Data: 22/07/2022 12:00:00 - Autore: Andrea Colonna

Reato di occupazione abusiva di immobili

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Il reato di occupazione abusiva di immobili è punito dall'art. 633 del nostro codice penale. La norma prevede infatti che: "Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da 103 euro a 1.032 euro. Si applica la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2.064 e si procede d'ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone o se il fatto è commesso da persona palesemente armata. Se il fatto è commesso da due o più persone, la pena per i promotori o gli organizzatori è aumentata."
L'art. 639 bis prevede l'esclusione della perseguibilità del reato di occupazione abusiva di immobili a querela di parte, con conseguente perseguibilità d'ufficio, se gli immobili hanno una destinazione pubblica. Tanto per capirci, è possibile procedere d'ufficio quando l'occupazione riguarda le case popolari.
Fatta questa premessa è importante tuttavia ricordare che il nostro codice penale non punisce in maniera indiscriminata tutte le condotte.Il nostro ordinamento contempla infatti alcune "scriminanti", ossia della cause di giustificazione del reato che portano alla non punibilità del soggetto. In relazione al reato di occupazione abusiva di immobili la scriminante che entra in gioco è lo stato di necessità. Vediamo di capire perché analizzando nel dettaglio questa scriminante in tutti i suoi elementi.

Stato di necessità art. 54 c.p.

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Il codice penale, all'art. 54, titolato “stato di necessità” sancisce che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, positivizzando in questo modo la più complessa delle cause di esclusione della punibilità.

Mentre la dottrina tradizionale considera lo stato di necessità una causa di esclusione della colpevolezza, muovendo dal presupposto che la ratio dell'istituto risieda nell'inesigibilità psicologica di una diversa condotta da parte di chi si veda minacciato da un pericolo di tal fatta, la letteratura in atto dominante abbandona il terreno della colpevolezza prediligendo la natura di causa di giustificazione dell'istituto. Quest'ultima impostazione si basa sia sulla collocazione sistematica della norma, sia sulla previsione dell'operatività dello stato di necessità anche qualora il fatto venga posto in essere a salvaguardia di un diritto di un terzo (in tal caso infatti la ratio dell'inesigibilità psicologica di un comportamento diverso non troverebbe giustificazione).

Ratio e requisiti dello stato di necessità

La scriminante trova conseguentemente la propria ragione giuridica, secondo la teoria dell'interesse prevalente o dell'interesse mancante, nella mancanza di interesse dello Stato a salvaguardare l'uno o l'altro dei beni in conflitto, posto che in tali casi uno di essi sarà sicuramente destinato a soccombere.

Nell'ammettere la causa di giustificazione, la legge la sottopone a tre fondamentali requisiti:

  • il soggetto che si avvale della causa di giustificazione non deve essere lo stesso soggetto che ha causato la situazione di pericolo;
  • la condotta dell'agente deve essere non-altrimenti evitabile;
  • il bene minacciato deve prevalere o almeno corrispondere al bene leso, secondo una logica di proporzionalità tra fatto commesso e pericolo corso.

Come si evince dai requisiti di cui sopra, lo stato di necessità presenta, ictu oculi, forti analogie strutturali con la legittima difesa, ma se ne differenzia per due elementi fondamentali. L'azione giustificata non è infatti diretta contro un aggressore, ma contro un individuo innocente e non mira a salvaguardare un qualsiasi diritto, ma un diritto fondamentale dell'individuo, ai fini di scongiurare un danno grave alla persona.

Stato di necessità nell'occupazione abusiva di immobili

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Su tale ultimo punto, una questione fortemente dibattuta ha investito la stessa delimitazione del concetto di danno grave alla persona, preliminare alla successivo dibattito sull'invocabilità dello stato di necessità in caso di occupazione abusiva di immobili e conseguente giustificabilità del reato di invasione di terreni o edifici di cui all'art. 633 C.p.

L'impostazione più rigorosa circoscrive il concetto di danno grave alla persona ai soli casi in cui il pericolo corso dall'autore del fatto tipico riguardi la lesione dei beni della vita e dell'integrità fisica.

Il principale referente normativo sul quale poggia tale tesi è l'art. 384 c.p., titolato “casi di non punibilità”, il quale, con riferimento a taluni reati contro l'amministrazione della giustizia elencati nella medesima disposizione, dichiara non punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore.

Orbene, la dottrina più intransigente ha ritenuto che laddove l'art. 54 c.p. avesse avuto una interpretazione tale da consentire la tutela di beni quali l'onore, la dignità ecc. la disposizione di cui all'art. 384 C.p. avrebbe rischiato di non trovare mai applicazione, rimanendo lettera morta.

Sicuramente preferibile è invece l'orientamento che interpreta l'espressione danno grave alla persona in modo ampio, confutando la tesi che ritiene l'art. 384 c.p. un mero doppione della scriminante dello stato di necessità. Quest'ultima, infatti, oltre ad avere un ambito operativo generalizzato, necessita dei requisiti dell'attualità e inevitabilità del pericolo, non richiesti dalla disposizione di parte speciale (a meno di non voler aderire a quell'orientamento, oramai superato, che ritiene la causa di non punibilità prevista all'art. 384 C.p. una species dell'art. 54 C.p.).

