Data: 25/07/2022 16:00:00 - Autore: Antonio Baudi

Le prove documentali nella disciplina codicistica

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Nella disciplina civilistica il termine documento non è definito ma risulta evocato in varie disposizioni specifiche e in maniera rilevante, in sede sostanziale, tra le prove (cfr. Codice civile, libro VI, titolo II “Delle prove”, capo II, “Della prova documentale”), ove si trattano, nell'ordine sezionale, l'atto pubblico, la scrittura privata, le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, le riproduzioni meccaniche, le taglie o tacche di contrassegno, le copie degli atti.
La trattazione non è esaustiva perché notoriamente la categoria è più ampia oltre che soggetta ad evoluzione tecnica, tant'è che l'elencazione codicistica risulta anacronistica a fronte di documenti di tipologia sopravveniente e divenuti ormai di largo uso in specie dopo l'avvento dell'elettronica. Si rifletta in proposito, oltre che sul telegramma (art. 2705 c.c.), sul telefax, sul telex, più in generale sul documento informatico ormai di larga diffusione.
Va subito evidenziato ai fini che interessano:
  • che il documento trae la sua genesi quale frutto intenzionale di attività umana, come tale dimensionata nel reale storico;
  • che rileva la qualificazione di giuridicità, allorché il documento incorpora un fatto giuridicamente rilevante in specie quale prova introducibile nel processo sempre che il fatto rappresentato sia pertinente al fatto costituente oggetto del giudizio processuale e sempre che la legge, intervenendo sull'an e sul quomodo dell'ammissibilità in giudizio, ne consenta l'acquisizione.
Si sottolinea ulteriormente che la funzione probatoria del documento risulta cognitivamente privilegiata in tema di tutela dei diritti (è notorio che scripta manent), sia sul piano sostanziale (si rammenti il valore garantistico dell'uso della scrittura ad substantiam) che sul piano processuale, nella sede propria della disciplina della prova.
All'uopo, nell'ambito del processo di cognizione civile si richiama il documento in tema di esibizione (artt. 210-212 c.p.c.), di disconoscimento della scrittura privata (artt. 214-220 c.p.c.), di querela di falso (artt. 221-227 c.p.c.).
Di assoluto interesse, nella sede penale, la disciplina della prova documentale, per la trattazione autonoma ed ampia che il legislatore ha ritenuto di dover dedicare ad essa; il documento figura sia nella sede sostanziale, in tema di disciplina punitiva dei delitti contro la fede pubblica e delle falsità su cose ed in atti, categoria notoriamente distinta dicotomicamente in falsità materiale o ideologica (cfr. codice penale, libro II, titolo VII) e, in sede processuale, ove trova collocazione tra le prove (cfr. codice di procedura penale, libro III, titolo II, capo VII).
Il documento entra nel processo per l'usuale via fisiologica, mediante ammissione della richiesta di prova articolata dalla parte e mediante la consequenziale attività di acquisizione, disposta dal giudice a seguito di una esibizione spontanea o di una apprensione anche coatta secondo le regole del sequestro.
Interessa, s'intende, l'acquisizione dell'originale del documento per la sua valenza di formazione primaria. Non è però vietata l'acquisizione di un documento di matrice secondaria: infatti il giudice istruttore civile può disporre l'esibizione di una copia o di un estratto autentico (art. 212 c.p.c.); il giudice penale, al pari e solo in caso di non reperibilità, perché l'originale del documento risulta per qualsiasi causa distrutto o sottratto o smarrito, dispone l'acquisizione agli atti della relativa copia (art. 234, comma 2, c.p.p.).
Ogni disposizione normativa mira a tutelare la privilegiata funzione cognitiva assicurata nel tempo dal documento: interessa il comprendere assicurato dall'uso diretto dei sensi nobili quali il vedere (documento visivo, come tipicamente la fotografia) o dal sentire (documento auditivo, come un disco) o di entrambi (come una videoripresa). L'esigenza di assicurare la conoscenza fattuale fornisce la ragione della prescrizione per la quale, se si tratta di uno scritto in lingua straniera, il giudice ne dispone la traduzione e, se si tratta di nastro magnetofonico di un discorso, il giudice ne dispone la trascrizione.
In questa sede, lungi dall'approfondire tematiche pertinenti alla disciplina normativa specifica, diffusamente rinvenibili in manuali, voci enciclopediche e pubblicazioni dottrinarie, pare interessante approfondire il valore del documento ai fini della conoscenza del fatto nel processo.

