Dopo questa
assegnazione iniziale, la complessiva quantità di moneta circolante nella
comunità, sarà regolata in funzione del volume dell' attività economica che vi è
svolta, cioè della ricchezza prodotta. Poiché la moneta non viene data a
titolo di prestito, questa non produce interessi. (Merita incidentalmente
ricordare che vi sono stati nella storia, diversi tentativi di recuperare questa
funzione primaria della moneta, sottraendo la collettività alla schiavitù del
sistema attuale. In tempio recenti, in Francia, sopratutto a Lille, si espande
la moneta fiduciaria SOL, da noi, in Sardegna c'è il sardex, sul web si ricorre
al bitcoin).
14. - Immaginiamo ora uno scenario diverso. La
collettività dei coloni, colpita improvvisamente da una epidemia di Alzheimer,
decide che la moneta verrà fornita da un artigiano che non sa fare altro, un
banchiere, il quale, non solo darà il denaro in prestito, ma chiederà anche un
compenso, un interesse, fino a quando le somme fornite non saranno
restituite. I coloni si troveranno obbligati a prendere costantemente a
prestito il denaro necessario per far funzionare gli scambi e attivare la
produzione. Non solo, tutta la colonia, complessivamente, si troverà nella
necessità di prelevare denaro in quantità sempre crescenti per poter non
soltanto restituire il capitale ricevuto, ma pagare anche gli interessi
relativi. Quando il mastro d'ascia restituirà al banchiere la somma avuta in
prestito, dovrà infatti aggiungervi altro denaro per gli interessi. Denaro che
dovrà procurarsi presso altri membri della collettività. Per farlo, dovrà
aumentare il prezzo (cioè il valore di scambio) della imbarcazione
costruita. Gli altri membri della colonia si trovano nelle stesse condizioni.
Il costo complessivo degli scambi è ineluttabilmente destinato a crescere, a
meno che si creino delle condizioni per le quali se non tutti, almeno parte dei
beni prodotti possano veder registrare un calo nel "costo" di
produzione. Questa riduzione, ad esempio, potrebbe avvenire a seguito
dell'addomesticamento di un bufalo selvatico che, addestrato a tirare un aratro,
consentirebbe di triplicare la produzione di grano. Egualmente, l'invenzione di
più efficienti tecniche di lavorazione, potrebbe consentire al mastro d'ascia di
costruire una imbarcazione in tempi più ridotti. A parte questi meccanismi,
il cui esame approfondito ci distrarrebbe dal punto focale della nostra
esposizione, nella collettività si verificherebbero almeno due fenomeni
negativi. Il primo, sul piano della cultura sociale. Tutti i coloni, che
si troverebbero nella necessità di indebitarsi anche per le normali esigenze
quotidiane, e verrebbero presi dall'affanno di procurarsi più denaro possibile,
perché esso viene a trasformarsi, da strumento, in un "bene" autonomo. Un
clima di competizione sostituirebbe la tranquilla e pacifica convivenza già
esistente. Il secondo, di carattere economico-sociale. Una parte
consistente della ricchezza prodotta verrebbe sottratta alla collettività, per
finire nelle mani del banchiere. Naturalmente, poi, se la collettività
decidesse di realizzare opere di interesse comune (un pontile di attracco per le
barche, il tracciamento di strade, la sistemazione dei rifiuti, ecc.), si
troverebbe nella necessità di chiedere il denaro occorrente al banchiere, cui
dovrebbe corrispondere anche degli interessi... Una situazione che
richiederebbe l'imposizione di un prelievo fiscale sui coloni, dando così inizio
alla spirale infernale che oggi conosciamo.
