Data: 30/03/2013 10:00:00 - Autore: L.S.
"La giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, deve essere verificata con riguardo non solo all'interesse patrimoniale della datrice di lavoro, ma anche, sia pure indirettamente, alla potenziale lesione dell'interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito. Né il rigoroso rispetto delle regole di maneggio del denaro può essere sostituito da non meglio specificate regole di buon senso, inidonee ad assicurare la conservazione del denaro della banca e dei clienti.". 
E' quanto ribadito dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 7819 del 28 marzo 2013, ha affermato la legittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore, cassiere di banca, al quale venivano contestati diversi addebiti. Il primo episodio era costituito "dal rifiuto, da parte del dipendente addetto alla cassa, di compiere un'operazione richiesta da un cliente e prevista da un 'manuale' vale a dire da disposizioni scritte, non illustrate ai dipendenti, ma non a loro ignote, anche perché specificate con comunicazione telematica del direttore di filiale, comunque era a disposizione del singolo lavoratore un servizio di informazione in caso di interpretazione dubbia"; il lavoratore aveva poi abbandonato il posto di lavoro senza chiudere la cassa ed anzi, lasciando in sospeso un'operazione e successivamente si era allontanato dalla cassa per recarsi al bar, incurante della presenza di ben quindici clienti.
Già i giudici del rinvio i avevano escluso rilevanza alla dedotta esistenza di una prassi che consentiva ai dipendenti di allontanarsi per la pausa caffè senza apposito permesso e, osservando che la concreta situazione avrebbe richiesto da parte del lavoratore maggiore sollecitudine e diligenza, avevano ritenuto che le condotte addebitate rendevano la sanzione espulsiva proporzionata alla definitiva rottura del vincolo fiduciario. Inutili quindi le deduzioni del lavoratore circa il travisamento dei fatti in relazione all'episodio dell'allontanamento per la pausa caffè, in particolare la censura della omessa considerazione della circostanza secondo la quale al momento dell'allontanamento operavano più casse per cui la breve assenza non avrebbe sortito alcun effetto sui quindici clienti presenti determinando, al più, un leggero ritardo nelle operazioni e l'esistenza di una prassi aziendale che consentiva ai dipendenti di allontanarsi per la pausa caffè senza richiedere permessi.
La Suprema Corte ha precisato che tali comportamenti significano negazione del potere organizzativo e disciplinare della datrice di lavoro, sia pure manifestata per fatti concludenti invece che in forma espressa.
"La censura alla decisione impugnata di non avere tenuto conto, che al momento dell'allontanamento del lavoratore per la pausa caffè, operavano più casse, non è decisivo perché la presenza di una pluralità di casse, delle quali non è detto se tutte in funzione, non esclude comunque che il venir meno di una cassa rallentava le operazioni delle altre sulle quali venivano dirottati i clienti in fila che comunque erano in numero cospicuo né incide sulla valutazione della negligenza della condotta del lavoratore".
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