Data: 30/06/2005 10:10:00 - Autore: Licia Albertazzi
Segnalata da: Avv. Ferdinando Gattuccio - Corte d'Appello di Palermo, sentenza 2129/2005.

La sentenza in oggetto si pronuncia su un caso di malasanità: la Corte d'Appello di Palermo rigetta i motivi di gravame proposti da alcuni medici e da una struttura sanitaria di provincia, coinvolti nella vicenda e risultati responsabili dei danni fisici e neurologici riportati da un neonato a seguito di scelte mediche errate assunte durante il travaglio della madre. Specificamente i sanitari avrebbero optato per il parto naturale anziché un cesareo, senza tenere in considerazione – per negligenza ed imperizia – delle condizioni patologiche della madre e valutando erroneamente i risultati delle analisi effettuate prima del parto.

Com'è noto, la responsabilità civile di medici e case di cura nei confronti dei pazienti assume carattere contrattuale e si basa sull'obbligazione nascente da “contatto sociale”: un vero e proprio contratto di prestazione d'opera i cui caratteri trovano fondamento nel rapporto di fatto instauratosi tra paziente ed operatori sanitari (si veda Cass. SSUU 577/2008). In determinati casi – come nel presente - la struttura ospedaliera è responsabile in solido con i medici coinvolti, derivando questa responsabilità anche qui non tanto da una condizione giuridica (contrattuale) quanto dalla situazione di fatto (nel caso di specie, a nulla è valsa la difesa della casa di cura basata sul fatto che i medici responsabili non erano diretti dipendenti della stessa ma dell'asl locale, rilevando soltanto il rapporto di fatto instauratosi tra questa e il paziente, il quale non può essere in nessun caso penalizzato dalle scelte amministrative effettuate dalla casa di cura).

Dal punto di vista probatorio è onere del paziente danneggiato provare il “contatto” con il medico responsabile (dimostrare cioè l'instaurazione del rapporto di fatto) nonché l'aggravamento, a seguito delle cure ricevute, delle proprie condizioni cliniche. Al contrario, al fine di liberarsi dalla responsabilità, il sanitario dovrà dimostrare che l'imprecisione verificatisi è dovuta a causa a lui non imputabile e che nell'operare lo stesso si è attenuto a regole tecniche professionali universalmente riconosciute (c.d. guidelines). Di fatto, oltre ai diversi riscontri offerti dalla ctu integrativa disposta dal giudice di secondo grado, la lacunosa tenuta della cartella clinica del paziente sicuramente è sintomo di negligenza professionale. Parallelamente, i medici non hanno dimostrato che, a prescindere dal comportamento tenuto, l'evento dannoso si sarebbe in ogni caso verificato (provocando in tal modo l'interruzione del nesso causale).

Netta dunque la decisione della Corte d'Appello di confermare la condanna di primo grado e di estendere l'obbligo al risarcimento del danno alla casa di cura coinvolta, in solido con i medici responsabili. Con un unico motivo di gravame accolto: la parziale riforma della quantificazione del danno biologico effettuato in primo grado, viziato da ultrapetizione (l'importo liquidato dal Tribunale era infatti maggiore rispetto a quello domandato da parte attrice).


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