15. - Come ben sappiamo, la società nella quale viviamo, ha
adottato la seconda soluzione. Ciò è avvenuto in tempi relativamente
recenti. Il primo esempio di delega a privati della funzione statale di
battere moneta risale al 1694 con la creazione della Banca d'Inghilterra (la
prima banca centrale). Un ente formato da un gruppetto di banchieri londinesi
che, per procurarsi il favore, concesse un consistente "prestito" (mai
restituito) alla corona. Da allora, Londra è il centro finanziario mondiale più
importante. Altri monarchi, solleticati dalla stessa prospettiva di accumulare
ricchezza, seguirono l'esempio. Ci volle tuttavia tempo perché il sistema
(fortemente incentivato dagli interessati) si diffondesse globalmente. La
Banca di Francia è del 1800, al pari, all'incirca, delle altre banche centrali
nelle nazioni industrializzate. La Banca d'Italia è nata nel 1926 (R.D.L. n.
812), dopo la fusione (nel 1823) di istituti di emissione privati già
preesistenti (Banca Nazionale del Regno, Banca Nazionale Toscana, Banca Toscana
di Credito). Incidentalmente, tanto per capire quale poderosa organizzazione sia
stata predisposta a supporto degli interessi della grande finanza (nata da
questa operazione), è opportuno ricordare che il FMI pone, tra le condizioni per
la concessione di finanziamenti ai Paesi in difficoltà, la costituzione di una
banca centrale indipendente dal potere pubblico. Queste "banche centrali"
costituiscono ad un tempo una furbesca mascheratura ed una poderosa imposizione
truffaldina alla società. Una schermatura mimetizzante, in quanto servono da
paravento alla cessione a privati del potere di battere moneta. Un inganno
istituzionale in quanto si presentano alla collettività come entità pubbliche
mentre in realtà sono private. Per quanto ciò possa apparire paradossale, la
banca centrale italiana ha un piede nel diritto privato (gli azionisti, definiti
pudicamente "partecipanti"), sono privati (ma solo privati speciali: banchieri,
assicuratori e simili) ed un piede nel diritto pubblico cioè dispone,
contraddittoriamente, di poteri e di funzioni (!) pubbliche. Un prodotto
giuridicamente mostruoso, ma che non si è provato il minimo scrupolo a creare.
16. - Un tempo, se l'imperatore Adriano decideva di fare un
nuovo ponte sul Tevere, ordinava alla Zecca di coniare sufficienti sesterzi per
compiere l'opera. Ma questa prassi non è cominciata con Roma imperiale. In
effetti, la produzione della moneta, nella storia dell'Umanità, è sempre stata
tra i compiti essenziali della collettività, identificata nella persona del suo
capo o sovrano. Ciò non è accaduto per caso o per scelta di illuminati
sovrani. La creazione della moneta, come abbiamo cercato di evidenziare nella
nostra seconda storiella, corrisponde ad un interesse pubblico, cioè è intesa a
soddisfare un bisogno della collettività, connaturato alla sua stessa
esistenza. In altri termini, rientra nei compiti propri essenziali della
comunità in quanto tale, di quelli che esistono in quanto la comunità medesima
esiste e che perciò fanno parte del suo stesso essere.
17. - L'affidamento di questa funzione a dei singoli membri
della collettività, è contrario alla sua natura medesima. Costituisce una
distorsione non solo non giustificabile, ma assolutamente inaccettabile,
oltreché illegittima perché non approvata dal popolo, che è il solo titolare del
diritto dismesso. Inoltre, come abbiamo visto, determina un gravissimo
pregiudizio per i cittadini, come singoli e come collettività. Le dinamiche
economiche interne alla società ne escono sconvolte, poiché questa delega a
privati consente a costoro di accumulare guadagni colossali. E dato che il
denaro è potere, il possesso di grandi ricchezze consente ai detentori di
influire sugli esponenti delle istituzioni, favorendo fenomeni devianti e
distorsioni gravi nella gestione della cosa pubblica. Per tacere poi delle
ricadute sulla cultura sociale cui abbiamo già fatto cenno e che hanno fatto
affermare a Walter Benjamin che il capitalismo è una religione, feroce ed
implacabile, per la sua capacità di penetrare (ma anche corrompere) l'animo
umano. L'avidità e l'esecrabile ansia di potere, formano purtroppo parte del
bagaglio dei difetti umani. Vizi che, in personalità immature, spesso
esplodono incontrollati. E coloro che, avvezzi alla gestione del denaro, si
avvidero agevolmente delle possibilità di potere e di denaro che potevano
derivare dallo scippo alla società del potere di creare moneta, non ebbero
scrupoli a coinvolgere chi poteva disporre del potere pubblico per farne
complici, facilmente corrotti dalle prospettive degli enormi guadagni connessi
al furto. Incuranti del pesantissimo ed intollerabile pregiudizio che questo
colpo di mano veniva a determinare per la collettività.
