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Data: 23/03/2013 09:29:00 - Autore: Justowin
Affrontiamo il tema del contemperamento della libertà di riunione e manifestazione del pensiero con la necessità di grarantire la pacifica convivenza e l'ordine pubblico.
Tale tematica, analizzando gli strumenti previsti dal T.U.L.P.S., verrà analizzata nel corso delle lezioni del
corso di preparazione al concorso per 80 posti da commissario di polizia organizzato da Justowin.
Manifestazioni e cortei di protesta rappresentano una delle modalità di
esercizio di fondamentali diritti costituzionali, quali il diritto di riunione e
il diritto di manifestazione del pensiero. Manifestazioni possono essere
organizzate allo scopo di esprimere dissenso contro determinati aspetti della
società, contro talune scelte degli organi politici, ma altresì contro le
politiche adottate da un'impresa in merito all'organizzazione del lavoro;
ancora, una manifestazione può perseguire lo scopo di esprimere solidarietà a
qualcuno oppure quello di sostenere una determinata iniziativa. In ogni caso,
quel che è certo è che esse rappresentano un importante strumento di democrazia,
attraverso il quale i cittadini hanno la possibilità di attribuire maggiore
risonanza alle loro idee. <br><br>
Nell'ottica degli obiettivi di questo lavoro, quel che interessa è l'analisi
della libertà di riunione e delle sue possibili limitazioni in nome della
sicurezza collettiva e della tutela dell'ordine pubblico, data la possibilità
che una manifestazione possa assumere connotazioni violente. Dopo una generale
trattazione della disposizione costituzionale, ci soffermeremo quindi sulle
norme contenute nel Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza1 al fine di
individuare quali sono i presupposti e i confini del potere di limitare
l'esercizio della libertà di cui all'art. 17 Costituzione. 2. La libertà di
riunione nella Costituzione Art. 17 Costituzione «I cittadini hanno
diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo
aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo
pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto
per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.» La libertà di
riunione, intesa da autorevole dottrina e giurisprudenza come una «libertà
strumentale» diretta a consentire l'esercizio di altri diritti, rappresenta
un'attuazione di quel principio fondamentale che impone di tutelare il singolo
quale parte di una formazione sociale: in particolare, ai fini dell'applicazione
dell'art. 17, una riunione è da ritenersi sussistente allorquando una pluralità
di persone sia presente in uno stesso luogo, per perseguire una finalità
comune. Come visto, nel disciplinare la libertà di riunione, la Carta
Costituzionale effettua una distinzione tra riunioni in luogo aperto al pubblico
e riunioni in luogo pubblico, prevedendo solo in ordine a queste ultime un
obbligo di preavviso alle Autorità in capo ai promotori. Secondo autorevole
dottrina, supportata da altrettanta giurisprudenza, peraltro, l'obbligo di
preavviso sussisterebbe solamente a fronte di quelle riunioni in luogo pubblico
potenzialmente idonee ad incidere sui diritti dei terzi, in quanto è nella
tutela del diritto del terzo che deve rinvenirsi la ratio del preavviso stesso.
A ben vedere, inoltre, il preavviso svolge altresì un'altra funzione, ossia
quella di consentire alla riunione di godere «della protezione della pubblica
autorità e a farla preferire a manifestazioni successivamente preavvisate, da
tenersi nello stesso luogo». L'assenza di preavviso è produttiva di talune
conseguenze previste dall'art. 18 T.U.L.P.S.. Innanzitutto, la norma prevede che
i promotori siano «puniti con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da € 103
a € 413» e che alla stessa pena soggiacciano «coloro che […] prendono la
parola», qualora questi siano a conoscenza della violazione dell'obbligo di
preavviso. Inoltre, a fronte di mancato preavviso, il Questore ha il potere di
vietare lo svolgimento della riunione, con conseguente configurabilità del reato
contravvenzionale di cui al comma 5 della norma a carico di quei soggetti non
rispettanti il predetto divieto8. Sulla possibilità di sciogliere la riunione
non preavvisata, si veda più avanti il paragrafo dedicato alle disposizioni del
T.U.L.P.S.. 3. Le limitazioni alla libertà di riunione Nel nostro
ordinamento, l'esercizio della libertà di riunione può subire limitazioni non
solamente in applicazione delle norme contenute nel T.U.L.P.S. ma altresì per
espressa previsione costituzionale. In ogni caso, è bene notare che la ratio
che, da un punto di vista generale, sottende qualsivoglia limitazione deve
rinvenirsi nella necessità di evitare un turbamento dell'ordine pubblico, da
intendersi qui come «ordine pubblico materiale», ossia come una condizione di
pace e sicurezza caratterizzata dalla «assenza di violenza fisica» Le
limitazioni costituzionali Già dalla lettura dell'art. 17 comma 1
Costituzione si ricava un primo limite all'esercizio del diritto del riunione,
da individuarsi nella necessità che la riunione si svolga «pacificamente e
senz'armi». In merito al primo aspetto, la dottrina è nel senso di ritenere
