Data: 16/02/2013 14:30:00 - Autore: L.S.
“Nel nostro ordinamento non esiste l'autonoma categoria del danno esistenziale, in quanto, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi che scaturiscono dalla lesione di interessi di rango costituzionale della persona, ovvero derivanti da fatti reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'articolo 2059 del codice civile, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore voce di danno si risolverebbe in una non consentita duplicazione risarcitoria.” 
Sulla base di tale principio la Corte di Cassazione, con sentenza n. 3290 del 12 febbraio 2013, ha rigettato il ricorso di un uomo rimasto gravemente ferito in un incidente stradale. Secondo il ricorrente la sentenza del giudice di merito sarebbe errata nella parte in cui ha omesso di liquidare il danno esistenziale conseguente al sinistro sostenendo di aver concretamente dimostrato il proprio desiderio di entrare a far parte della Polizia di Stato, desiderio rimasto frustrato proprio a causa delle menomazioni patite, che avevano portato l'Amministrazione, all'esito della visita medica, a ritenerlo inidoneo per tale attività. 
La Suprema Corte ha però affermato che “l'accertamento di postumi, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta l'automatico obbligo del danneggiante di risarcire il pregiudizio patrimoniale, conseguenza della riduzione della capacità di guadagno derivante dalla ridotta capacità lavorativa specifica e, quindi, di produzione di reddito.”
Tale danno patrimoniale sussiste – si legge nella sentenza - solo se l'invalidità abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica e deve essere accertato in concreto; il danneggiato è tenuto a dimostrare di svolgere un'attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto, dopo l'infortunio, una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali. Occorre, in altre parole, la dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio patrimoniale. Nella specie la Corte d'Appello, prendendo in esame l'intera vicenda relativa al danno subito, è correttamente pervenuta alla conclusione secondo cui l'accertata diminuzione della capacità lavorativa del ricorrente non si è tradotta in alcuna perdita di reddito dato che il ricorrente quale impiegato di banca svolgeva una professione “tradizionalmente considerata come tranquilla, sicura e sedentaria”.

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