18. - Della ideazione di questo intrigo abbiamo traccia in
una lettera del 1865, nella quale la banca Rothscild di Londra scrive ai
confratelli banchieri di New York in questi termini: "Signori, un certo M.
John Sherman ci ha scritto che non è mai esistita maggior possibilità di
accumulare denaro che mediante un "decreto legge", formulato nei termini redatti
dalla Associazione Britannica dei banchieri. Si tratta di concedere ogni
potere sulle finanze della nazione alla Banca centrale. Se ciò avvenisse,
nelle dovute forme di legge, ne deriverebbero enormi profitti per la fratellanza
dei banchieri di tutto il mondo. Mr. Sherman ribadisce che le poche persone
che capiranno questo sistema, potranno essere coinvolte nei conseguenti
profitti, dipenderanno totalmente dai suoi favori e nessuno solleverà
obbiezioni. La grande massa popolare, invece, incapace di capire quali
formidabili vantaggi ne tragga il capitale, porterà il suo fardello senza
lamentarsene e senza neppure immaginare quanto il sistema sia contrario ai suoi
interessi ". Ne aveva ben nozione il noto Mayer Amschel Rothscild
(1743-1812), che affermava candidamente: "Datemi il controllo della moneta e non
dovrò preoccuparmi di chi fa le leggi". Lo stesso Thomas Jefferson ne era ben
consapevole: "Chi controlla la moneta, controlla la nazione". E aggiungeva: "
Sono convinto che le istituzioni finanziarie siano più pericolose per le nostre
libertà di una forza armata nelle strade". Sorprendentemente esplicito, in
tema, (date le sue funzioni) un ex governatore della Banca d'Inghilterra, Josiah
Stamp che, nel 1920, esclamava: "Se proprio volete essere gli schiavi delle
banche, e pure pagare per finanziare la vostra stessa schiavitù, allora lasciate
che le banche creino la moneta". Terminiamo le nostre citazioni con il Nobel
Allais: "E' quanto meno paradossale dover constatare che, mentre per secoli,
l'Ancien Régime aveva gelosamente conservato allo Stato il diritto di battere
moneta, ed il privilegio di goderne i vantaggi, proprio la Repubblica
democratica si è spossessata di questo diritto e dei connessi privilegi a favore
di interessi privati." (Egli, naturalmente, si riferisce alla Francia). Tutto
ciò consente di ribadire ancora che l'attuale conformazione del sistema
monetario toglie alla moneta il suo ruolo naturale di strumento al servizio
dell'interesse collettivo per farne mezzo di concentrazione della ricchezza, di
facile arricchimento e di potere privato, determinando con ciò un gravissimo
danno alla collettività, nel quadro di una situazione distruttiva del concetto
medesimo che ne è alla base.