Concetto e natura del documento giuridico

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Non è rinvenibile una definizione legislativa esplicita del documento ma risulta agevole, attraverso la lettura della disposizione di principio in materia di prova documentale penale (ex art. 234 c.p.p.) che documento è qualsiasi “cosa rappresentativa di un fatto”.
L'analisi del testo normativo consente di cogliere il complessivo profilo strutturale di valenza connotante triplice: a) cosa; b) rappresentazione; c) fatto rappresentato.
Ad esempio, in un documento fotografico, prodotto dell'operare umano con l'ausilio di apposita strumentazione, si distingue il supporto (cosa), capace di fissare (per incorporazione) una scena (il fatto rappresentato) che raffigura e riproduce, con fedele immediatezza, un frammento di realtà esteriore, quel fatto nella sua storicità (situazione reale); in un documento scritto si distingue il supporto (cosa), usualmente un foglio di carta, rappresentativo (per incorporazione) di un pensiero o di una disposizione (il fatto rappresentato), dichiarazione esteriorizzante un sentire, un sapere o un volere il cui reale è l'interno mentale.
E' ormai pacificamente riconosciuto che, perché si sia in presenza di un documento, occorre che si tratti:

  • quanto al supporto, di una cosa, res materiale che opera come un contenitore rappresentativo di un qualsiasi fatto purché d'interesse probatorio;
  • quanto alla rappresentatività, di una funzione impressa intenzionalmente alla cosa al fine di assicurare l'incorporazione del fatto, operazione che privilegia la riproduzione per equivalente, frutto di artificio umano, del fatto storico, rilevante cognitivamente nella sua datità;
  • quanto al fatto, inteso il termine in senso lato, comprensivo di situazioni di vita riferite anche a cose ed a persone, del contenuto rappresentativo riprodotto nella sua fedele esistenza oggettiva.
Occorre sottolineare due fondamentali connotazioni:
  • una, di pregnante rilievo cognitivo, relativa all'incorporazione, posto che la rappresentazione è fissata stabilmente, e simbioticamente, nel sostrato o supporto rappresentativo in modo che il fatto rappresentato nel documento viene appreso come coincidente con il fatto reale riprodotto;
  • l'altra, di rilievo prettamente giuridico, perché il dato fattuale rappresentato deve essere, oltre che legittimamente acquisibile, pertinente ad un interesse giuridicamente protetto e, nella sede processuale, ad un qualsivoglia tema probatorio, in relazione al quale il documento figura come prova reale artificiale, differenziandosi in tal modo da altre tracce ispezionabili nel reale.
In proposito, si noti che è prova reale ma non è qualificabile come documento la traccia consistente nella macchia ematica o nell'impronta lasciata sul terreno da una scarpa o da uno pneumatico, o da lesioni mortali rilevate sul cadavere dopo ispezione esterna, tutte costituenti tracce naturali lasciate occasionalmente ed incidentalmente, comunque non con intenzionale fissazione documentativa. La matrice artificiale, consistente nel fatto che il documento è intenzionalmente prodotto dall'uomo per finalità rappresentative, esclude che rientrino nella tipologia in esame talune prove, accomunate nel genus delle prove reali, che, figurando come tracce materiali del reato, sono parimenti acquisibili quali corpo di reato o quali cose pertinenti al reato. In generale il legislatore, nel disciplinare l'attività investigativa indirizzata alla ricerca delle fonti di prova, parla di “cose” acquisibili al processo assieme alle “persone”, dal che trae origine la distinzione di fondo tra prove reali e prove personali; più propriamente si tratta di tracce di tipo materiale (cose) o mentale (persone), lasciate nel reale dal fatto compiuto, tracce che legano significativamente la loro rilevazione alla storicità del fatto. “Cosa”, intesa meglio come traccia reale materiale, è termine di genere; la specificità consiste nel distinguere la qualità naturale o artificiale della traccia: cosa naturale è qualsiasi segno che si rinviene nel suo esistere materiale; cosa artificiale è quella creata dall'opera dell'uomo al fine riproduttivo e conservativo, a futura memoria, di un dato di fatto.
