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Data: 04/01/2013 09:55:00 - Autore: A.V. Il datore di lavoro che installa un impianto di videosorveglianza all'ingresso della sua fabbrica - purchè quest'ultimo sia visibile anche dall'esterno - non compie un'intromissione nella sfera privata dei suoi dipendenti. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 45662/2012. I fatti ripresi, se percepibili a occhio nudo, non possono considerarsi rilevanti ai fini del reato di “illegittima captazione di condotte tenute in località protetta”. Questo indipendentemente dal motivo che spinge il datore di lavoro o chi per lui a installare l'impianto di videosorveglianza. Le condizioni per denunciare una violazione della privacy si creano invece se le telecamere catturano scene di vita quotidiana in un luogo interno alla fabbrica. La sentenza della Corte di Cassazione è legata a un caso in cui era stato installata su una struttura aziendale una telecamera che riprendeva il traffico di automezzi nella proprietà del vicino imprenditore. L'impianto di videosorveglianza non era dotato tuttavia di strumenti in grado di captare elementi non percepibili a occhio nudo, come un teleobiettivo o un visore notturno. La suprema Corte ha affermato quindi che il reato penale invocato dalla controparte non sussisteva, in quanto le scene riprese erano visibili anche a occhio nudo da parte di chiunque si fosse collocato sulla tettoia. Il principio era già stato espresso attraverso la sentenza 47165/2010, secondo la quale è lecito effettuare delle riprese se i fatti sono visibili anche a occhio nudo. È illecito invece adottare sistemi per superare i normali ostacoli che non permettono l'intromissione nella vita privata altrui. |
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