19.- Naturalmente, se la moneta fosse creata dallo Stato,
come sarebbe dovuto, questi potrebbe eventualmente prestarla alle banche (che a
loro volta la darebbero in prestito), ricavandone sostanziosi interessi, con i
quali garantirebbe eccellenti servizi alla collettività, senza per questo
doversi accollare un debito. Dobbiamo constatare che questa delega ai privati
del potere di battere moneta è di tale rilevanza che i centri finanziari
internazionali, soggiogando ancora una volta i governi nazionali, sono riusciti
ad imporla come regola inderogabile nella Unione Europea. L'art. 104 del
Trattato di Maastricht (questo Trattato è stato respinto dal popolo francese con
un referendum nel 2005 e, prima ancora, lo stesso rifiuto era stato espresso dal
popolo olandese; dopo di che, il testo è stato furbescamente cambiato solo nella
forma e sottoposto alla sola approvazione parlamentare dei Paesi europei,
escludendo ogni consultazione popolare), addirittura inibisce formalmente alle
banche centrali di finanziare (anche mediante l'acquisizione diretta dei titoli
emessi) le istituzioni (centrali e locali) e le imprese pubbliche (questa
disposizione è stata ripetuta nelle successive edizioni degli accordi
europei). Le relative necessità di finanziamento possono essere soddisfatte
solo mediante il ricorso al credito. Con questa norma, la regola nazionale
della riserva del potere monetario ai banchieri privati, è divenuta è divenuta
un dettato sovranazionale, non violabile dai singoli parlamenti. Inutile
sottolineare quanto sia anomalo che l'autorità che dovrebbe curare gli interessi
pubblici, si preoccupi di garantire gli interessi privati. Ed a scapito proprio
di quelli pubblici. 20.- E' a questo punto del nostro
percorso espositivo necessario mettere bene in luce il meccanismo in base al
quale le banche sono in grado di creare moneta, accumulando profitti tanto
enormi quanto ingiustificati, per non dire truffaldini. Quando una banca
"concede" un prestito, ad esempio di 100 mila euro, ricorre ad una semplice
registrazione, una annotazione contabile a costo zero. Questa concessione di
credito comporta una creazione di moneta a favore del beneficiario. Una moneta
che viene chiamata "scritturale" in contrapposizione a quella, che già
conosciamo e che si chiama "fiduciaria". Una operazione che è del tutto priva
di oneri per la banca. Concretamente, essa non "dà" nulla al cliente. Ma,
grazie a questa semplice scrittura, la banca, oltre a poter pretendere la
"restituzione" della somma così "prestata" (ed in realtà "creata"), percepisce
anche una massa notevole di denaro per interessi (variabile a seconda del tasso
applicato). In conto interessi ed in conto capitale, come si usa dire, la
banca preleva così dal sistema economico una enorme quantità di ricchezza reale
tramite il cliente "beneficiario". Una ricchezza vera, incorporata nella moneta
fiduciaria che quest'ultimo si procura con il suo lavoro e che va a compensare
il nulla che ha ricevuto dalla banca. Come pittorescamente si è espresso
Brecht quando ha detto che "è meglio fondare una banca, piuttosto che
rapinarla", si tratta di un autentico furto legalizzato. La banca ruba alla
società la ricchezza che questa produce. Si tratta, come si può comprendere,
di una forma di parassitismo gigantesco, che procura incalcolabili danni
all'economia, alla società ed ai singoli cittadini. 21.- Si
tratta ora di inquadrare meglio la dimensione del fenomeno ora descritto. La
complessiva massa monetaria circolante in un Paese viene "fotografata" in tre
aggregati diversi che misurano l'offerta di moneta in un determinato
momento: - M1 = moneta fiduciaria (biglietti e monete, detta anche Mo), più i
depositi a vista (ovvero tutte le attività finanziarie utilizzabili come mezzo
di pagamento) - M2 = M1 più più i depositi "negoziabili", cioè con scadenza
non superiore a due anni e i depositi rimborsabili dietro preavviso di non più
di tre mesi (in pratica: tutte le attività finanziarie che hanno elevata
liquidità e valore certo) - M3 = M1 più M2 più gli strumenti finanziari di
durata non superiore a due anni (ossia tutte le attività finanziarie che possono