Resta definitivamente confermato che il documento giuridico funge da prova reale artificiale: l'artificialità implica un'attività umana operativa sorretta da un'intenzionalità finalizzata alla conservazione nel tempo di una informazione; la rappresentatività non può avvenire senza l'intenzione di base anche se può verificarsi una documentazione che vada oltre l'intenzione: si pensi ad un fotogramma che rappresenti un paesaggio e, per pura casualità, un'azione delittuosa che si commette contestualmente.
Si noti in proposito:
- che non si può escludere l'operatività intenzionale dell'uomo nel momento elaborativo del documento in quanto tutti i documenti sono artificiali;
- che necessita l'intenzionalità documentativa anche se non si tratta di connotarne l'intenzionalità probatoria impressa alla destinazione documentale dal momento che il documento è tale quale che sia stata l'intenzione specifica dell'operatore.
Il documento giuridico, che è cosa rappresentativa di un fatto e che si inquadra come prova reale artificiale, si caratterizza per un'altra qualità: la sua genesi extraprocedimentale.
Al quesito se rientri nella tipologia in esame il documento endoprocedimentale, vale a dire l'atto documentato nel procedimento giudiziario occorre dare risposta negativa. Per prevenire l'equivoco il legislatore qualifica come documentazione l'attività posta in essere da un soggetto processuale e per i fini del procedimento stesso; il confine operativo della prova documentale viene individuato nella circostanza che la formazione di un documento avvenga fuori del procedimento nel quale si chiede che il documento stesso trovi ingresso.
Ferma la matrice artificiale ed intenzionale della prova documentale ne risalta ora la caratteristica della genesi extraprocedimentale, con l'ulteriore precisazione che la genesi può essere antecedente all'insorgere del procedimento ma anche concomitante, all'infuori ma non necessariamente prima del procedimento. All'inverso è pacifico che ogni attività documentativa espletata all'interno del procedimento, in forma di annotazione o verbalizzazione, si qualifica come documentazione e che la relativa disciplina è specifica, come tale estranea alla problematica del documento.
A ben vedere la genesi del documento opera all'infuori di qualsiasi procedimento. La conferma circa la fondatezza dell'assunto è agevole: un documento in senso proprio non ha bisogno di regole speciali per trasmigrare da un procedimento ad un altro, perché si esibisce e si produce ex novo ogni qualvolta necessiti.
Il documento assume valore probatorio generalizzato, potendo essere prodotto in qualsiasi procedimento nel rispetto dei noti limiti di legittimità e di rilevanza: Esula dalla tematica in esame, anche se il legislatore ne tratta nella sede documentale, la problematica della circolarità delle prove, che riguarda non i documenti ma la trasmigrazione di documentazioni (verbali ed annotazioni di varia tipologia) da un procedimento ad un altro.
Conclusivamente il documento giuridico è cosa incorporante un fatto di rilevanza giuridica e si qualifica come prova reale artificiale di genesi extraprocedimentale.