che il carattere pacifico di una riunione debba essere valutato in base
all'assenza di un pericolo attuale e concreto per l'ordine pubblico12. Per
quanto attiene, invece, al limite delle armi, il solo fatto del possesso di armi
in capo a soggetti partecipanti alla riunione è da ritenersi un elemento
potenzialmente lesivo dell'ordine pubblico13: in quest'ottica, lo scioglimento
dovrebbe essere disposto senza dover attendere che si concreti una reale
situazione di “disordine”. Degna di nota è, però, la posizione di autorevole
dottrina, secondo la quale una riunione dovrebbe essere considerata contraria al
disposto di cui al comma 1 dell'art. 17 Costituzione solo qualora la
molteplicità dei manifestanti condivida la partecipazione di persone armate
oppure qualora non sia possibile intervenire sui singoli: conseguentemente, solo
al di fuori di queste specifiche ipotesi, la riunione potrà essere destinataria
di un ordine di scioglimento, data la sua contrarietà alla norma
costituzionale. Maggiore attenzione va qui dedicata al disposto del comma 3
della norma in esame, nella parte in cui attribuisce all'autorità il potere di
vietare lo svolgimento di una riunione preavvisata in luogo pubblico per
«comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica». Sul punto, autorevole
dottrina è ferma nel sostenere che l'esercizio di tale potere debba essere
subordinato ad un'attenta valutazione della situazione concreta, non potendosi
vietare a priori una manifestazione o una riunione per il solo fatto della sua
organizzazione: data la circostanza che ogni riunione è di per sé fonte di
possibile pericolo per l'ordine pubblico, allora può essere imposto un divieto
al suo svolgimento solo allorquando sussista un'elevata probabilità di effettivo
turbamento dello stesso. 3.2. Le disposizioni del T.U.L.P.S. Come visto,
la dottrina è nel senso di ritenere che una riunione preavvisata possa essere
vietata qualora sussistano circostanze di fatto che rendano probabile il
verificarsi di eventi turbativi dell'ordine pubblico. Il tema in esame
risulta strettamente correlato con l'analisi dell'art. 2 T.U.L.P.S., ai sensi
del quale «il prefetto, nel caso di urgenza o per grave necessità
pubblica, ha facoltà di
adottare i provvedimenti indispensabili per
la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica»: in particolare, tale
norma assume rilevanza in questo lavoro in quanto non è raro che, a fronte di
eventi di spessore nazionale, venga emessa in sua applicazione un'ordinanza
prefettizia limitativa di taluni diritti costituzionali, tra i quali il diritto
di circolazione e il diritto di riunione. In questo senso, emblematica è
l'ordinanza 288/D.P. del 2 giugno 200117, emessa dal Prefetto di Genova a fronte
dello svolgimento del vertice G8 e contemplante, tra le altre, limitazioni
preventive dello svolgimento di manifestazioni pubbliche in aree determinate18.
La problematica della legittimità di un'ordinanza di tal tipo è stata oggetto di
valutazione da parte dei giudici amministrativi, a causa del ricorso presentato
contro l'ordinanza stessa da parte di associazioni e semplici cittadini19: in
particolare, alla luce di tali decisioni e delle critiche dottrinali
sviluppatesi, è possibile individuare le principali questioni controverse in
merito alle ordinanze pronunciate ex art. 2. Il T.A.R. della Liguria e il
Consiglio di Stato sono stati concordi nell'affermare la legittimità
dell'ordinanza del Prefetto, in virtù della circostanza che essa risultava
incidere su diritti costituzionali coperti da una riserva di legge relativa e
che non determinava un'eliminazione o una sospensione degli stessi, ma ne
introduceva solamente determinate modalità di esercizio. Per quanto attiene
al profilo dell'incidenza su diritti costituzionali, le pronunce in esame hanno
fondato la loro valutazione su una sentenza della Corte Costituzionale, la
quale, nel pronunciarsi sulla legittimità dell'art. 2, ha affermato che nelle
materie coperte da una riserva di legge relativa «nulla vieta che […] una
disposizione di legge ordinaria conferisca al Prefetto il potere di emettere
ordinanze di necessità ed urgenza, ma occorre che risultino adeguati limiti
all'esercizio di tale potere»; i giudici hanno altresì effettuato un richiamo a
consolidata giurisprudenza, secondo la quale, in presenza di una riserva
relativa, le ordinanze possono avere ad oggetto anche «diritti
costituzionalmente garantiti». Le citate sentenze amministrative sono state
accolte con sfavore dalla dottrina, la quale risulta pressoché unanime nel
ritenere che un'ordinanza fondata in via esclusiva sull'art. 2 non possa
incidere su diritti costituzionali, seppur coperti da una riserva relativa, e
che, in ogni caso, l'esercizio del diritto di riunione non possa essere mai
oggetto di una limitazione preventiva. Sul primo punto, la dottrina è
concorde nel qualificare l'art. 2 T.U.L.P.S come una norma di per sé inidonea a
legittimare un'ordinanza in tema di diritti costituzionali, in virtù della
circostanza che con essa il legislatore si è limitato ad individuare la
competenza in capo ad un determinato organo, senza però specificare le