fungere da riserva di valore, come i titoli a reddito fisso a breve)
Il totale di M3, nella zona euro è di circa 9000 miliardi. Interessa
sottolineare che il 93% di questo ammontare è costituito da moneta scritturale,
creata ex nihilo, dal nulla, dalle banche, mediante crediti allo Stato e alle
famiglie. Questo dato impressionante è indicativo della rilevanza enorme
assunta dalla moneta bancaria o scritturale ed esprime un concetto molto chiaro:
pressoché tutta la massa monetaria in circolazione corrisponde ad un equivalente
debito (produttivo di interessi per le banche!). Risulta altresì evidente la
limitata importanza della moneta fiduciaria. La banca centrale, nel nostro
caso europeo la BCE, è detta Istituto di emissione perché "emette" moneta, ma
solo quella fiduciaria. Sono invece le banche ordinarie, o commerciali,
(ormai tutte private, dopo la sciagurata privatizzazione dell'IRI, decisa nel
corso del famoso abboccamento sul Britannia), che detengono il potere di creare,
mediante la concessione di crediti, la moneta scritturale che, come si è visto,
rappresenta il 93% del totale. Questa percentuale smentisce da sola
l'opinione diffusa per la quale le banche non possono prestare ai clienti che le
quantità di moneta che detengono in deposito. Una credenza popolare,
abilmente coltivata per mascherare il meccanismo perverso che abbiamo ora
evidenziato, ideato per arricchire alcuni a scapito della
massa. 22.- In realtà, sono i crediti che permettono i
depositi e non il contrario. La quantità poi, dei depositi dipende solo dal
rapporto che la banca intende applicare tra le poste contabili degli impieghi e
dei depositi: se questo rapporto è del 92%, con un deposito iniziale di 100
euro, verrebbero generati depositi (cioè moneta scritturale) per 1250
euro. Vediamo come funziona il meccanismo. E' indubbiamente necessario che
tutto inizi con una creazione di moneta fiduciaria che entra nel sistema
economico e con la quale i detentori pagano i fornitori di beni e
servizi. Questi ultimi depositeranno i soldi ricevuti sui loro conti
bancari. Queste somme verranno dalle banche concesse in prestito ad altri
clienti. Costoro utilizzeranno questi crediti per pagare i loro fornitori
che, a loro volta, depositeranno le somme ricevute le quali, ancora,
determineranno nuovi crediti e nuovi depositi. E' il c.d. "effetto
moltiplicatore": il credito è all'origine di nuovi depositi (e di nuovi
crediti). Facciamo un altro esempio concreto. Supponiamo che vengano
depositati nelle banche biglietti per 10 milioni, a fronte dei quali esse
emettono assegni circolari o libretti di conto. Se le cose rimanessero così,
si verificherebbe una semplice trasformazione nella composizione del
circolante. Ma le banche sanno che le somme depositate non verranno
contemporaneamente ed integralmente richieste (in caso di necessità potranno
sempre chiedere un rifornimento alla banca centrale) ed allora prestano alla
clientela 9 miliardi. La circolazione aumenta dell'importo
corrispondente. Questi nove miliardi verranno ridepositati nelle banche, in
tempi più o meno diversi, dando luogo ad altri crediti, e così via. In questo
modo le banche, sia commerciali, sia d'affari, hanno la possibilità - riservata
soltanto a loro - di creare moneta. La moneta
scritturale. 23.- Il saldo di un conto di deposito viene
annotato, nei libri della banca, alla voce "Passivo" di bilancio in quanto si
tratta di somma che la banca stessa si è impegnata a fornire al cliente. Il
relativo ammontare può essere formato da "provvista", ovvero da moneta
fiduciaria, da accrediti provenienti da altri conti bancari, oppure anche da un
credito che la banca ha concesso allo stesso cliente. Questo stesso saldo è
annotato all'Attivo del bilancio della banca, sotto il nominativo del cliente,
il quale deve "avere" dalla banca stessa la somma indicata. Se l'operazione,
ad esempio di 100 mila euro, ha origine poniamo da una apertura di credito, si
vedranno nei conti della banca le seguenti scritturazioni: Attivo
Passivo (crediti) (depositi a vista) 100 100 A queste corrispondono,
nella scheda contabile al nome del cliente, altre due scritturazioni: Attivo