Il documento come prova per la conoscenza del fatto

Il documento, così delineato e caratterizzato nella sua essenza e nella sua funzione, è “prova”.
E' convincimento ormai consolidato che la prova documentale implichi un elemento di sicurezza che nessun altro mezzo probatorio è capace di fornire a priori.
Tale assunto si riconnette alla funzione rappresentativa del supporto documentale: posta la incorporazione del dato rappresentato nel supporto materiale, la genuinità di tale sostrato garantisce la inferenza di realtà del dato significato.
Per tale ragione non deve essere acquisito a fini di prova un documento falso e, se l'acquisizione è avvenuta, il documento non deve essere utilizzato, precisandosi che, ai fini della decisione sulla falsità occorre distinguere tra documento oggetto del giudizio, nel quale la falsità costituisce il tema principale della verifica processuale, e documento che sia solo prova, ove, fatto salvo il problema della pregiudizialità, il giudice è tenuto a farne denuncia al pubblico ministero.
Come ogni prova reale il documento viene acquisito come prova al di fuori dei canoni della oralità e del contraddittorio, e, si badi, nel rispetto della sua natura, per via fisiologica, non in deroga a tale regime. L'oralità ed il contraddittorio sono assicurati in sede di discussione ammissiva della richiesta di prova, potendo essere opposta l'acquisizione vietata per legge, come avviene per l'anonimo, oppure problematizzata la non genuinità quanto ad artificiosità, integrità, provenienza, data oppure ancora la stessa valenza sostanziale cognitiva, come in materia di alibi e di controprova personale.
Per di più l'acquisizione avviene in modo irripetibile in un contesto privilegiato di ricerca a sorpresa.
Il valore del documento come prova esige i dovuti approfondimenti, stante la portata notoriamente polisemica del termine nel sistema processuale.
Prima ancora di discutere del valore probatorio del documento come “risultato di prova” necessita precisare se si tratti di “fonte” o di “mezzo” o di “elemento” di prova.
In proposito si rammenta che:
a) fonte di prova è la cosa o la persona portatrice del dato cognitivo rilevante;
b) mezzo di prova è l'attività processuale che legittima la introduzione della fonte nel processo in modo che il fatto rappresentato sia conosciuto dai soggetti del processo, in primis dal giudice, che ignora per definizione il fatto e che lo deve conoscere;
c) elemento di prova è il dato cognitivo nella sua grezza rappresentazione mentale.
Il legislatore civile tratta del documento tra le prove; stessa linea persegue il legislatore penale che inquadra il documento al settimo posto tra i mezzi di prova. Pare incontrovertibile che tale sistemazione sia problematica e per certi aspetti fuorviante: il documento non è né mezzo né elemento bensì fonte di prova. Ed invero il mezzo di prova consiste nell'attività di produzione o di esibizione del documento in modo che la res documentale, già esistente e formata, sia acquisita al processo; a sua volta l'elemento di prova è il fatto rappresentato. Se documento è la cosa rappresentante, in quanto portatrice, per incorporazione, della situazione da conoscere, esso appartiene alla categoria delle fonti di prova e, in quanto cosa, appartiene alla categoria delle fonti reali in contrapposizione alle fonti personali.
Il documento, come cosa, è fonte di prova; la produzione del documento è il mezzo acquisitivo della fonte; l'elemento di prova è il fatto rappresentato ed incorporato.
Una volta acquisita la fonte, compreso il significato e mentalmente appreso il fatto rappresentato occorre affrontare, e risolvere, il problema del valore dell'elemento di prova come risultato di prova.
Per cogliere il valore cognitivo del documento occorre risalire alla sua struttura.
Il documento presenta due facce: interessa gli studiosi come cosa e per il suo contenuto rappresentativo; la cosa è il segno rappresentativo del fatto, il contenuto è il significato del fatto rappresentato; il valore di verità è conseguente.
Il documento, come fonte di conoscenza, si inquadra nella generale tematica della significatività: come ogni altro segno si compone di una realtà materiale, significante, e di una realtà immateriale, significata.
L'apprezzamento della cosa è strumentale, in quanto il supporto è utile come mezzo valido per incorporare una rappresentazione fattuale.
L'apprezzamento del fatto è finale, in quanto oggetto di cognizione interessata.
La fotografia è servente perché funzionale alla conoscenza della situazione fotografata.
La scrittura è servente perché funzionale alla conoscenza del pensiero comunicato.
La cosa nella sua essenza si connota per la sua consistenza materiale, propria del supporto, quale può essere usualmente la carta o altro mezzo idoneo, laddove, all'opposto, il contenuto rappresentato è immateriale.
Materialità strumentale ed immaterialità contenutistica sono cognitivamente propri della semiologia e della semantico: il documento è fonte di conoscenza perché segno.
Ci si interroga in proposito sul valore del segno, sulla comprensione del significato e sui criteri di relativo apprezzamento in funzione della conoscenza e della verità.
Se un documento fotografico o una videoripresa rappresenta un fatto giuridico, come ad esempio un soggetto che opera nel pieno dell'azione esecutiva delittuosa, la risoluzione del problema sulla genuinità del reperto rende agevole la risoluzione dei quesiti successivi. La rappresentazione è visiva, frutto di una apprensione sensoriale che elude qualsiasi esigenza del ragionamento e che conduce quasi per immediato riflesso a ritenere che il fatto documentato corrisponda al fatto reale.
Si colgono sia la semplicità della comprensione sia l'accesso diretto, verosimilmente a-problematico, alla verità.
Ci si chiede quale sia la ragione fondante un tale assunto che eleva il documento al rango di una prova degna più di altre, senz'altro più affidabile di una fonte personale.