Conseguentemente, si è ritenuto di poter attribuire rilievo giuridico a qualsiasi diritto inviolabile della persona, riconosciuto espressamente dalla Costituzione ovvero riconducibile alla clausola generale dell'art.2 della Carta Fondamentale, nella quale rientra sicuramente il diritto all'abitazione, intesa dalla giurisprudenza quale luogo ideale e strumento indispensabile per consentire la concreta attuazione dei diritti fondamentali dell'individuo.

Diritto all'abitazione: bisogno primario della persona

Proseguendo il discorso appena lasciato, si veda ed esempio Cassazione Pen., sez. III, 26 settembre 2007, n.35580, secondo cui “Ai fini della ricorrenza dell'esimente dello stato di necessità previsto dall'art. 54 C.p., deve ritenersi che rientrano nel concetto di "danno grave alla persona" non solo la lesione della vita o dell'integrità fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, secondo la previsione contenuta nell'art. 2 della Costituzione; e pertanto rientrano in tale previsione anche quelle situazioni che minacciano solo indirettamente l'integrità fisica del soggetto, in quanto si riferiscono alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, fra i quali deve essere ricompreso il diritto all'abitazione, in quanto l'esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona”.

L'attualità del pericolo e l'inevitabilità della condotta

La stessa Corte di Cassazione, sempre in relazione alle ipotesi di occupazione di beni altrui, ha tuttavia rimarcato in ogni caso la necessità di un'attenta analisi concernente la verifica della presenza, sotto il profilo obiettivo, degli altri già vagliati presupposti per l'applicabilità della scriminante, soffermandosi in particolar modo sulla attualità del pericolo e sulla non-altrimenti evitabilità della condotta del soggetto.

In particolare, la recente Cassazione penale n. 27257/2022 ha ribadito che "lo stato di necessità, si è correttamente sottolineato, non può ricorrere allorché l'abusiva occupazione venga realizzata per risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa, venendo in tal caso meno, infatti, la situazione di estremo bisogno che connatura la causa di giustificazione (...) l'illecita occupazione di un bene immobile é scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo (Cass. Pen., 2, 16.4.2013 n. 19.147, Papa, che ha affermato questo principio in un caso nel quale gli imputati avevano stabilmente occupato un immobile trasformandolo nella propria residenza abituale, la Corte ha affermato che lo stato di necessità, nella specifica e limitata ipotesi dell'occupazione di beni altrui, può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa.)"

La Cassazione infatti ha precisato in diverse occasioni che il requisito dell'attualità del pericolo presuppone che, nel momento in cui l'agente agisce contra ius al fine di evitare un danno grave alla persona, lo stesso debba essere imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio. L'attualità del pericolo, per argumentum a contrario, esclude così, in linea di massima, tutte quelle situazioni di pericolo non contingenti, caratterizzate da una sorta di cronicità, essendo datate e destinate a protrarsi nel tempo, e non solo.

Esclusione dello stato di necessità

Di conseguenza, come ha chiarito di recente la Cassazione penale n. 12364/2022, non si configura lo stato di necessità se sussiste solo "un disagio abitativo, determinato dalla coabitazione, in un appartamento limitrofo, del nucleo familiare del ricorrente con quello di altra persona; inoltre, risulta che l'imputato abbia disponibilità economica derivante dall'attività lavorativa continuativa svolta, retribuita con la somma di mille euro al mese."

Parimenti, in un caso precedente deciso con la Cassazione penale n. 32170/2021 è state esclusa la sussistenza dello stato di necessità invocata dall'occupante abusivo in quanto il ricorrente ha addotto uno stato di invalidità che però non è emersa dalle pronunce di merito "ma, per quel che più conta, risulta essersi allontanato dalla casa familiare per meri disagi dovuti a continui litigi: situazione di per sé certamente inidonea a configurare gli elementi richiesti per la scriminante di cui sopra".

Occupazione case popolari: art. 639 bis c.p.

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Per ultimo, volendo soffermarci sull'analisi dell'incontrollabile fenomeno dell'occupazione degli stessi alloggi costruiti dagli Istituti autonomi case popolari, anticipato all'inizio, in violazione delle procedure amministrative prescritte, la giurisprudenza, poggiando sull'inderogabilità del principio dell'assegnazione degli alloggi secondo i criteri prefissati dagli organismi pubblici, da un lato ha ritenuto in tali casi irrilevante l'arbitrio del singolo, seppure bisognoso, e sotto altro verso, ha disposto che gli alloggi in questione conservano la propria destinazione pubblicistica anche quando ne sia avvenuta la consegna all'assegnatario, cui non abbia ancora fatto seguito il definitivo trasferimento di proprietà.

In tema di occupazione di case popolari la Cassazione n. 9655/2015 ha altresì chiarito che: "lo stato di necessità può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa, tanto più che l'edilizia popolare è destinata a risolvere le esigenze abitative dei non abbienti, attraverso procedure pubbliche e regolamentate ed in cui la Corte ha escluso la sussistenza della scriminante, invocata dal ricorrente in ragione dello stato di gravidanza del coniuge e ha, altresì, ritenuto irrilevante la circostanza che il precedente assegnatario dell'immobile lo avesse liberato in favore dell'imputato, spettando tale funzione all'ente pubblico preposto."


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