Passivo (la banca deve avere) (la banca deve dare) 100 100 Quando il
cliente restituisce la somma presa a prestito, diminuisce sia l'Attivo che il
Passivo della banca. La moneta creata dalla banca con il prestito, viene
distrutta quando il prestito viene restituito. Il totale complessivo della
massa monetaria aumenta quando il totale dei crediti concessi dalla banca si
accresce e diminuisce in caso contrario. 24.- La creazione
di moneta da parte delle banche ha dei limiti (peraltro abbastanza teorici ed
elusi). Il primo, è il livello del tasso di cambio fissato dalla banca
centrale, che può rallentare il ricorso al credito da parte della clientela, cui
vengono imposti interessi il cui livello è correlato, appunto, al tasso di
cambio. Il secondo risiede nell'obbligo potenziale della banca a fornire
moneta fiduciaria (biglietti e monete) a chi la richiede, anche a fronte di un
credito scritturale. In realtà, come abbiamo accennato sopra, la banca può
procurarsi in ogni momento la moneta fiduciaria ricorrendo alla banca centrale,
presso la quale ha un conto a suo nome e sul quale paga un modestissimo
interesse. (Da ciò deriva che l'aumento della richiesta di moneta fiduciaria,
induce la banca a crescere il costo di quella scritturale). Il terzo, è la
c.d. "riserva obbligatoria", un meccanismo che prevede che la banca debba
mantenere, sul suo conto presso la banca centrale, un ammontare di moneta
fiduciaria ari a circa il 2% del totale dei crediti
accordati. 25.- Tutto andrebbe bene se non ci fosse un
importante accessorio. La banca che concede un credito chiede al cliente,
oltre che la restituzione della somma prestata, anche un certo ammontare per
interessi, che il beneficiario deve procurarsi con il suo lavoro. Anche
questa "moneta per interessi" deve essere "creata" con lo stesso meccanismo,
cioè con altri crediti. In tal modo, anche la "moneta-interessi" produrrà
interessi, creando una spirale senza fine. L'equilibrio complessivo del
sistema dipende perciò dalla circostanza che vi sia sempre una domanda di nuovi
crediti superiore al rimborso di quelli arrivati a scadenza. Ma il vero
problema è evidentemente di altra natura. Appare infatti del tutto
inaccettabile che le banche pretendano un interesse sulla moneta scritturale,
cioè da una creazione di moneta che a loro non costa nulla. Non a caso
Maurice Allais, premio Nobel per l'Economia nel 1988, scrive: "Nella sostanza,
la creazione di moneta ex nihilo, operata dalle banche, è identica alla
creazione di moneta da parte dei falsari. Sul piano pratico, produce gli stessi
esiti. La differenza sta soltanto nei soggetti che ne traggono
beneficio". Secondo alcuni, l'incidenza del sistema degli interessi sul
prezzo finale di tutti i prodotti esistenti sul mercato si aggira, a seconda dei
casi, dal 25 al 40%. E quando si pensa che questo stesso meccanismo è alla
base dell'enorme debito pubblico accumulato dagli Stati, per il cui pagamento
vengono imposti sacrifici tremendi alle popolazioni, giusto per rimpinguare le
tasche della finanza, si evidenzia l'urgente necessità di cambiare
sistema. Torniamo a ripetere che il ricorso degli Stati al debito comporta
l'emissione di titoli che rendono per interessi una massa enorme di denaro il
quale non entra nella economia reale, ma affluisce nelle tasche dei redditieri e
degli enti finanziari. Questa strada conduce ineluttabilmente al fallimento
degli Stati i quali, per sfuggirvi, si trovano costretti - fenomeno cui stiamo
del resto assistendo - a vendere i servizi pubblici preziosi per i cittadini.
Ed è proprio là che li aspettano i furbetti della finanza, poiché un
servizio pubblico (per definizione necessario alla collettività) garantisce
introiti sicuri e costanti, non soggetti alle oscillazioni del
mercato. Infatti, per fronteggiare il continuo aumento dell'indebitamento
causato dall'accumulo degli interessi, gli Stati sono obbligati a ricorrere
sempre a nuovi prestiti, in una spirale diabolica. Senza gli interessi, il
debito sarebbe di dimensioni insignificanti. Tutto ciò sottolinea con forza
l'enormità dell'errore commesso di affidare a privati la sovranità monetaria.