condizioni che ne devono accompagnare l'esercizio: in quest'ottica, è pacifico
affermare che, per poter incidere su diritti costituzionali, l'ordinanza
prefettizia deve essere emanata «nel solco di una disciplina di principio
rinvenibile nella legislazione primaria, non essendo a tal fine sufficiente una
norma […] che si limita ad attribuire una competenza». Più precisamente, in
ordine al diritto di riunione, taluna dottrina è nel senso di ritenere che
l'art. 17 Costituzione contempli una riserva relativa di legge solamente ai fini
della determinazione della disciplina del preavviso e che, per contro, non sia
configurabile alcun rinvio alla legge in merito alle limitazioni dell'esercizio
del diritto. In quest'ottica e sulla base della già espressa considerazione
secondo la quale è necessario valutare le circostanze di fatto che
accompagnerebbero lo svolgimento della singola riunione al fine di poter imporre
il divieto di cui al comma 3, è chiara questa posizione dottrinale che tende a
sostenere l'illegittimità di qualsiasi atto di natura amministrativa che vieti
in via preventiva tutte le riunioni e le manifestazioni in una determinata zona,
in quanto consistente in una vera e propria sospensione di un diritto
costituzionale. Il T.U.L.P.S. contempla ulteriori disposizioni in tema di
riunioni in luogo pubblico, dirette a consentirne lo scioglimento in presenza di
determinate condizioni. In particolare, è l'art. 20 ad individuare taluni dei
presupposti in sussistenza dei quali l'autorità pubblica è dotata del potere di
disciogliere una riunione in corso: Art. 20 T.U.L.P.S. «Quando, in
occasione di riunioni o di assembramenti in luogo pubblico, o aperto al
pubblico, avvengono manifestazioni o grida sediziose o lesive del prestigio
dell'autorità, o che comunque possono mettere in pericolo l'ordine pubblico o la
sicurezza dei cittadini, ovvero quando nelle riunioni o negli assembramenti
predetti sono commessi delitti, le riunioni e gli assembramenti possono essere
disciolti.» Per quel che attiene al carattere sedizioso della riunione, fermo
restando il disposto di cui all'art. 2127, la Corte Costituzionale, nel
pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli artt. 654, 655 codicepenale,
ha qualificato come sedizioso quell' «atteggiamento […] che implica ribellione,
ostilità, eccitazione al sovvertimento delle pubbliche istituzioni […]». In
senso analogo si pone autorevole dottrina, sostenendo che «perché il
comportamento della folla possa essere definito sedizioso, è sufficiente che
esprima ribellione, sfida e insofferenza verso i pubblici poteri e verso gli
organi dello Stato a cui è demandato il compito di esercitarli, che determini
turbamento alla pacifica convivenza e alla pubblica tranquillità». In merito
alla commissione di delitti, la dottrina applica qui il medesimo criterio
utilizzato in presenza di persone armate: si sostiene, infatti, che la
commissione di delitti durante lo svolgimento di una riunione possa essere causa
di scioglimento della stessa solo allorché gli stessi possano «essere riferiti
all'insieme dei convenuti che non solo non si dissociano dai rei, ma che anzi ne
condividono il loro operato». In merito al già citato problema dell'omesso
preavviso, è necessario ora comprendere se lo svolgimento della riunione in
palese violazione del divieto del Questore di cui all'art. 18 T.U.L.P.S. possa
essere, di per sé, motivo di scioglimento della stessa. Sul punto, la dottrina
sembra concorde nel qualificare come insufficiente il predetto elemento, per un
duplice ordine di ragioni: da un lato, infatti, il mancato rispetto del divieto
integra gli estremi di un reato di natura contravvenzionale, e non di un delitto
ex art. 20 T.U.L.P.S.; d'altro lato, si ritiene che lo scioglimento possa essere
disposto solo a fronte di un concreto pericolo per l'ordine pubblico oppure
qualora non sia rispettato, nei termini sopraindicati, il dettato costituzionale
di cui al comma 1 dell'art. 17 Costituzione. Specificate le ragioni che
possono essere alla base di un ordine di scioglimento, è opportuno segnalare che
il T.U.L.P.S. individua precise modalità attraverso le quali tale potere deve
essere esercitato. In particolare, si stabilisce che, prima di poter procedere
allo scioglimento mediante l'uso della forza, è necessario innanzitutto invitare
i partecipanti a sciogliere la riunione; in caso di inosservanza all'invito, si
può procedere all'ordine di scioglimento con tre intimazioni di natura formale.
Infine, solamente qualora tali intimazioni non abbiano effetto, le autorità
possono procedere all'esecuzione dell'ordine attraverso il ricorso alla forza
pubblica: ai fini della legittimità dell'ordine di cui all'art. 24, è necessario
che esso sia impartito da soggetti determinati, individuabili negli Ufficiali di
P.S. oppure, in loro assenza, negli Ufficiali o Sottufficiali dei Carabinieri.
Quest'ultima specificazione si ritiene opportuna, in quanto, come vedremo in una
parte successiva di questo lavoro, non sono mancati casi in cui un ordine di
scioglimento è stato ritenuto illegittimo, tra gli altri motivi, proprio per
l'incompetenza del soggetto che lo aveva disposto.
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