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Data: 15/02/2013 09:30:00 - Autore: L.S.![]() La Suprema Corte ha affermato che il giudice di merito ha correttamente applicato l'enunciato principio di diritto, ritenendo integrata la fattispecie di reato ascritta all'imputato, accertando in punto di fatto che l'azienda di cui è legale rappresentante l'imputato aveva utilizzato due operai, in base a due contratti di appalto aventi ad oggetto l'incarico di svolgere attività di revisione di motori, cambi e differenziali. Tali contratti, secondo l'accertamento di merito, dovevano riferirsi in effetti ad un rapporto di somministrazione di mano d'opera illecito, non sussistendo gli elementi propri del contratto di appalto.
E' infatti emerso dall'accertamento di fatto, mediante puntuali riferimenti alle risultanze probatorie, che la società che aveva fornito i due lavoratori, non ha mai esercitato alcun potere direttivo o organizzativo in ordine all'espletamento delle mansioni ad essi affidate, né aveva assunto alcun rischio di impresa, operando, tra l'altro, in un settore del tutto diverso da quello della società assuntrice dei lavoratori, o apprestato alcuna reale organizzazione di mezzi per l'esecuzione dei lavori formalmente affidati in appalto. Alla luce di tali risultanze - precisano i giudici di legittimità - il contratto di appalto si configura con certezza come simulato, celando una mera fornitura di prestazione lavorativa, vietata in assenza della prescritta autorizzazione. L'utilizzatore della mano d'opera è incorso, pertanto, nella sanzione di cui di cui all'art. 18, comma 2, del citato D.Lgs n. 276/2003.
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