Una eresia attuata senza consultare i cittadini (che di questa sovranità sono i
titolari) ed anzi giocando a rimpiattino con la collettività intera per
nascondere, e mantenere, questa indecente realtà. Lo Stato o, meglio, chi
indegnamente lo rappresenta, ha trasferito al sistema bancario privato il potere
di creare la moneta, tutta la moneta, quella fiduciaria e quella scritturale,
costringendo i membri della collettività ad assoggettarsi all'obbligo di
chiedere alle banche private ciò che loro spetta di diritto. E le banche,
ricordiamolo ancora, sono organismi che hanno lo scopo di conseguire profitti,
cioè di arricchire gli azionisti proprietari, non di tutelare gli interessi
della collettività. Perfino superfluo ricordare che, in queste condizioni di
servitù finanziaria, nessuno Stato può definirsi democratico, non tanto perché
la moneta è un elemento strutturale necessario per una società moderna, ma in
quanto "appartiene" alla società stessa. Esiste perché la società la accetta,
ed ha forza cogente (deve essere accettata come mezzo di pagamento)
esclusivamente in ragione della sovranità del popolo. Proprio come accade per
una legge. (Il paradosso è che si utilizza la sovranità del popolo per agire
contro di esso). La moneta, infine, è un bene che appartiene alla
collettività, nel senso specifico che ne è parte. Lo Stato si è messo nella
condizione di dover chiedere alle banche il denaro che gli occorre, pagando un
interesse per una cosa che gli appartiene. Considerato che tutta la moneta in
circolazione nel mondo intero è oggi frutto di un debito presso il sistema
bancario, ne segue che lo sviluppo dell'economia mondiale (in pratica, il futuro
dell'umanità) dipende dalla disposizione delle banche stesse a concedere
credito. E la concessione di credito da parte delle banche segue il criterio di
base della solvibilità del creditore e della remunerazione. Una regola squallida
certo favorevole al profitto delle banche, ma assai poco alla
collettività. Lo sviluppo è alla portata dell'immediato nostro futuro... se
viene immediatamente tolta alle banche l'esclusiva della emissione della
moneta. Al problema della creazione della moneta, si ricollega strettamente
il progresso del benessere per tutto il pianeta. Oggi, ogni progetto è
valutato in funzione del denaro che costa. Se invece la collettività si
riappropria del denaro, domani potrà valutare qualsiasi innovazione progettuale
sulla sola base della sua effettiva utilità. Se il denaro fosse emesso
gratuitamente dallo Stato, espleterebbe normalmente la sua funzione di
soddisfare le necessità della società, senza crearle alcun aggravio, ci sarebbe
lavoro per tutti e si potrebbero affrontare subito le grandi sfide incombenti:
ambiente e povertà. La ricchezza sarebbe unicamente frutto del lavoro e non del
parassitismo finanziario. Lasciare la creazione monetaria nelle mani di una
ristretta casta (ed alle sue mani sporche, ciniche e sordide), significa
rimettere a questa ogni decisione sul futuro dell'umanità. Una decisione che non
verrà mai presa poiché questa casta ha scelto come fine esistenziale il proprio
gretto ed abbietto interesse, non quello della comunità umana. Poiché invece
il denaro è "pagato", una parte non secondaria della ricchezza nazionale è
utilizzata per pagare il nulla, cioè gli interessi. E ciò significa stornare ciò
che è pubblico, il denaro, dalla sua naturale destinazione di servire
all'utilità pubblica per destinarlo a rimpinguare tasche private. Il
complesso delle attività finanziarie oggi in giro per il mondo corrisponde a 4,5
volte il Pil mondiale e più cresce, più assorbe ricchezza reale. Henry Ford,
il noto industriale statunitense, non poté trattenersi da una significativa
battuta: " E' una vera fortuna che i cittadini non capiscano il nostro sistema
bancario e monetario perché altrimenti io credo che scoppierebbe una rivoluzione
prima di domani mattina". E' giunto il momento di dimostrare che i cittadini
hanno capito benissimo.
Vai al secondo intervento di Angelo Casella:
Il DEBITO PUBBLICO - possibili strategie (di Angelo Casella)
|
|