La ragione si rinviene nella incorporazione e nel valore segnaletico della cognizione di base.
Se il segno è termine di genere, che si specifica come simbolo o come segnale, è consequenziale l'inquadramento del documento tra i segnali: l'inferenza mentale si accompagna al messaggio di realtà, come la visione del lampo che genera mentalmente l'attesa del rombo del tuono o come la vista del fumo che indica il transito di una locomotiva a vapore.
La cosa rappresenta il fatto e ne rende vera l'apprensione cognitiva, perché la rappresentazione mentale si intende corrispondente al reale storico non direttamente sperimentato: si esprime in tal modo in tutta la sua valenza la portata dell'incorporazione.
Il documento tipico mantiene la funzione segnaletica che gli è congeniale, è un messaggio di realtà che avalla un risultato di verità.
Occorre però distinguere tra l'incorporazione di un dato oggettivo (cosa, persona, fatto) e l'incorporazione di un atto, quale una dichiarazione di sentimento (un riconoscimento filiale), di scienza (si pensi al racconto scritto di un teste oppure ad una confessione scritta) o di volontà (si pensi al testamento o ad un contratto).
L'analisi procede dalla res e legittima la fondamentale distinzione tra talune tipologie variegate di cose (quali la fotografia, la fonografia, la cinematografia, la videoripresa) differenziate rispetto alla scrittura.
E' fondamentale ai fini cognitivi cogliere la portata della posta differenziazione.
Le scritture presentano profili di specifica problematicità rispetto alle altre tipologie documentali al punto che si è discusso sulla portata documentativa di una scrittura. Ci si è chiesti se sia documento uno scritto o altro segno la cui particolarità consiste nella rappresentazione come fatto di un atto umano consistente nel contenuto di un pensiero. La prassi e la stessa legislazione conoscono, e trattano come documenti, rappresentazioni dichiarative, di sentimento, di scienza o di volontà, come la corrispondenza o una scrittura bancaria o una cartella clinica o uno scritto anonimo. In tale sede è sufficiente evocare per solo rinvio la problematica del documento dichiarativo, congruamente trattato nella storica sentenza n. 142/1992 della Corte Costituzionale, o alla acquisibilità delle dichiarazioni scritte di portata confessoria, oppure alle dichiarazioni rese ad organi di P.G., oppure agli apocrifi o agli scritti con firma illeggibile.
In linea di principio se per la prima tipologia di documenti, quali le fotografie e simili, non si pone il problema di autore, la cui identificazione è indifferente in quanto non incide minimamente sulla attitudine rappresentativa della cosa che si presenta per se stessa, nella sua obiettiva terzietà, è invece fondamentale porsi il problema dell'identità dell'autore dello scritto, tramite fondamentale per assicurare la genuinità e l'autenticità delle scritture. All'uopo è necessaria la sottoscrizione o comunque la ricostruzione della paternità della formazione anche mediante la procedura incidentale di riconoscimento. Ove il documento sia anonimo, o comunque con autore non certo, esso è inutilizzabile e non può essere ammesso ed acquisito al processo appunto perché incontrollabile nella sua genuinità, fatte salve due deroghe evidenziate nella sede processualpenalistica, ove si tratti di documento anonimo che provenga comunque dall'imputato o che costituisca corpo del reato (ex artt. 235 e 237 c.p.p.).
Si coglie in proposito la ragione della pretesa legislativa della sottoscrizione. Se ai fini dell'efficacia della scrittura (secondo il tenore del titolo dell'art. 2702 c.c., dovendosi intendere per “efficacia” il valore di prova piena della scrittura ai fini della provenienza delle dichiarazioni) non è richiesta l'autografia, salvo che per il testamento olografo (ex art. 602 c.c.), è di regola necessaria la sottoscrizione della scrittura. riconosciuta come autentica dalla parte fatte salve le presunzioni di legge. Rileva integrativamente anche l'apposizione della data (ex art. 2704 c.c.).
Sempre ai fini della idoneità probatoria, è vietata l'acquisizione di documenti dal contenuto generico o incontrollabile, perché relativo a informazioni su voci correnti nel pubblico o sulla moralità “in generale” delle parti e degli altri soggetti di prova (ex art. 234.3 c.p.p.).
Relativamente alle scritture occorre distinguere, e non confondere, l'effettivo profilo segnaletico da quello simbolico, il fatto dall'atto: il documento vale come segnale in relazione al fatto incorporato nella sua immediatezza storica, ad esempio, che un soggetto fosse in vita, abbia scritto e sapesse scrivere, non per il contenuto di pensiero, che, avendo portata simbolica dichiarativa, deve trovare ingresso nel processo nella forma tipica della testimonianza oppure va interpretato come un testo verbale: Altro è la prova del fatto dell'avere scritto, che può integrare veridicamente la prova di autore in un certo tempo e la sua capacità manuale, al limite, la sua esistenza in vita ad una certa data; altro è la verificazione del contenuto di pensiero, che, esternatosi in parole, assume le sembianze di una serie di simboli, comprensibili quanto si vuole nel loro significato, ma insuscettibili di inferenza reale; il pensato può essere idealmente compreso ma la verifica di realtà è complicata, esige il più tortuoso ed infido controllo di affidabilità delle prove personali, delle tracce mentali residuate al fatto e trasferite in verba. Che l'agente abbia compilato lo scritto è documento-segnale, ma il contenuto di pensiero dipende dall'interpretazione di simboli, rispetto ai quali non è legittimamente praticabile alcuna inferenza di realtà se non utilizzando i canoni validi, sia pure in termini più problematici, per le prove dichiarative, per altro con l'ulteriore limite della carenza di oralità e di contraddittorio.

Vedi anche Le prove nel codice civile


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